Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30317 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30317 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MADONIA GIUSEPPE N. IL 25/04/1954
avverso l’ordinanza n. 5564/2011 GIUD. SORVEGLIANZA di
CUNEO, del 31/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 12/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 31 dicembre 2012, il Magistrato di sorveglianza di
Cuneo ha rigettato il reclamo proposto da Madonia Giuseppe, che, detenuto
presso la Casa circondariale di Cuneo in regime differenziato ex art. 41-bis Ord.
Pen., aveva eccepito l’illegittimità costituzionale della nuova disciplina prevista
dall’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), ultima parte, Ord. Pen. in materia di
limiti temporali dei colloqui visivi e telefonici con i difensori, introdotta con legge

instaurare un giudizio di costituzionalità che concernesse la contestata legittimità
della nuova disciplina e osservando che il regime penitenziario applicato nei
confronti del reclamante era conforme alla normativa vigente in alcun modo
si ndaca bile.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione personalmente
l’interessato Madonia, che ne ha chiesto l’annullamento, denunciando, con unico
motivo, erronea applicazione della legge e contraddittorietà e illogicità della
motivazione per non essere stata considerata l’espressa motivazione della
richiesta, fondata sulla particolare complessità del processo allora pendente, che,
derivante dal numero di imputati, collaboratori e testimoni, dalla enorme quantità
delle intercettazioni e dal numero delle udienze, aveva giustificato la disposta
sospensione dei termini di custodia cautelare.
I limiti temporali posti ai rapporti del detenuto con il difensore dalla nuova
normativa del “carcere duro”, ad avviso del ricorrente, hanno inciso fortemente
sul diritto di difesa in processi con plurimi fatti da analizzare, ponendosi in
contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., oltre a non essere giustificabile
nemmeno all’interno della rado dello stesso art. 41-bis Ord. Pen.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.
4. In data 23 ottobre 2013 sono pervenuti motivi aggiunti, trasmessi dal
ricorrente personalmente, diretti a rappresentare il rigetto da parte del Tribunale
di Palermo della sua richiesta di fruire del prolungamento dell’orario dei colloqui
con il difensore e il rinvio degli atti da parte dello stesso Tribunale, dopo la
reiterazione della sua richiesta in udienza, al Magistrato di sorveglianza di Cuneo,
che non l’aveva presa in considerazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità, deve
essere dichiarato inammissibile.

2

n. 94 del 2009, rilevando che il reclamo come formulato non consentiva di

2. Le deduzioni svolte dal ricorrente sono, infatti, del tutto generiche in
rapporto alle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata da parte del
Magistrato di sorveglianza, che, nel rigettare il reclamo proposto dal medesimo
eccependo l’illegittimità costituzionale della nuova disciplina in materia di limiti
temporali dei colloqui visivi e telefonici dei detenuti sottoposti a regime
penitenziario differenziato con i difensori, ha compiutamente rappresentato che
tale questione di legittimità costituzionale, sollevata in altro procedimento, era
stata già dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale, che,

tra giudizio principale e procedimento incidentale di costituzionalità e la
preclusione di ogni possibile controllo sulla rilevanza delle questioni per non
essersi indicato “se il reclamante avesse richiesto colloqui in eccesso rispetto al
limite attualmente consentito, se detti colloqui fossero pertinenti a specifici
procedimenti o adempimenti per i quali si ponessero esigenze difensive altrimenti
non assicurabili o se fossero intervenuti provvedimenti di rigetto
dell’Amministrazione penitenziaria”;

ha coerentemente evidenziato di avere

rigettato, richiamando detta ordinanza, analoghi reclami proposti dal ricorrente
Madonia con ordinanze del 22 settembre 2010 e dell’Il maggio 2011; ha
rimarcato, illustrando il contenuto del reclamo in oggetto, che i riferimenti in esso
operati alla particolare complessità del processo e agli elementi integranti la
stessa (sospensione dei termini di custodia cautelare, numero degli imputati, dei
testimoni e dei collaboratori di giustizia, quantità delle intercettazioni, numero
delle udienze) nulla dicevano in ordine alla presenza di esigenze difensive
specifiche del reclamante non adeguatamente assicurate dalla normativa vigente,
e ha conclusivamente rilevato che, in tale contesto, non poteva correttamente
instaurarsi un giudizio di costituzionalità della disciplina con essa introdotta e
coerentemente applicata dall’Amministrazione penitenziaria.
Il ricorrente, reiterando, in via di contrapposizione argomentativa, le ragioni
della rappresentata complessità del processo e ribadendo la rilevanza per dette
ragioni della prospettata questione di costituzionalità del regime dei colloqui
difensore-detenuto, di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., non si è correlato a tale
articolato iter argomentativo, esaustivo nei richiami fattuali e corretto in diritto, e,
dissentendo da esso, si è mantenuto su un piano di assoluta genericità.
3. Né una maggiore specificità è derivata dalle deduzioni espresse con i
motivi aggiunti, poiché, a parte il rilievo della inammissibilità di detti motivi in
conseguenza della inammissibilità del ricorso principale, i provvedimenti indicati
come limitativi in concreto delle esigenze difensive, mentre sono autonomamente
impugnabili, non possono integrare una carenza originaria della prescritta
specificità dei motivi del reclamo, soggetto, per principio consolidato (tra le altre,

3

con ordinanza n. 220 del 9 giugno 2010, aveva rilevato la coincidenza di oggetto

Sez. 1, n. 46904 del 10/11/2009, dep. 09/12/2009, Chindamo, Rv. 245683), alla
disciplina processuale di natura generale di cui all’art. 581 cod. proc. pen.
4. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma, equitativamente liquidata, di mille
euro in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella
proposizione del ricorso.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 12 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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