Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30314 del 07/07/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30314 Anno 2016
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALAMPI MATTEO N. IL 23/01/1969
ALAMPI GIUSEPPE N. IL 10/03/1974
SICLARI FRANCESCO N. IL 13/05/1968
ALAMPI VALENTINO N. IL 21/03/1978
STILLITANO SANTA N. IL 03/09/1975
avverso il decreto n. 20/2013 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 27/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI
AGOSTINACCHIO;
ett,41/-44\keLLA
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. CLacyt

Udit i difensor Avv

Data Udienza: 07/07/2016

CONSIDERATO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27/03/2015, depositata il 27/07/2015, la Corte di Appello
di Catanzaro – sezione misure di prevenzione rigettava i ricorsi proposti (anche)
da Alampi Matteo, Alampi Giuseppe, Alampi Valentino, Siclari Francesco e dal
terzo interessato Stillitano Santa, confermando, anche sotto il residuo aspetto
patrimoniale, il decreto n. 45/07 RGMP e 8/10 provv. del 06/11/2009 del
Tribunale di Reggio Calabria, Sezione misure di prevenzione, siccome esplicato

Con il decreto del 06/11/2009 era stata applicata ad Alannpi Matteo la
sorveglianza speciale di P.S. per la durata di anni 4 con obbligo di soggiorno nel
comune di residenza o di dimora abituale, ad Alampi Giuseppe, Alampi Valentino
e Siclari Francesco la stessa misura per la durata di anni tre con i medesimi
obblighi; era stata altresì disposta la confisca ex art. 2 ter I. 575/1965 dei beni
indicati alle lettere A), B), C) e D). Poiché la lettera D) elencava genericamente
“conti correnti, libretti di deposito al portatore, contratti di acquisto di titoli di
stato, azioni, obbligazioni, certificati di deposito, assicurazioni, con saldo attivo
superiore agli euro mille, contratti relativi a servizi di leasing e/o factoring,
contratti di concessione di cassette di sicurezza, intestati.. .ai proposti ed ai
familiari con loro conviventi”, con decreto del 09/03/2010, emesso de plano sulla
base di una nota integrativa del Nucleo di Polizia Tributaria, erano state
specificati quali fossero i rapporti di conto corrente, le polizze ed i depositi
oggetto di confisca.
2. Avverso l’ordinanza della corte territoriale hanno proposto distinti ricorsi
ricorso per cassazione Siclari Francesco, Alampi Giuseppe e Stillitano Santa,
Alannpi Matteo, Alampi Giuseppe e Alampi Valentino, tutti tramite i rispettivi
difensori di fiducia.
Francesco Siclari ha articolato due motivi, eccependo:
– la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 178
e 179 cod. proc. pen, 3 e 111 Cost., 6 CEDU, 4 commi 9 e 10 I. n.
1423/1956, 1 e 3-ter comma 2 I. n. 575/1965 con riferimento al decreto
del 09/03/2010, in quanto emesso in violazione dei principi del giusto
processo e del diritto ai tre gradi del giudizio, non potendosi tale
provvedimento considerare una integrazione del decreto genetico, con
conseguente lesione anche del diritto di difesa ;

con il provvedimento del 09/03/2010.

il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli
artt. 2-bis, 2-ter e 3-ter I. 575/1965, con riferimento all’applicazione della
misura di prevenzione patrimoniale, per quanto riguarda sia gli indizi di
appartenenza all’associazione mafiosa, in rapporto alla produzione di
proventi illeciti, sia la ritenuta sproporzione tra le disponibilità lecite del
proposto e il valore degli investimenti realizzati.
Giuseppe Alampi e Santa Stillano, coniugi, con un unico ricorso, hanno articolato

– il primo coincidente con quello proposto dal Siclari in relazione al decreto
del 09/03/2010;
la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 27
comma 6 d. Igs. 6/09/2011 n. 159 in quanto il giudizio di appello si era
celebrato oltre il termine perentorio di un anno e sei mesi previsto dalla
nuova normativa:
– la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 2- ter
I. n.575/1965, all’art. 4 Prot. N. 7 CEDU, all’art. 649 cod. proc. pen. circa
le somme depositate sui conti postali cointestati, provento di regali in
occasione del matrimonio avvenuto nel 1995, come documentato in atti,
con conseguente estraneità di tali importi all’investimento per l’acquisto
della quota della società Edilprimavera, oggetto d’indagine.
Alampi Matteo, Alampi Giuseppe e Alampi Valentino, con un unico ricorso, hanno
eccepito anch’essi la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 178 e 179 cod. proc. pen, 3 e 111 Cost., 6 CEDU, 4 commi 9 e 10 I. n.
1423/1956, 1 e 3-ter comma 2 I. n. 575/1965 con riferimento al decreto del
09/03/2010.
3. Con requisitoria scritta depositata il 14/03/2016 il Procuratore Generale ha
richiesto il rigetto dei ricorsi con ogni consequenziale statuizione ex art. 616 cod.
proc. pen.
RITENUTO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Va in primo luogo esaminata la questione processuale oggetto del primo
motivo del ricorso presentato nell’interesse di Siclari Francesco, del primo motivo
del ricorso presentato nell’interesse di Alampi Giuseppe e Stillano Santa e del

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tre motivi:

motivo unico del ricorso presentato nell’interesse di Alampi Mattei, Alannpi
Giuseppe e Alampi Valentino.
Occorre premettere a riguardo che la questione attiene il decreto emesso dal
tribunale in data 9/03/2010 ovvero in epoca successiva al deposito del decreto
del 06/11/2009, nel quale erano stati elencati i rapporti di conto corrente, le
polizze, i depositi oggetto di confisca, genericamente indicati alla lettera D) del
decreto originario; tale provvedimento, emesso de plano, è stato notificato agli

merito.
Con i suddetti motivi i ricorrenti, negando la natura integrativa del decreto del
09/03/2010 – perché emesso da un collegio formato da giudici diversi e perché
scaturito da una successiva esigenza di specificità dell’organo deputato
all’esecuzione della misura patrimoniale – reiterano in sede di legittimità la
violazione di vari principi cardine in materia processuale (il diritto di difesa, il
giusto processo, la regolare instaurazione del contraddittorio) già eccepita negli
stessi termini dinanzi alla corte di appello.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di
quelli già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito,
dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto
non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso il provvedimento
oggetto di ricorso (tra le tante Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012; Sez. 6 n.
22445 del 8 maggio 2009, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio 2005, rv.
231708). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una pronuncia di
appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa
riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere
considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte
d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei
requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone la esposizione
delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Cass. Sez. 6, sent.
n. 20377 del 11/03/2009, dep. 14/05/2009, Rv. 243838).
2.1 La corte territoriale, ricostruita puntualmente la fattispecie, ha affrontato e
adeguatamente risolto le censure dei ricorrenti evidenziando, in particolare, che
il decreto del 09/03/2010 corrispondeva ad precisa sollecitazione della PG che
doveva provvedere all’esecuzione del decreto di sequestro; esigenza determinata
anche dalla circostanza che nella parte dispositiva del decreto del 06/11/2009 si

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interessati durante il procedimento di appello al fine di eventuali deduzioni in

faceva menzione di un rigetto della proposta relativamente agli altri beni, per le
ragioni indicate in parte motiva.
La corte inoltre rilevava che sarebbe stato sufficiente ai fini della puntuale
individuazione di quali fossero i beni oggetto di apprensione fare riferimento
proprio alla parte motiva del decreto del 6/11/2009 quanto ai rapporti finanziari
oggetto di restituzione, sottolineando correttamente che nel provvedimento che
assume la forma del decreto non è consentito attribuire autonomia alla parte

del contenuto della decisione; che eliminando tali rapporti finanziari sarebbe
stato agevole individuare i residui beni oggetto di sequestro preventivo,
operazione para-aritmetica compiuta dal tribunale con il provvedimento del
09/03/2010 dal quale era del tutto avulsa qualsiasi portata decisoria, essendo in
realtà esso ricognitivo – specificativo di quanto statuito con il decreto del
06/11/2009 che aveva definito il primo grado del giudizio, senza alcuna lesione
dei diritti e degli interessi di prevenuti e terzi interessati; che il decreto collegiale
adottato dal tribunale con la finalità di ricognizione del compendio oggetto di
apprensione doveva ritenersi sovrabbondante rispetto all’esigenza cui si aveva a
rispondere, potendo a tanto bastare anche un semplice provvedimento
esplicativo del giudice delegato (circostanza che rendeva del tutto insignificante
anche la rilevata adozione del secondo decreto da parte di collegio diversamente
composto); che comunque gli interessati avevano avuto modo di interloquire in
fase di appello su entrambi i decreti emessi dal tribunale; che non aveva pregio
la censura circa la mancata possibilità di confrontarsi dialetticamente nell’ambito
del procedimento principale in ordine alla confiscabilità dei singoli beni indicati
con il provvedimento del 09/03/2010 in quanto oggetto della procedura era la
proposta di (sequestro e) confisca avanzata dal PM e delimitata dalla concreta
attuazione del decreto di sequestro sicchè era certamente possibile per i
prevenuti e dei terzi interessati interloquire proprio sui beni e rapporti finanziari
della cui disponibilità effettiva erano stati privati.
A fronte di tale articolato ragionamento, basato sulla corretta applicazione di
principi di diritto e sulla realtà processuale così come desumibile dagli atti, i
ricorrenti si sono limitati a critiche apodittiche che sostanzialmente ripetono il
contenuto degli atti di appello, senza dare debita attenzione agli argomenti spesi
dal giudice di secondo grado.
3. Aspecifico deve considerarsi anche il secondo motivo del ricorso di Alampi
Giuseppe e Stillitano Santa, del tutto indeterminato, non essendo indicate in

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dispositiva, fondendosi quest’ultima con la parte motiva nella efficacia esplicativa

modo preciso e completo le ragioni dell’eccepito vizio di legge, con riferimento
peraltro ad una norma (l’art. 27 del d.lgs. 159/2011) non applicabile al
procedimento in oggetto, iniziato con la proposta del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria in epoca anteriore all’entrata in
vigore della legge (art. 117 – disciplina transitoria).
4. Restano da esaminare il secondo motivo del ricorso di Siclari Francesco ed il
terzo motivo di quello dei coniugi Alampi – Stillitano.

qualificazione formale, il giudizio di fatto svolto nel provvedimento impugnato,
con conseguente sollecitazione rivolto alla corte di legittimità ad una
sovrapposizione argomentativa rispetto alla motivazione del giudice di merito, il
quale non ha omesso di soffermarsi sulle ragioni a fondamento della misura di
prevenzione applicata.
Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte nel procedimento di
prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge,
secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato
dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che,
in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in
sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod.
proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché
qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato
imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423
del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (da ultimo
Cass. sez. 1, sent. n. 6636 del 07/01/2016 – dep. 18/02/2016 – Rv. 266365).
Il controllo del provvedimento consiste pertanto solo nella verifica della
rispondenza degli elementi esaminati ai parametri legali, imposti per
l’applicazione delle singole misure e vincolanti, in assenza della quale ricorre la
violazione di legge sub specie di motivazione apparente.
Nel caso di specie i giudici di merito hanno compiutamente indicato, con
riferimento a Siclari Francesco, gli indizi di appartenenza all’associazione
mafiosa, in rapporto alla produzione di proventi illeciti, nonchè la ritenuta
sproporzione tra le disponibilità lecite del proposto e il valore degli investimenti
realizzati (pag. 5 del provvedimento della corte di appello, per gli aspetti di
pericolosità sociale, pagg. 6 e segg. per il versante patrimoniale); hanno
evidenziato in particolare la sopravvenuta definitività della condanna per il reato
associativo e la modesta entità degli introiti leciti (pagg. 49 e 50).

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Entrambi sono inammissibili perché tesi a censurare, al di là della loro

Per i coniugi Alampi – Stillitano la corte territoriale ha indicato a pag. 49 per
quale ragione ha escluso la capacità di accantonamento o risparmio – attese le
modeste entrate lecite, specificamente individuate – in tal modo rispondendo alla
censura, riproposta in questa sede, circa la derivazione delle somme depositate
sui conti postali confiscati da riserve di denaro risalenti al 1995.
5. Per le considerazioni esposte, dunque, tutti i ricorsi devono essere dichiarati
inammissibili.

delle spese del procedimento e ciascuno al versamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.500,00 (millecinquecento) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
del procedimento e ciascuno della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il giorno 7 luglio 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento

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