Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30310 del 05/07/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30310 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Daniele Caprara, quale difensore di
ALESSANDRO DE BERNARDI (n. il 03/12/1964), avverso l’ordinanza del G.I.P.
del Tribunale di La Spezia, in data 28/10/2015.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano Iasillo.
Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottoressa Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Osserva:

In data 28/07/2015 e 31/07/2015 venivano effettuati due sequestri, delle
cose indicate nei provvedimenti impugnati, a carico di Alessandro De Bernardi
indagato per i reati di ricettazione, falso e truffa.

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Data Udienza: 05/07/2016

A seguito del rigetto del P.M. dell’istanza di dissequestro l’indagato
proponeva opposizione innanzi al G.I.P. che – fissata udienza camerale ai sensi
dell’art. 263 del c.p.p. – rigettava la richiesta di restituzione di cui sopra in data
28/10/2015.
Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione il difensore dell’indagato
deducendo l’apparenza della motivazione sulle finalità probatorie del sequestro.
Rileva, inoltre, la stessa carenza motivazionale per la sussistenza del fumus
commissi delicti.

Il ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento dell’impugnato
provvedimento.

Motivi della decisione

1.

Il ricorso è manifestamente infondato.

2.

Infatti il G.I.P. ha correttamente evidenziato le ragioni per le quali

ritiene sussistente il funnus commissi delicti e perché sia necessario mantenere il
sequestro degli orologi (si veda, comunque, sul punto fumus il condiviso principio
di diritto sotto evocato). Tale decisione è stata adottata dopo che il Giudice ha
preso in considerazione, anche, la documentazione prodotta dal ricorrente. Il
G.I.P. rileva, sul punto, la difficoltà di accertamento da parte della P.G. di quanto
rappresentato dalla documentazione prodotta, costituita, in larga parte, da
fotocopie. Inoltre, il Giudice di merito sottolinea che tra le cose sequestrate vi è
anche documentazione falsa di case produttrici di orologi e di gioiellerie, situate
anche all’estero, una delle quali sarebbe proprio la gioielleria che, in base alla
documentazione prodotta, avrebbe venduto all’indagato due orologi che, quindi,
apparentemente sembrerebbero essere di lecita provenienza (si vedano le
pagine 2 e 3 dell’impugnato provvedimento).
3.

E’ quindi evidente la necessità di mantenere il vincolo ai fine della

prova fino a quando la P.G. non abbia compiuto tutti gli accertamenti dovuti.
4.

Sul punto questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio

che in tema di sequestro probatorio, con l’opposizione avverso il decreto del P.M.
di rigetto della richiesta di restituzione delle cose sequestrate sono deducibili
esclusivamente censure relative alla necessità di mantenere il vincolo a fini di
prova e non anche alla opportunità o legittimità del sequestro, che possono
essere fatte valere con la richiesta di riesame; ne consegue che l’ordinanza del
G.I.P. che provvede sull’opposizione è ricorribile per cassazione per tutti i motivi
indicati nell’art. 606, comma primo, cod. proc. pen., ma tali motivi non possono
surrettiziamente riproporre questioni che attengono alla legittimità del
provvedimento genetico (Sez. 3, Sentenza n. 24959 del 10/12/2014 Cc. – dep.

2

16/06/2015 – Rv. 264059). Inoltre, in tema di sequestro probatorio, in sede di
opposizione avverso il decreto del P.M. di rigetto della richiesta di restituzione
delle cose sequestrate, il giudice per le indagini preliminari non può ordinare

il

dissequestro per motivi che attengono alla legittimità del provvedimento
genetico, in quanto la competenza a decidere la fondatezza del “fumus” del reato
contestato è riservata in via esclusiva al Tribunale del riesame (Sez. 2, Sentenza

5.

Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del

ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in Roma, il 05/07/2016.

n. 50169 del 11/11/2015 Cc. – dep. 21/12/2015 – Rv. 265413).

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