Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30306 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30306 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASSANO GIOVANNI N. IL 16/09/1957
avverso l’ordinanza n. 72/2013 TRIB. LIBERTA’ di TARANTO, del
24/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI,
le,tté/sentite le conclusioni del PG Dott. f,

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 24/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Taranto, con ordinanza del 24.6.2013, in accoglimento
dell’appello del Pubblico Ministero avverso il provvedimento con il quale, in data
15.4.2013, il Giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale aveva
revocato il decreto di sequestro preventivo di un terreno, disposto dal G.I.P. il

ai reati di cui agli artt. 110, 323 e 479 cod. pen., ha disposto l’immediato
ripristino del vincolo cautelare.
Avverso tale pronuncia Giovanni CASSANO, quale amministratore unico
della «IMMOBILIARE GIRASOLE s.r.I.», proprietaria dell’area, indagato nel
procedimento, propone ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia.

2.Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 321 cod. proc.
pen. in relazione alla ritenuta sussistenza del periculum in mora, rilevando che,
nell’istanza di revoca accolta dal G.I.P., ne era stata fatta rilevare la cessazione in
considerazione dell’avvenuto annullamento, in autotutela, del permesso di
costruire in precedenza rilasciato, dandosi atto che i lavori non erano mai iniziati
e l’intervento non era conforme alla normativa urbanistica vigente.
Aggiunge che, al fine di confutare le obiezioni del Pubblico Ministero circa la
non definitività del provvedimento amministrativo, era stata prodotta, nel corso
dell’udienza camerale, una certificazione attestante l’assenza di impugnazioni e
la richiesta di restituzione degli oneri concessori versati da parte della società per
il rilascio del titolo abilitativo revocato.
Ciò nonostante, osserva, il Tribunale ha giustificato il ripristino della misura
reale sul presupposto che il provvedimento di revoca avrebbe potuto essere
annullato o revocato dalla stessa amministrazione, con conseguente reviviscenza
degli effetti giuridici del permesso di costruire illegittimo, considerato anche che
il funzionario che lo aveva emesso (l’indagato Bartolomeo ZIZZI) era ancora in
carica e che la spregiudicatezza dimostrata dal CASSANO ed i rilevanti interessi
economici derivanti dall’illecita edificazione non consentivano di escludere la
possibile commissione di illeciti urbanistici e paesaggistici.
Rilevato, quindi, che risultava documentalmente provato come lo ZIZZI non
svolgesse più le funzioni che gli avevano consentito di rilasciare il provvedimento
illegittimo, assumeva che la revoca del titolo abilitativo aveva sostanzialmente
ripristinato la situazione antecedente alla sua emissione e che, ciò nonostante, il
Tribunale aveva ipotizzato la eventuale sussistenza di situazioni che, tuttavia,

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12.12.2011 nei confronti di Giovanni CASSANO e Bartolomeo ZIZZI, in relazione

non sarebbero idonee ad integrare il pericolo concreto ed attuale richiesto dalla
norma.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in
relazione alla ritenuta confiscabilità dell’area, da parte dei giudici dell’appello, in
relazione al disposto degli artt. 321, comma 2-bis e 335-bis cod. proc. pen.,
stante la contestazione dell’abuso di ufficio, nonché a mente dell’art. 321,
comma 2 cod. proc. pen., trattandosi di cosa servita o destinata a commettere il

Rileva, a tale proposito, che con riferimento al delitto di cui all’art. 323 cod.
pen., il solo titolo abilitativo può ritenersi prodotto o profitto del reato, in quanto
l’area sequestrata era nella sua disponibilità ben prima dell’emissione del
provvedimento illegittimo e che detta area non potrebbe, in ogni caso,
considerarsi cosa servita a commettere il reato, né destinata alla realizzazione
del reato di abuso d’ufficio del quale egli è chiamato a rispondere quale
concorrente.

4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge e,
richiamando le argomentazioni precedentemente svolte, rileva come il ripristino
della misura reale debba ritenersi privo di correlazione con i reati oggetto di
contestazione.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
Va premesso, sulla base di quanto emerge dal contenuto del provvedimento
impugnato e del ricorso, unici atti ai quali questa Corte ha accesso, che la
vicenda in questione riguarda la concessione, da parte di Bartolomeo ZIZZI,
responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Martina Franca, di
un permesso di costruire in favore della società amministrata dal CASSANO per la
realizzazione di 44 appartamenti in 6 corpi di fabbrica nonostante l’area
interessata dall’intervento fosse compresa in «Zona di espansione estensiva case
isolate E4», con possibilità di edificare unicamente 14 unità abitative abbinate in
coppie di lotti e soggetta a vincolo paesaggistico in quanto territorio sottoposto a
rimboschimento.
Per l’intervento edilizio non risultava emessa la preventiva autorizzazione

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reato.

paesaggistica ed, inoltre, nel provvedimento emesso, lo ZIZZI aveva falsamente
qualificato lo stesso come ristrutturazione urbanistica, finalizzata alla
sostituzione dell’esistente tessuto urbanistico con altro diverso, mentre l’area era
completamente inedificata.
Risulta, poi, dai medesimi atti, che il permesso di costruire è stato
successivamente annullato in sede di autotutela e che l’area non è stata oggetto
di interventi di alcun genere. Inoltre, il provvedimento di revoca non è stato

6. Date tali premesse, occorre ricordare, come, con riferimento proprio al
sequestro preventivo disposto in relazione a violazioni della disciplina
urbanistica, le Sezioni Unite di questa Corte abbiano da tempo precisato che la
misura cautelare reale «va disposta nelle situazioni in cui il non assoggettamento
a vincolo della cosa pertinente al reato può condurre, in pendenza
dell’accertamento del reato, non solo al protrarsi del comportamento illecito
ovvero alla reiterazione della condotta criminosa ma anche alla realizzazione di
ulteriori pregiudizi quali nuovi effetti offensivi del bene protetto» aggiungendo
anche che «tali effetti debbono essere connessi con l’imputazione contestata e
l’intervento preventivo collegato con le finalità di repressione del reato. Più
specificatamente va detto che il pericolo, in quanto probabilità di un danno
futuro, deve avere caratteristiche di concretezza e richiede, quindi, un
accertamento in concreto, sulla base di elementi di fatto, in ordine all’effettiva e
non generica possibilità che la cosa di cui si intende vincolare la disponibilità
assuma, in relazione a tutte le circostanze del fatto (natura della cosa, la sua
connessione con il reato, la destinazione alla commissione dell’illecito, le
circostanze del suo impiego), una configurazione strumentale rispetto
all’aggravamento o alla protrazione del reato ipotizzato ovvero alla agevolazione
alla commissione di altri reati» (SS. UU. n. 12878, 20 marzo 2003).
Tali affermazioni sono state successivamente ribadite, in linea generale e
con riferimento a diverse tipologie di reato, osservando che il periculum in mora
deve essere concreto ed attuale e valutato in base alla situazione esistente al
momento dell’adozione del provvedimento cautelare, con la conseguenza che
non può essere inteso come mera astratta eventualità, bensì come

concreta

possibilità, desumibile dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto,
che la libera disponibilità del bene assuma carattere strumentale rispetto alla
agevolazione della commissione di altri reati della stessa specie, richiedendosi
anche l’ulteriore requisito della

pertinenzialità

del bene sequestrato,

caratterizzata da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al
reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale

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impugnato.

tra la cosa ed il reato (Sez. V n.12064, 29 marzo 2010; Sez. III n. 11769, 17
marzo 2008; Sez. III n.39011, 23 ottobre 2007; Sez. IV n. 5302, 10 febbraio 2004;
Sez. III n.2114, 18 giugno 1997; Sez. I n.1473, 15 settembre 1995).
Con specifico riferimento alle violazioni urbanistiche o paesaggistiche, il
periculum in mora si è ritenuto sussistente: per la sola esistenza di una struttura
abusiva in zona vincolata, in quanto il rischio di offesa al territorio e all’equilibrio
ambientale, a prescindere dall’effettivo danno al paesaggio e dall’incremento del
carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l’utilizzazione della

l’intervenuta sospensione dei lavori disposta in via amministrativa (Sez. III n.
47372, 20 dicembre 2011), ovvero nel caso in cui il sindaco abbia sospeso la
concessione edilizia e sia stata rigettata dal T.A.R. la richiesta cautelare di
sospensiva del provvedimento sindacale (Sez. VI n. 1747, 11 giugno 1998) in
quanto tali provvedimenti cautelari assolvono ad una funzione solo parzialmente
coincidente con quelli disposti in sede penale; in presenza della mera
presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria (Sez. III n.
39731, 3 novembre 2011) o di condono edilizio (Sez. III n. 32201, 7 agosto 2007).
Per ciò che riguarda, invece, il delitto di abuso d’ufficio, questa Corte ha
specificato che, ai fini del sequestro, il giudice penale può considerare inesistente
una concessione formalmente rilasciata, quando sia plausibile che il
provvedimento sia frutto di collusione criminale tra il privato ed i titolari
dell’organo amministrativo competente o, comunque, di un comportamento
penalmente illecito di costoro (Sez. VI n.39523, 8 ottobre 2004); che la misura
può essere applicata anche su bene immobile ultimato, la cui edificazione è stata
consentita con illegittima autorizzazione edilizia integrante reato di abuso di
ufficio, in quanto l’esistenza di una costruzione non conforme alla legge o agli
strumenti urbanistici è suscettibile di produrre anche nel futuro un danno
ambientale e, pertanto, è idonea a protrarre le conseguenze del reato (Sez. VI n.
732, 15 gennaio 2004); per interrompere un utilizzo contra legem di un bene
immobile la cui destinazione d’uso è stata consentita con abuso di ufficio (Sez. VI
n. 2887, 21 gennaio 2003; Sez. VI n.2325, 29 agosto 1996, citata anche nel
provvedimento impugnato).

7. Ciò premesso, deve rilevarsi che la situazione di fatto valutata dai giudici
dell’appello risulta ben diversa, per ciò che in questa sede può essere rilevato
sulla base degli atti disponibili, da quella che caratterizzava le fattispecie prese in
esame nei provvedimenti appena richiamati (ed in quelli menzionati nel
provvedimento impugnato).
Invero, i reati ipotizzati (falso ed abuso d’ufficio) risultano consumati e non

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costruzione ultimata (Sez. III n. 42363, 15 ottobre 2013); nonostante

hanno prodotto effetti concreti, perché al permesso di costruire illecitamente
conseguito non sono seguiti gli interventi edilizi indebitamente autorizzati.
Neppure risulta possibile la produzione di conseguenze future perché l’atto
amministrativo illecito è stato revocato ed il provvedimento di revoca non risulta
impugnato.
Ha ragione dunque il ricorrente quando afferma che la situazione sottoposta
alla valutazione dei giudici era perfettamente sovrapponibile a quella esistente
prima del rilascio del permesso di costruire.
periculum che

giustificherebbe il ripristino della misura cautelare reale nella possibilità di una
successiva reviviscenza degli effetti del provvedimento illegittimo attraverso
l’annullamento o la revoca di quello adottato in autotutela, peraltro senza
particolare risolutezza, nonché nella possibilità che il proprietario dell’area,
avendone la disponibilità, possa, in ragione della spregiudicatezza dimostrata ed
in previsione del vantaggio economico derivante dalla realizzazione dei
manufatti, commettere violazioni della disciplina urbanistica e paesaggistica.

8. Le circostanze valorizzate dai giudici dell’appello difettano, tuttavia, del
necessario requisito della concretezza che i principi giurisprudenziali sopra
menzionati hanno più volte posto in evidenza, mancando anche ogni nesso
strumentale tra la cosa ed il reato.
Invero, osserva il Collegio che le situazioni prese in esame dal Tribunale quali
conseguenze della libera disponibilità dell’area da parte del ricorrente restano
confinate nell’ambito delle mere ipotesi, non potendosi ragionevolmente
ravvisare alcuna proiezione futura delle condotte illecite, esauritesi nel rilascio di
un provvedimento amministrativo ormai revocato e che neppure aveva prodotto
alcun effetto concreto in precedenza.
La situazione di fatto è connotata da una evidente staticità, determinata dal
fatto che il provvedimento abilitativo che avrebbe favorito la realizzazione di
illeciti urbanistici e paesaggistici non è più in essere e che nessun intervento
edilizio è stato effettuato dal proprietario dell’area, neppure quando il permesso
di costruire illecito poteva costituire un valido pretesto.
La rilevanza di tale stato di cose non può ritenersi affievolita neppure sulla
base delle ulteriori argomentazioni, che pongono l’accento sulla spregiudicatezza
dei soggetti coinvolti e sulla rilevanza dei vantaggi economici derivanti dalla
realizzazione degli alloggi, trattandosi di generiche illazioni che non tengono
peraltro conto del fatto che ai soggetti coinvolti, proprio in ragione delle disposte
indagini e dei provvedimenti precedentemente assunti, è ora
incontrovertibilmente nota la situazione dei luoghi, la destinazione urbanistica

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Di ciò è consapevole il Tribunale, il quale infatti individua il

dell’area e l’attenzione dell’autorità giudiziaria procedente. In altre parole, a
fronte della inequivoca impossibilità di realizzare, sull’area sequestrata, un
intervento edilizio diverso da quello consentito dalla destinazione di zona, ogni
determinazione da parte del competente ufficio comunale finalizzata a rendere
possibile la realizzazione di opere non assentibili ed ogni azione in tal senso
posta in essere dal proprietario dell’area sarebbero suscettibili di immediata
valutazione in sede penale con esiti pressoché scontati.
In definitiva, la situazione valutata dal Tribunale non consentiva, ad avviso di

9. Il provvedimento impugnato merita censura anche nella parte in cui
giustifica il provvedimento in ragione della confiscabilità dell’area, mancando una
relazione specifica e stabile tra detto bene e l’illecito, tale da dimostrare
l’esistenza di rapporto strutturale e strumentale, che è richiesta anche con
riferimento alla confisca prevista dall’art. 335-bis, cod. pen. (cfr. Sez. VI n. 26094,
4 luglio 2011).
La illecita condotta posta in essere dagli indagati era infatti finalizzata
all’illecito rilascio di un titolo abilitativo al fine di consentire l’esecuzione di un
intervento abusivo non realizzabile sull’area medesima che non rappresenta,
pertanto, diversamente da quanto affermato dal Tribunale, la cosa servita o
destinata a commettere i reati, essendo ad essi collegata da un rapporto di mera
occasionalità.
L’area sequestrata altro non è se non il luogo ove, mediante l’esecuzione di
opere o altri interventi finalizzati a modificarne l’originario assetto, si sarebbero
concretamente manifestate le conseguenze dell’illecito rilascio del titolo
abilitativo che indebitamente le consentiva e non risulta necessariamente
finalizzata al compimento del reato.
Va peraltro rilevato che quanto appena rilevato non si pone in contrasto con i
precedenti giurisprudenziali menzionati dal Tribunale nell’impugnato
provvedimento (Sez. VI n. 2887, 21 gennaio 2003; Sez. VI n.2325, 29 agosto
1996) ove la legittimità della misura reale viene riconosciuta in ragione della
necessità di interrompere condotte illecite ancora in essere, come emerge
chiaramente dal riferimento alla necessità di
“contra legem” dell’assetto del territorio»

«impedire l’ulteriore modifica

ovvero la «illecita variazione di un

complesso edilizio e della originaria destinazione d’uso».

10. Il provvedimento impugnato deve conseguentemente essere annullato
senza rinvio.

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questa Corte, una positiva valutazione della sussistenza del periculum.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Dispone la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.
Manda alla Cancelleria per la comunicazione di cui all’art. 626 cod. proc.
pen.

Così deciso in data 24.6.2014

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