Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30296 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30296 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORTUNATO FRANCESCO N. IL 12/04/1950
avverso la sentenza n. 4380/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 05/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 11/06/2014

RITENUTO IN FATTO
Il difensore di Fortunato Francesco ricorre avverso la sentenza 5.12.2013 della
Corte d’Appello di Palermo che ha confermato la colpevolezza dell’imputato in ordine al
reato di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni
dei propri dipendenti per il mese di luglio 2006 per un importo complessivo di C. 956,00.
Con un primo motivo denunzia mancanza della motivazione in riferimento alla
sussistenza del dolo. Dopo avere richiamato la giurisprudenza che ritiene necessaria, ai fini
della sussistenza del reato, la prova della avvenuta corresponsione della retribuzione ai

pubblica accusa; osserva inoltre di non avere avuto coscienza e volontà della violazione,
essendo caduto in errore anche sui giorni in cui doveva presentarsi alla PG.
Con un secondo motivo, attinente al trattamento sanzionatorio, denunzia la
mancanza di motivazione sulla congruità della sanzione applicata, perché la Corte d’Appello,
a suo dire, avendo riconosciuto latliUe entità dei fatti e la minima intensità del dolo, avrebbe
dovuto ridurre ulteriormente la pena, in applicazione dei criteri direttivi di cui all’art. 133 cp
anche alla lue dei principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza sotto entrambi i profili.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, (Sez. 3, Sentenza n. 47340 del 15/11/2007 Ud.
dep. 20/12/2007; Cass. n. 7044 del 1987; éass. 33141 del 2002) nella fattispecie non è
affatto richiesto il dolo specifico, ma quello generico, il quale consiste in definitiva nella
volontarietà dell’omissione. Di conseguenza, una volta accertata la volontarietà di tale
omissione, non occorre un’esplicita motivazione sull’esistenza del dolo. La volontarietà
dell’omissione si desume dunque dal mancato versamento delle ritenute alla scadenza del
termine fissato.
E’ stato altresì affermato, anche a sezioni unite (tra le varie, Sez. U, Sentenza n.
27641 del 28/05/2003 Ud. dep. 23/06/2003), che il reato di cui all’art. 2 della legge 11
novembre 1983 n. 638 non è configurabile in assenza del materiale esborso delle relative
somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione.
La prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni nel processo per
l’imputazione del delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali
può essere tratta dai modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi
contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), sempre che non
risultino elementi contrari. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 46451 del 07/10/2009 Ud. dep.
02/12/2009; Sez. 3, Sentenza n. 14839 del 04/03/2010 Ud. dep. 16/04/2010 secondo cui
l’effettiva corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, a fronte di
un’imputazione di omesso versamento delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali,
può essere provata sia mediante il ricorso a prove documentali, come i cosiddetti modelli
DM/10 trasmessi dal datore di lavoro all’INPS, sia mediante il ricorso a prove testimoniali,

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lavoratori, il Fortunato rileva che nel caso di specie tale prova non era stata offerta dalla

sia mediante il ricorso alla prova indiziaria).
Nel caso di specie, la Corte siciliana ha fatto puntuale applicazione di tale regola
laddove ha desunto la prova della corresponsione delle retribuzioni da elementi indiziari
rappresentati appunto dai modelli DM 10 formati dallo stesso imputato, e dalla assenza di
elementi contrari.
Il passaggio motivazionale utilizzato è dunque corretto in direto, logicamente
coerente e pertanto assolutamente insindacabile in questa sede.
2.

Quanto alla critica sul trattamento sanzionatorio, è bene ricordare che

edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo,
cod.pen., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo
aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3,
Sentenza n. 33773 del 29/05/2007 Ud. dep. 03/09/2007 Rv. 237402).
Nel caso di specie, la Corte di merito ha richiamato i plurimi precedenti penali ed
ha ritenuto la pena adeguata in rapporto al caso concreto e alla misura non marginale
dell’evasione contributiva (C. 956,00): sulla base del principio esposto, la motivazione è
sufficiente, considerata l’entità della pena inflitta (mesi quattro di reclusione e C. 600,00 di
multa), certamente non lontana dai minimi edittali (l’art. 2 del Decreto Legge 12 settembre
1983, n. 463 convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, prevede la
reclusione fino a tre anni e la multa fino a lire 2.000.000 (C 1032,91).
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione
pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
osì deciso in Roma, il 11.6.2014.

nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi

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