Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30295 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30295 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARCHI RICCARDO N. IL 20/08/1964
avverso la sentenza n. 453/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
28/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 9Ea960 k’pe-Q_Cerp2:
che ha concluso per „elna/rnmi-Z2aì

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Data Udienza: 11/06/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell’ odierno ricorrente MARCHI RICCARDO, con sentenza del 28/10/2013 confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Firenze in data 09/05/2012, condannandolo alle spese processuali del grado.
Il giudice di prime cure aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato previsto dall’art. 10quater D.L.vo 74/2000 perché nella qualità di amministratore
unico della Rezzato Coop. ari, mediante la presentazione di più modelli F24, non

ponendo in compensazione inesistenti crediti iva:
26.07.2006 compensazione di C 18.403,79
04.08.2006 compensazione di C 14.195,00
10.08.2006 compensazione di C 4.596,00
11.08.2006 compensazione di €9.777,00
13.10.2006 compensazione di C 10.870,00
16.11.2006 compensazione di C 9.611,00
20.11.2006 compensazione di C 5.249,00
13.12.2006 compensazione di C 2.574,74
18.12.2006 compensazione di C 14.120,00
Lo aveva condannato alla pena di mesi 4 di reclusione, oltre al pagamento
delle spese processuali.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, personalmente, l’imputato, deducendo l’unico motivo di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma
1, dísp. att., cod. proc. pen.:
• mancanza o manifesta illogicità della motivazione art. 606 comma 1 lett.
e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62 bis cod. pen. e all’art. 133 cod. pen.
Deduce il ricorrente che nella sentenza impugnata non vi sarebbe una atten-

versava somme dovute a titolo di ritenute, contributi previdenziali assicurativi

ta valutazione in merito alla possibilità di concedere le circostanze attenuanti generiche.
Detta valutazione avrebbe consentito un trattamento sanzionatorio più
equo, adeguato e misurato al caso concreto.
Ancora, lamenta una motivazione insufficiente in tema di congruità della pena applicata stante la mancanza di ogni riferimento ai parametri previsti
dall’art.133 cod. pen.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge.

2

4

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.

2.

La Corte d’Appello motiva compiutamente in relazione alla mancata

concessione delle attenuanti generiche con riferimento alla carenza di prova del
ruolo di semplice prestanome dell’imputato ed all’avvenuta irrogazione di una pena minimale rispetto alla gravità oggettiva del fatto ed alla personalità negativa

La doglianza proposta sul punto si palesa peraltro generica in quanto il ricorrente non indica l’elemento in ipotesi non valutato o mal valutato, mentre la corte
territoriale ha valorizzato, a fondamento del diniego, i due elementi sopra ricordati.
Va rilevato in proposito che ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, come più
volte ribadito da questa Corte, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
(così questa Sez. 3, n. 23055 del 23.4.2013, banic e altro, rv. 256172, fattispecie
in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esdusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).

3. Infondata appare anche la censura di insufficiente motivazione in tema di
congruità della pena, essendo stata la stessa determinata nel minimo edittale.
Sul punto costante giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra
nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod.
pen. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in
cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla
pena edittale (sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20.9.2004 m 230278).
Il potere discrezionale del giudice di merito nel quantificare la pena è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se
prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare
criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui
all’art. 133 cod. pen. (così, di recente, sez. 4, n. 21294 del 20.3.2013, Serratore,
rv. 256197; conf. sez. 2, n. 28852 dell’8.5.2013, Taurasi e altro, rv. 256464;

3

dell’Imputato in relazione ai numerosi precedenti penali dello stesso.

sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013, Monterosso, rv. 255153).
Già in precedenza si era, peraltro, rilevato come la specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran
lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le
espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come
pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così sez. 2, n.

4. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di

inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 111 giugno 2014.

36245 del 26.6.2009, Denaro, rv. 245596).

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