Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30294 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30294 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORSI GIANCARLO N. IL 09/06/1937
avverso la sentenza n. 1681/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
30/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. beee.20~
che ha concluso per ,e‘i_di curn,rnabrigeth:’ 0929._ 9e-ìicests-o,

Data Udienza: 11/06/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell’ odierno ricorrente CORSI GIANCARLO, con sentenza del 30/05/2013 riformava la sentenza
di condanna emessa dal Tribunale di Firenze in data 27/03/2012, ritenuta la
continuazione tra il reato di cui a tale sentenza e quello per il quale il Corsi aveva
riportato condanna con decreto penale emesso dal GIP del Tribunale di Firenze in
data 16/07/2007, rideterminava la pena per il reato continuato in mesi 4 di reclusione ed C 400,00 di multa; sostituiva la pena detentiva con C 4.560,00 di

fermando nel resto.
Il giudice di prime cure aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato previsto dagli artt. 81 comma 2 cod. pen. e 2 L. 638/83 perché ometteva di versare
all’INPS le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, relative ai periodi da novembre 2005 a dicembre 2005, da febbraio 2006 a aprile 2006 e da agosto 2006 a gennaio 2007, per un importo complessivo di C 63.891,00. Reati commessi in Firenze dal 16/12/2005. Lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 5 di redusione ed C 500,00 di
multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con
l’ausilio del proprio difensore, l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen.: erronea applicazione dell’art. 2 L. 638/83; inversione dell’onere probatorio, violazione art 533
cod. proc. pen.; manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod.
proc. pen.; erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
Deduce il ricorrente che non risulterebbe provata l’effettiva corresponsione
delle retribuzioni. L’avvenuta presentazione dei modelli DM 10 sarebbe inidonea
a fornire tale prova in maniera completa ed esaustiva.
La Corte avrebbe affermato in modo perentorio e privo di motivazione la validità probatoria della documentazione prodotta dall’accusa, con ciò imponendo
un’inammissibile inversione dell’onera della prova.
b. mancanza e illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc.
pen.; violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen.: erronea applicazione dell’art. 2 L 638/83 nella parte in cui prevede l’effetto estintivo del reato come effetto del versamento del dovuto.

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multa e pertanto determinava la pena complessiva in e 4.960,00 di multa, con-

Contesta il ricorrente la legittimità dell’atto di contestazione dell’addebito
notificato all’imputato, al fine di dichiarare la decorrenza o meno del temine di 90
giorni per sanare l’inadempimento verso l’Ente Previdenziale.
Detto atto sarebbe stato notificato al ricorrente dopo l’inizio della procedura
di concordato preventivo in violazione della Legge Fallimentare che paralizza le
azoni di recupero dei creditori, siano essi soggetti pubblici o privati, che potranno
far valere i propri diritti solo all’interno della procedura.
Pertanto il termine dei novanta giorni per l’adempimento non sarebbe vali-

La Corte, a giudizio del ricorrente, non avrebbe risposto alla questione giuridica avanzata nell’atto di appello, limitandosi ad affermare in maniera apodittica
e senza motivazione la validità della notifica.
La questione sollevata non atteneva, invece alla validità della notifica, ma
alla legittimità dell’awiso, al fine di rimettere in termini l’imputato e considerare
tempestivo il pagamento avvenuto.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con le conseguenti pronunce.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.

2. Quanto alla individuazione dell’elemento costitutivo del reato di cui all’art.
2 commi 1 e ibis. D.L. n. 463/1983 (convertito nella legge 638/83 e succ. mod.),
è vero che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n. 27641 del 28.5.2003, Silvestri, rv. 224309; conf. sez. 3, n. 35948 del 30.5.2003. Paletti, rv. 225552; sez.
3, n. 42378 del 19.9.2003, Soraci, rv. 226551) hanno affermato che il reato di
cui all’art. 2 della legge 11 novembre 1983 n. 638 non è configurabile in assenza
del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione.
E’ stato, tuttavia, anche precisato che la prova dell’effettiva corresponsione
delle retribuzioni, nel processo per il reato di cui ci si occupa, può essere tratta
dai modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), sempre che non
risultino elementi contrari. (dr., ex plurímis, questa sez. 3, n. 46451 del
7.10.2009, Carella, rv. 245610; aez. 3, n. 14839 del 4.3.2010, Nardiello, rv.
246966 secondo cui l’effettiva corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, a fronte di un’imputazione di omesso versamento delle relative ritenute

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damente decorso.

previdenziali ed assistenziali, può essere provata sia mediante il ricorso a prove
documentali, come i cosiddetti modelli DM/10 trasmessi dal datore di lavoro
all’INPS, e testimoniali, sia mediante il ricorso alla prova indiziaria).
Univoco è sempre stato l’orientamento di questa sezione sul punto. Ciò in
quanto si è sempre ritenuto che gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivalga all’attestazione di aver corrisposto

(sez. 3, 37145 del 10.4.2013, rv.256957)
La Corte di merito ha fatto puntuale applicazione di tale regola laddove ha
accertato la prova della corresponsione e della retribuzione sulla scorta della produzione dei modelli DM 10 e ha anche ricordato, in un percorso argomentativo
logicamente coerente, che il Corsi non ha fornito prova contraria che le retribuzioni non erano state erogate.
La Corte territoriale non ritiene ci sia, come lamenta il ricorrente,
un’inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato, ma ritiene condivisibilmente che la prova dell’avvenuta corresponsione possa essere fornita facendo
ricorso alla presentazione dei modelli D.M., ferma restando la possibilità per
!Imputato di fornire prova contraria in ordine alla effettività delle retribuzioni.
Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali
operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2 della legge 11 novembre 1983 n. 638) non è configurabile – va ribadito- in assenza
del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione. In presenza delle denunce contributive, tuttavia, l’onere di dimostrare
eventuali difformità rispetto alla situazione in esse rappresentata, incombe sul
soggetto che la deduce, sia che si tratti dell’imputato che dell’organo dell’accusa.
(sez. 3, n. 32848/2005 Rv. 232393)
Del resto, nel caso di specie, Io stesso ricorrente ammette di avere presentato detti modelli, ipotizzando che detta presentazione avesse avuto lo scopo di far
apparire ai terzi una situazione patrimoniale ed economica ancora solida.
Di fronte al percorso argomentativo, della sentenza impugnata, che dunque
esiste ed è logicamente coerente, nessun sindacato è consentito in questa sede.

3. Parimenti manifestamente infondato appare anche il secondo motivo di
ricorso.
Sul punto va qui ribadita la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo
cui in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la
comunicazione della contestazione dell’accertamento della violazione non neces4

le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi.

sita di formalità particolari, potendo essere effettuata, indifferentemente, mediante un verbale di contestazione o una lettera raccomandata ovvero ancora per
mezzo di una notificazione giudiziaria e ad opera sia di funzionari dell’istituto
previdenziale sia di ufficiali di polizia giudiziaria (cfr. ex plurimis sez. 3 n. 2589
del 17.10.2013 dep. 22.1.2014, rv. 258373; conf. sez. 3, n. 45304 del
16.10.2013, Di Martino, rv. 257688).
Correttamente ha affermato la sentenza impugnata che a fronte
dell’avvenuta notificazione dell’avviso di accertamento l’imputato avrebbe dovuto

La sentenza di questa sezione n. 29616 del 14.6.2011, Vescovi rv.
250529, richiamata dalla Corte di appello inequivocamente ha affermato che risponde del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2, D.L. 12 settembre
1983, n. 463, conv. con mod. in legge 11 novembre 1983, n. 638) il legale rappresentante di una società dichiarata fallita in quanto obbligato, ove non dichiarato fallito personalmente, al pagamento delle ritenute con le personali risorse
finanziarie. (Nella specie, la Corte ha ritenuto infondata l’eccezione dell’imputato
secondo cui l’omesso versamento delle ritenute all’Istituto previdenziale, a seguito della dichiarazione di fallimento, sarebbe stato imposto dalla necessità di evitare il rischio di vedersi contestato il delitto di bancarotta preferenziale per aver
privilegiato un creditore).
Il provvedimento impugnato, sul punto, motiva in maniera adeguata ed
esaustiva sulla censura di appello drca la legittimità dell’avviso a far decorrere il
termine per il pagamento.
La Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, e pertanto immune
dai denunciati vizi di legittimità, evidenzia che l’imputato, non coinvolto personalmente dalla procedura di concordato preventivo, che riguardava una società di
capitali, avrebbe dovuto provvedere in ogni caso, con le proprie personali risorse,
al versamento della somma dovuta all’INPS. Essendo stato, dunque, validamente
avvisato, il pagamento delle somme dovute- effettuato, come ricorda la Corte del
merito nei mesi di aprile e maggio 2009- deve ritenersi tardivo rispetto al termine
di 90 giorni e pertanto inefficace in rapporto alla causa di non punibilità prevista
dalla legge.

4. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di

inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della
parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura
indicata in dispositivo.

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provvedere al versamento delle somme.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, 1’11 giugno 2014.

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