Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30292 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30292 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ER RAJIL MOHAMED N. IL 01/01/1978
avverso la sentenza n. 6523/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
07/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per 2, _

Att:

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 11/06/2014

RITENUTO IN FATTO
1.

La Corte d’Appello di Milano / con sentenza 7.2.2013 1 ha confermato la

colpevolezza di El Rajil Mohamed pronunciata, all’esito di giudizio abbreviato, dal
Tribunale di Voghera in ordine reato di detenzione e cessione continuata di
stupefacenti del tipo cocaina (artt. 81 cp e 73 commi

1 e 1 bis DPR n. 309/1990),

negando l’attenuante del fatto di lieve entità non potendosi valutare la vicenda
nell’ambito del piccolo spaccio.

di legge e la carenza di motivazione in ordine al diniego dell’i3otesi del fatto di lieve
entità di cui all’art. 73 comma 5 del DPR n. 309/1990. Rileva7ri sostanza che nel caso
di specie, le quantità cedute singolarmente e di volta in volta dall’imputato non sono
state di entità e qualità tali da escludere la concessione dell’attenuante in questione,
evidenziando altresì il numero determinato delle persone coinvolte e la durata della
presunta attività, sicchè doveva ritenersi che la sua attività fisse di carattere modesto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorsovmanifestamente infondato.
Come affermato più volte dalla giurisprudenza di questa Corte, ai fini della
concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui
all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare
complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli
concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che
attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze
stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere
il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad

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escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entità 6 (cfr. Sez. 4,
Sentenza n. 6732 del 22/12/2011 Ud. dep. 20/02/2012 Rv. 251942; Sez. U, Sentenza
n. 35737 del 24/06/2010 Ud. dep. 05/10/2010 Rv. 24791; Sez. 4, Sentenza n. 43399
del 12/11/2010 Ud. dep. 07/12/2010 Rv. 248947).
Nella fattispecie che ci occupa, la Corte di Pelatmtia ha affrontato compiutamente
il tema dell’attenuante del fatto di lieve entità (all’epoca della pronuncia l’ipotesi era
ancora qualificata dal legislatore come attenuante, essendo stata introdotta l’ipotesi
autonoma di reato dall’art. 2 del d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito nella legge
21 febbraio 2014, n. 10). In particolare, per giustificarne il diniego, ha ritenuto che
non si era in presenza di uno spaccio di carattere occasionale, tenuto conto del
numero elevato delle cessioni di cocaina (il capo P prevede 70 episodi) effettuate per
un discreto periodo e con un regolare importo. Ha desunto pertanto una disponibilità
quotidiana di cocaina anche per lunghi periodi di tempo, sintomo dell’esistenza di
sicuri contatti con l’ambiente del narcotraffico. Ha sottolineato le modalità dello
spaccio, poste in essere con evidenti ripartizioni dei compiti e, sempre in tolo 1 ■3

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2. L’imputato e il difensore ricorrono per cassazione denunziando la violazione

soddisfare un numero rilevante di consumatori, precisando inoltre che il divario
temporale dell’attività (dal 2008 al 2010) ne confermava il livello organizzativo.
Ha ritenuto infine impossibile una ulteriore riduzione della pena, già applicata dal
primo giudice nel minimo edittale (anni 6 di reclusione, con riferimento alla pena
base), considerata alttresì la concessione delle attenuanti generiche e la modestia
degli aumenti a titolo di continuazione.
Come si vede, si è in presenza di un percorso argomentativo completo

parametri normativamente indicati: esso si sottrae pertanto decisamente alla critica
rivolta dal ricorrente, che invece, lungi dal segnalare violazioni di legge o salti logici
nel ragionamento dei giudici di appello, introduce nel giudizio di cassazione una mera
rivisitazione del fatto in chiave favorevole alla tesi difensiva, sollecitando in tal modo
la Corte Suprema ad un ruolo che non le compete perché – è bene ricordarlo – 41
controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza
strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico
argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo sulla
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei
fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste operazioni
trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di
svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a
controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui
le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard
minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal giudice per giungere alla decisione (cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923 del
05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349). Ancora, la giurisprudenza ha
affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu
oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo
logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del
20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999,
Spina, RV. 214794).
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente

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assolutamente in linea con la citata giurisprudenza, perché fondato, appunto, su

al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 11.6.2014.

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