Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30290 del 10/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30290 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Di Maggio Gaspare, nato a Cinisi il 29.3.1961;
avverso la sentenza emessa il 7 febbraio 2014 dalla corte d’appello di Palermo;
udita nella pubblica udienza del 10 giugno 2014 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza emessa il 26 novembre 2012 dal giudice del tribunale di Palermo, confermò la condanna di Di Maggio Gaspare per il reato di cui all’art. 2,
comma 1 bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre
1983, n. 638, per avere omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti per il
periodo da aprile 2006 ad agosto 2007, rideterminò la pena in mesi cinque,
giorni 10 di reclusione e € 246 di multa e dichiarò estinti per prescrizione i reati
relativi ai periodi precedenti.
L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo mancanza o manifesta illogicità della motivazione per avere ritenuto provati i versamenti delle retribuzioni sulla base dei modelli DM10, senza specificarne la
valenza probatoria.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato perché la corte d’appello ha fatto
corretta applicazione della costante giurisprudenza di qiiesta Corte, secondo cui
la prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni ben può essere desunta

Data Udienza: 10/06/2014

dai modelli DM10, trasmessi dal datore di lavoro, a meno che non risultino elementi contrari.
Il ricorso pertanto è anche del tutto generico, perché non vengono indicati
elementi eventualmente contrari al contenuto dei documenti utilizzati dal giudice del merito.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
Essendo il ricorso inammissibile, la circostanza che la prescrizione di alcuni reati sia maturata in una data successiva a quella in cui è stata emessa la
sentenza impugnata, è del tutto irrilevante perché, a causa della inammissibilità
del ricorso non si è formato un valido rapporto di impugnazione il che preclude
a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare le eventuali cause di estinzione del reato, ivi compresa la prescrizione, verificatesi in data posteriore alla
pronuncia della decisione impugnata (Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca, m.
217.266; giur. costante).
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in € 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 10
giugno 2014.

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