Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30289 del 05/07/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30289 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da DI BARI FRANCESCO (n. il 04/05/1961), avverso la
sentenza della Corte di appello di Genova, II Sezione Penale, in data
04/07/2014.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere Adriano
Iasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Ciro Angelillis, il
quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’Avvocato Andrea Ruggiero – quale sostituto processuale dell’Avvocato
Gianluca Orlando difensore del Di Bari Francesco – che si riporta ai motivi di
ricorso.

OSSERVA:

Con sentenza del 28.04.2011, il Tribunale di Chiavari dichiarò Di Bari
Francesco responsabile di due reati di rapina aggravata in concorso e – con le

Data Udienza: 05/07/2016

attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva – lo
condannò alla pena di anni 6 di reclusione ed € 2.000,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame, ma la Corte di appello
di Genova con sentenza del 04.07.2014 confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione Di Bari Francesco deducendo vizi motivazionali in
relazione alla ritenuta responsabilità penale, alla conferma della sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 del c.p. e al diniego di riconoscere la

Il ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento dell’impugnata sentenza.

motivi della decisione

1.

Il ricorso è privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in

relazione all’ad 591 lett. c) c.p.p.; infatti, il ricorrente si limita a reiterare le
doglianze già correttamente risolte dalla Corte di appello.
2.

Invero la Corte territoriale ben evidenzia perché ritiene provata la

penale responsabilità del Di Bari: 1) la sua confessione, pienamente utilizzabile
anche se in dibattimento si sia avvalso della facoltà di non rispondere. A tal
proposito, la Corte di merito – a pagina 3 della sua sentenza – richiama la
condivisa motivazione del Tribunale sulla ritenuta genuinità della confessione
(non vi è alcun elemento per ritenere un qualche intendimento autocalunnatorio
o di intervenuta costrizione dell’imputato) e cita anche il condiviso principio di
questa Corte che conferma la decisone dei giudici di merito di ritenere utilizzabile
come prova la confessione del ricorrente anche se in dibattimento il ricorrente si
sia avvalso della facoltà di non rispondere (Sez. 1, Sentenza n. 14623 del
04/03/2008 Ud. – dep. 08/04/2008 – Rv. 240114; conforme Sez. 1, Sentenza n.
43681 del 13/05/2015 Ud. – dep. 29/10/2015 – Rv. 264746); 2) la confessione
trova, poi, precisi riscontri: nei racconti delle Persone offese di come si sono
svolti i fatti; nella chiamata in correità dello Stranieri; nel contenuto dei tabulati
telefonici (dai quali emergono i contatti tra i correi nei giorni in cui venivano
commesse le rapine e sempre in quei giorni la presenza del Di Bari in luogo
diverso dalla sua residenza e compatibile con i luoghi nei quali sono state
commesse le rapine; si vedano, sul punto, le pagine da 3 a 6 della sentenza
impugnata nella quale si riportano le motivazioni del Tribunale e le pagine 8 e 9
nella quale la Corte di appello spiega le ragioni della conferma della sentenza di
primo grado. Sentenze di primo e secondo grado, senz’altro valutabili
congiuntamente, all’uopo, in presenza di una cd. “doppia conforme”).
3.

Manifestamente infondate sono le genericissime doglianze, su

quanto sopra, proposte dal ricorrente. Invero non può certo incidere sulla

prevalenza delle concesse attenuanti generiche sulle aggravanti contestate.

genuinità della confessione la ragione per la quale l’imputato l’ha resa
(“ottenimento di un qualche beneficio sanzionatorio”, come afferma l’imputato a
pagina 4 del suo ricorso) ed il fatto che l’imputato in dibattimento si sia avvalso
della facoltà di non rispondere (circostanza, questa, presa in esame dalla Corte
di appello che ha, appunto, evocato i principi di diritto sopra citati).
4.

Né si rileva il travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni

del Commissario di Polizia Chelotti. Infatti, i Giudici di merito per quanto riguarda

riferito in udienza dal teste Chelotti) si sono limitati a ripetere quanto riferito dal
teste Chelotti e ad osservare che nei giorni in cui venivano commesse le rapine il
telefono dell’imputato si spostava dalla zona di sua residenza e agganciava
determinate celle site in località non incompatibili con i luoghi in cui sono stati
commessi i reati.
5.

Incensurabile e conforme ai condivisi principi di diritto – più volte

affermati da questa Corte e richiamati nell’impugnata sentenza – è la
motivazione con la quale si conferma la sussistenza dell’aggravante di cui all’art.
61 n. 9 del c.p. (ritenuta sussistenza dell’aggravante che tra l’altro non ha
comportato alcun aggravio di pena perché elisa nel giudizio di equivalenza ex
art. 69 del c.p.). A tal proposito si deve rilevare che nell’appello si contesta solo
l’applicabilità dell’aggravante di cui sopra al correo non pubblico ufficiale e non si
contesta affatto che il ricorrente non conoscesse la qualità di Pubblico Ufficiale
del complice. Dunque la Corte ha risposto correttamente solo a tale doglianza,
evocando due condivisi principi di diritto di questa Corte (si veda pagina 9
dell’impugnata sentenza) uno dei quali afferma che la circostanza aggravante di
cui al secondo comma n. 2 dell’art. 605 cod. pen., ossia l’esser stato il sequestro
di persona commesso da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle
sue funzioni, è di natura soggettiva, ma rientrando tra quelle concernenti “le
qualità personali del colpevole” e non tra quelle “inerenti alla persona del
colpevole” (tassativamente indicate nel secondo comma dell’art. 70 cod. pen.),
non è soggetta al regime dell’art. 118 cod. pen., bensì a quello di cui all’art. 59,
secondo comma, stesso codice, onde si comunica al correo se dallo stesso
conosciuta o ignorata per colpa (Sez. 5, Sentenza n. 46340 del 19/09/2012 Ud. dep. 29/11/2012 – Rv. 253640).
6.

Dunque il ricorrente dopo aver letto la massima di cui sopra

contesta, per la prima volta avanti a questa Corte di legittimità, che vi sia la
prova che l’imputato fosse a conoscenza della qualità personale (P.U.) del
complice Stranieri. E’ evidente che tale doglianza, riguardando il merito, non può
essere proposta, per la prima volta, avanti alla Corte di Cassazione. E’ appena il
caso di rilevare, comunque, che a pagina 3 dell’impugnata sentenza si riporta la

la localizzazione dell’imputato ricavabile dai tabulati (il cui contenuto è stato

ricostruzione dei fatti effettuata dal Tribunale sulla base di quanto confessato dal
Di Bari. Ebbene questi riferisce, tra l’altro, (come hanno fatto anche la P.O. Badii
e il complice Stranieri) che lui e il suo complice hanno bussato alla porta della
P.O. e che il complice Stranieri per farsi aprire mostrava attraverso lo spioncino
della porta il distintivo dei Carabinieri (in effetti Stranieri era un Carabiniere).
7.

Incensurabile e conforme ai condivisi principi di diritto è anche la

motivazione con la quale si conferma il diniego di riconoscere la prevalenza delle

recidiva reiterata specifica e infraquinquennale) e la congruità della pena.
8.

A fronte di ciò il ricorrente contrappone, quindi, solo generiche

doglianze. Questa Suprema Corte ha stabilito che la mancanza nell’atto di
impugnazione dei requisiti prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. – compreso
quello della specificità dei motivi – rende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre
il nuovo grado di giudizio e a produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega
la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di
inammissibilità (Sez. 1, Sentenza n. 5044 del 22/04/1997 Ud. – dep. 29/05/1997
– Rv. 207648; Sez. 3, Sentenza n. 35492 del 06/07/2007 Ud. – dep. 25/09/2007
– Rv. 237596).
9.

Uniformandosi a tale orientamento, che il Collegio condivide, va

dichiarata inammissibile l’impugnazione.
10.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del

ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in Roma, il 05/07/2016.

attenuanti generiche sulle varie aggravanti contestate (tra le quali anche la

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