Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30287 del 28/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30287 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Giordano Nicola, nato ad Altamura il 30/07/1959

avverso la sentenza del 04/12/2014 della Corte di Appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Marco Maria Alma;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Ciro
Angelillis, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 4 dicembre 2014 la Corte di Appello di Trieste ha
confermato la sentenza del Tribunale di Udine, Sez. Dist. di Palrnanova, in data
12 dicembre 2012 con la quale Nicola Giordano era stato dichiarato colpevole del
reato di truffa continuata e condannato a pena ritenuta di giustizia peraltro
condizionalmente sospesa.
In sintesi si contesta al Giordano di avere acquistato in più occasioni
materiali edili presso la sede di Fiumicello della “Edil Friuli S.p.a.” e di avere
utilizzato artifizi e raggiri consistiti nel chiedere di intestare le fatture del

Data Udienza: 28/06/2016

materiale consegnato presso un cantiere di Cervignano del Friuli all’impresa
individuale “Bernardi Giuseppe” (in realtà già cancellata per cessazione di attività
dal giugno 2008) in tal modo omettendo il pagamento delle merci acquistate con
conseguente ingiusto profitto. I fatti in contestazione risalgono ad un arco
temporale compreso tra il novembre del 2008 ed il gennaio del 2009.

2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore
dell’imputato, deducendo:

pen.
Sulla premessa che l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato
in ordine al reato allo stesso in contestazione si fonda sul fatto che l’autore
dell’azione delittuosa è stato indicato in tale “Salvatore” e che il Giordano si
identificherebbe in esso, si duole la difesa del ricorrente della valutazione
dell’esito delle ricognizioni fotografiche effettuate in udienza dai testimoni
Riccardo Lanza e Remo Lanzi e del fatto che le ricognizioni fotografiche effettuate
dal predetto Lanzi e dalla teste Manera sarebbero avvenute senza le garanzie
procedurali di cui all’art. 213 cod. proc. pen.
2.2. Mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
Si duole il ricorrente della mancata esclusione della punibilità per particolare
tenuità del fatto in base alla norma sopra indicata evidenziando la modestia del
danno patrimoniale arrecato alla società Edil Friuli e la non abitualità del
comportamento del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, oltre che manifestamente infondato, è del tutto
generico e, per l’effetto deve essere dichiarato inammissibile. Lo stesso è
caratterizzato da affermazioni apodittiche che costituiscono mera riproposizione
di questioni già sottoposte alla Corte di appello e che hanno ottenuto nella
sentenza impugnata (pagg. 8 e 9) una risposta congrua e conforme ai principi di
diritto che regolano la materia.
Non sfugge, innanzitutto, il fatto che il ricorso che in questa sede ci occupa
non rispetta il requisito dell’autosufficienza non essendo allo stesso stati allegati
gli atti (nella specie i verbali delle ricognizioni fotografiche) che si assumono
viziati e non essendo possibile quindi il controllo da parte dell’odierno Collegio
della effettiva sussistenza di eventuali vizi nel compimento delle predette
attività, vizi che non sono stati neppure specificamente indicati dal ricorrente.
In ogni caso, già il Tribunale aveva spiegato – e la Corte di appello lo ha
correttamente ricordato – come la teste Manuela Manera aveva precisato di
2

2.1. Vizi di motivazione in ordine all’applicazione dell’art. 213 cod. proc.

essere a conoscenza che il soggetto al quale aveva commissionato i lavori di
ristrutturazione si chiamava Nicola Giordano al punto che la fattura che l’uomo
aveva rilasciato alla Manera nel novembre 2008 non lasciava dubbi in ordine
all’identità del soggetto che aveva eseguito i predetti lavori.
Con riguardo, poi, al contenuto delle ricognizioni fotografiche la Corte di
appello ha chiarito che il teste Riccardo Lanza, dopo una iniziale confusione
peraltro legata solo al nome, ha riconosciuto con certezza tra le immagini
contenute nel fascicolo fotografico rammostratogli quella del Giordano, come

P.G. Mingolo.
Quanto al teste Remo Lanzi la Corte di appello ha correttamente dato atto
che lo stesso non ha operato un riconoscimento dell’imputato in termini di
assoluta certezza, ma tale situazione – con una valutazione del compendio
probatorio di puro merito e per l’effetto insindacabile in questa sede di legittimità
– è stata ritenuta irrilevante stanti la presenza della ricognizione in termini di
certezza effettata dal Lanza e delle dichiarazioni della teste Manera di cui si è
detto.
Quanto, poi al mancato rispetto della procedura di cui all’art. 213 cod. proc.
pen. la Corte di appello ha ricordato come nella giurisprudenza di legittimità che l’odierno Collegio ritiene di condividere – si è chiarito che «l’individuazione
di un soggetto – sia personale sia fotografica – è una manifestazione riproduttiva
di una percezione visiva e rappresenta, perciò, una specie del più generale
concetto di dichiarazione; di modo che la sua forza probatoria non discende dalle
modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione
confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale” (Sez. 2, n.
50954 del 03/12/2013, Corcione, Rv. 257985; Sez. 2, n. 47871 del 28/10/2003,
Tortora, Rv. 227079; e numerose altre in senso conforme) atteso che, come
sempre la giurisprudenza di legittimità ha ribadito (Sez. 2, n. 25762 del
11/06/2008, Dori, Rv. 241459), la certezza della prova non discende dal
riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla
deposizione di chi (nella specie, la persona offesa), avendo esaminato la foto
dell’imputato, si dica certo della sua identificazione, e ciò soprattutto quando
questa venga confermata al giudice.
In applicazione di tali principi la Corte di appello ha ricordato che
l’individuazione effettuata sia dal teste Lanza che dalla teste Manera sono
qualificate da un livello massimo di attendibilità in ragione della precisa
conoscenza che i due testi avevano dell’imputato e tale motivazione che si
presenta congrua e logica va esente dai vizi denunciati dal ricorrente.

confermato non solo in dibattimento dallo stesso teste ma anche dall’agente di

2. Manifestamente infondata è la richiesta di riconoscere all’imputato la
situazione di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui
all’art. 131-bis cod. pen.
La richiesta de qua, certamente prospettabile in sede di legittimità ma sulla
quale la Corte di appello non ha avuto modo di pronunciarsi attesa l’entrata in
vigore della norma citata in epoca successiva alla pronuncia della sentenza
impugnata, non può essere considerata un vero e proprio motivo di ricorso, con
la conseguenza che la concreta possibilità di valutazione della stessa dipende
dalla valutazione di ammissibilità del ricorso principale ciò in quanto, come ha

avuto modo di precisare la Corte «in tema di particolare tenuità del fatto,
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare l’esclusione della
punibilità, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., pur trattandosi di “ius
superveniens” più favorevole al ricorrente» (Sez. F, n. 40152 del 18/08/2015,
Vece, Rv. 264573).
In ogni caso il profitto conseguito dall’imputato ed il contestuale danno
provocato alla persona offesa (oltre 2.500,00 C) non avrebbe consentito di
ravvisare la particolare tenuità del fatto.

3. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta
equa di C 1.500,00 (millecinquecento) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Il Consiglienso
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