Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30286 del 28/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30286 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Reda Pietro, nato a Rende il 29/06/1970

avverso la sentenza del 19/05/2015 della Corte di Appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Marco Maria Alma;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Ciro
Angelillis, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
udito il difensore delle parti civili Emilio Aiello e Guerino Aiello, avv. Vincenzo
Adamo, che ha concluso chiedendo confermarsi la sentenza impugnata; ha
depositato conclusioni scritte e nota spese delle quali ha chiesto la liquidazione:
udito il difensore dell’imputato, avv. Sergio Rotundo quale sostituto processuale
degli avv.ti Antonio Cortese e Giuseppe Bruno, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19 maggio 2015 la Corte di Appello di Catanzaro ha
confermato la sentenza emessa in data 17 maggio 2013 con la quale Pietro Reda

Data Udienza: 28/06/2016

era stato dichiarato colpevole del reato di appropriazione indebita aggravata e
continuata di somme di denaro di proprietà della società “Caffè Aiello S.r.l.” delle
quali aveva il possesso e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche valutate con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante di cui
all’art. 61 n. 11 cod. pen., condannato a pena ritenuta di giustizia.
I fatti in contestazione si collocano in un arco temporale compreso tra il
giorno 1 gennaio 2009 e 1’8 ottobre 2010.

dell’imputato, deducendo con atti separati:
2.1. (ricorso avv. Cortese) Violazione di legge ex art. 606, lett. c), cod. proc.
pen. in relazione al disposto degli artt. 191, 234 e 237 cod. proc. pen.
Evidenzia al riguardo parte ricorrente il fatto che la Corte di appello di
Catanzaro ha fondato l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato sulla
base di un documento contenente una “confessione scritta stragiudiziale” che
sarebbe però affetto da inutilizzabilità in quanto illegittimamente acquisito al
processo come prova documentale ex art. 234 cod. proc. pen. nonostante che,
trattandosi di documento riconducibile all’imputato, avrebbe dovuto trovare
applicazione il disposto dell’art. 237 cod. proc. pen.
2.2 (ricorso avv. Cortese) Vizi di motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc.
pen. in ordine all’attendibilità del documento ricondotto all’imputato.
Evidenzia il ricorrente il fatto che, anche a voler ricondurre all’imputato la
paternità del documento de quo, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto
della situazione di coartazione nella quale il documento fu redatto essendo
l’imputato un lavoratore alle dipendenze delle persone offese che quindi
potevano esercitare sullo stesso una pressione psicologica di non poco conto.
2.3 (ricorso avv. Cortese) Violazione di legge ex art. 606, lett. c), cod. proc.
pen. in relazione al disposto degli artt. 191 e 234 cod. proc. pen.
Evidenzia parte ricorrente il fatto che l’affermazione della penale
responsabilità del Reda si fonda anche sul contenuto di altri documenti allegati
alla querela nei quali alcuni clienti della società sopra indicata hanno attestato di
non avere ricevuto dall’imputato la merce nonostante ne avessero pagato il
corrispettivo nelle mani dello stesso.
Tali documenti avrebbero al più potuto essere rappresentativi di un fatto
storico ma ai fini di prova in sede dibattimentale avrebbe dovuto essere raccolta
la testimonianza di coloro che ebbero a stilare i predetti documenti.
2.4 (ricorso avv. Bruno) Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.

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2. Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori

Evidenzia anche in questo caso parte ricorrente che il documento utilizzato
in sede dibattimentale contro l’imputato sarebbe inutilizzabile perché privo di
sottoscrizione autentica e comunque perché lo stesso non entra nel novero
giuridico di documento e dunque di prova ai sensi degli artt. 187, 191 e 192 cod.
proc. pen.
Secondo il ricorrente lo scritto confessorio e le fatture recanti quietanze di
pagamento non possono definirsi prove ai fini giuridici perché sarebbe stata
necessaria una attenta verifica di attendibilità e perché sarebbero comunque

merce dall’imputato e comunque “neutri” nella parte costituita dalle quietanze di
pagamento in quanto non ne è stata verificata la provenienza e non sono state
raccolte le testimonianze dei sottoscrittori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Tutti i motivi di ricorso sopra indicati necessitano di una trattazione
congiunta in quanto in parte sovrapponibili ed in parte tra loro connessi.
Va detto subito che, come emerge dall’esame congiunto di entrambe le
sentenze di merito che si saldano tra loro per formare un unico complessivo
corpo argomentativo (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595),
l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato in
contestazione si è fondata non solo sulla base della documentazione acquisita
(tra cui uno scritto contenente una confessione stragiudiziale dell’imputato che
ha anche descritto le modalità con le quali ebbe a realizzare l’azione delittuosa)
ma anche sul contenuto della denuncia-querela delle persone offese.
Non sfugge (e lo ammette anche la difesa dell’imputato a pag. 1 dell’atto di
appello) che la denuncia-querela e gli atti ad essa allegati ed oggi in discussione
sono stati acquisti al fascicolo del dibattimento di primo grado anche con il
consenso del difensore dell’imputato, con la conseguenza che appare a dir poco
singolare – a tacer d’altro – che oggi ci si venga a lamentare dell’utilizzazione da
parte dei Giudici del merito di documentazione acquisita con il consenso delle
parti.
Pacifico è, poi, il fatto che l’art. 234 cod. proc. pen. consente l’acquisizione
di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, ponendo come unico limite
l’acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel
pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo o sulla moralità in generale
delle parti dei testimoni o dei consulenti, ma non sono queste ultime situazioni
che qui ci occupano.

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irrilevanti nella parte in cui i clienti hanno attestato di non avere ricevuto la

Altrettanto pacifico è poi il fatto che l’art. 237 cod. proc. pen. consente
l’acquisizione, anche di ufficio di qualsiasi documento proveniente dall’imputato
“anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto”.
La Corte di appello ha, poi, chiarito che la confessione sottoscritta dal Reda
è documento la cui provenienza non risulta revocata in dubbio nemmeno
dall’imputato, tanto è vero che non è stata avanzata alcuna querela di falso al
riguardo.
Sul presupposto che per documento proveniente dall’imputato si intende, ai

ovvero quello che riguarda specificamente la sua persona (Sez. 5, n. 33243 del
09/02/2015, Bosco, Rv. 264953), va ricordato che secondo consolidata
giurisprudenza di legittimità «le dichiarazioni confessorie o le ammissioni
contenute in un memoria proveniente dall’imputato acquisita agli atti del
processo sono utilizzabili nei suoi confronti ai sensi dell’art. 192, comma primo,
cod. proc. pen. e non incontrano il limite stabilito dall’art. 63, comma primo, cod.
proc. pen.» (Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, Rv. 266147;
Sez. 4, n. 27173 del 26/05/2015, Nardella, Rv. 263875; Sez. 3, n. 46767 del
23/11/2011, Rv. 251633).
Nessun dubbio, poi, che l’ulteriore documentazione acquisita agli atti – come
correttamente precisato dalla Corte di appello – è riconducibile alla contabilità
della società e che trattandosi di prove documentali la valenza probatoria della
stessa è sancita dall’art. 234 cod. proc. pen. anche in assenza dell’esame dei
relativi clienti che nemmeno risulta invocato nel primo processo dalla stessa
difesa.
Osserva il Collegio che appare anche in questo caso a dir poco singolare che
la difesa del ricorrente dopo avere acconsentito alla acquisizione delle
dichiarazioni dei clienti della società e non avendo poi richiesto l’esame
dibattimentale degli stessi si venga ora a dolere del predetto mancato esame.
Infine deve essere evidenziato che nessun elemento – al di là di una mera
ipotesi che rimane a mero livello verbale e che è sfornita di qualsivoglia supporto
probatorio – risulta essere stata addotta da parte ricorrente circa il fatto che la
volontà dell’imputato nel rendere la confessione stragiudiziale di cui si è detto sia
stata in qualche modo coartata al punto da fargli rendere affermazioni false.
L’intero contesto evidenziato nella sentenza impugnata, adeguatamente e
logicamente motivata, consente di ritenere manifestamente infondati i motivi di
ricorso di cui si è detto.

2. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, i ricorsi devono essere
dichiarati inammissibili.
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sensi dell’art. 237 cod. proc. pen., il documento del quale è autore l’imputato

Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta
equa di € 1.500,00 (nnillecinquecento) a titolo di sanzione pecuniaria.

3. Ne discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in
ordine alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili
Emilio Aiello e Guerino Aiello, la cui liquidazione tenuto conto del grado di

dispositivo meglio enunciato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.500,00 alla Cassa delle ammende nonché
alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili Aiello Emilio
e Aiello Guerino che liquida in € 2.500,00 oltre spese generali nella misura del
15%, CPA e IVA.

Così deciso il 28/06/2016.

complessità della vicenda processuale, viene operata secondo l’importo in

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