Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30285 del 10/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30285 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso — erroneamente qualificato come appello — proposto da Coppolecchia Raffaele, nato a Molfetta il 25.2.1946;
avverso la sentenza emessa 1’8 gennaio 2013 dal giudice del tribunale di
Trani, sezione distaccata di Molfetta;
udita nella pubblica udienza del 10 giugno 2014 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento de/processo
A Coppolecchia Salvatore venne contestato il reato di cui all’art. 256,
comma 3, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per avere, quale amministratore di una
ditta edile, realizzato una discarica abusiva destinata allo smaltimento di rifiuti
speciali non pericolosi costituiti da materiale edile inerte derivante da demolizione (mattoni,. calcinacci, intonaco, fili elettrici, guaine bituminose e asfalto).
Il giudice del tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, con la sentenza in epigrafe qualificò il fatto come abbandono incontrollato di rifiuti e dichiarò l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 256, comma 2, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, condannandolo alla pena di E 2.000,00 di ammenda, mentre dichiarò non doversi procedere nei confronti dell’altro imputato Minervini Michele (autista dipendente dalla ditta del Coppolecchia) per morte del reo.
Era successo che un abitante in un vicino immobile, aveva sporto denuncia
contro ignoti per l’abbandono dei rifiuti descrivendo il camion che li trasportava. Il giudice osservò: – che il furgone del Coppolecchia era dello stesso tipo di
quello che si vedeva nella fotografia ed aveva la stessa ammaccatura nella parte
posteriore; – che quindi era irrilevante che il numero di targa fosse diverso d

Data Udienza: 10/06/2014

quello indicato dal teste, perché era possibile che il numero fosse stato annotato
in maniera parzialmente errata; – che era anche irrilevante la circostanza che il
Minervini alla data del fatto fosse già stato licenziato, perché non poteva escludersi che lo stesso, anche dopo il licenziamento, avesse continuato a collaborare
con la ditta del Coppolecchia.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Salvatore Altamura, ha erroneamente proposto appello, poi convertito in ricorso per cassazione, deducendo:
1) assoluzione per non aver commesso il fatto. Lamenta che la sentenza di
condanna si fonda su due presunzioni che non rispondono ai requisiti di cui
all’art. 192 cod. proc. pen., in quanto non assistite dai necessari presupposti della gravità, precisione e concordanza. Il giudice ha sostenuto che il veicolo utilizzato per lo sversamento dei rifiuti è da identificarsi per quello di proprietà
dell’imputato, in ragione della corrispondenza della marca e tipo del veicolo e
dalla conformazione di una sbarra posteriore. Questi elementi però non sono univoci ed incontrastanti atteso che la identità di tipologia e marca del veicolo
sono comuni a tutti e, quindi, non passibili di identificazione se non con ulteriori ed oggettivi elementi caratterizzanti la esclusiva appartenenza a taluno. Nella
specie, tale non può dirsi l’unico elemento rappresentato dalla conformazione
della barra posteriore ammaccata, in apparenza, per avere battuto contro un ostacolo, ossia per un evento capace di procurare analoga diversa conformazione
a tutti i veicoli dello stesso tipo. Non è condivisibile nemmeno l’assunto che il
numero di targa, pur se oggettivamente diverso da quello rilevato dal denunciante, non rappresenti elemento di estraneità del veicolo all’indebito utilizzo.
La tesi del giudice si fonda su una presunzione contrastante non solo con il dato
oggettivo (targa effettiva) ma, anche, con la ulteriore affermazione del denunciante secondo la quale l’autore dello sversamento sarebbe da identificarsi nel
sig. Minervini Michele che, viceversa è rimasto ignoto. E’ poi censurabile anche l’altra presunzione posta a base della pronuncia di reità e rappresentata dal
fatto di avere il giudice ritenuto che l’imputato sia tenuto a rispondere del reato
per fatto del proprio dipendente. Questo assunto è però contrastato da elementi
oggettivi rappresentati, l’uno, da non essere il sig. Minervini Giovanni dipendente della impresa da data anteriore a quello della commissione del fatto e, l’altro, che il soggetto raffigurato all’atto dello sversamento è sicuramente persona
diversa dal Minerivini (trattasi di soggetto di giovane età rispetto all’altra persona di molto più anziana). La supposizione relativa ad una asserita possibilità che
il Minervini Giovanni abbia potuto, dopo il licenziamento, continuare a collaborare con l’impresa Coppolecchia è giuridicamente e fattualmente non condivisibile e, quindi, inidonea a supportare la pronuncia di reità dell’imputato, non essendoci – tra l’altro – ulteriori elementi in base ai quali fondatamente ritenere che
l’autore materiale dello sversamento abbia agito comunque previa autorizzazione o consenso dell’imputato o che questi fosse, in ogni caso, a conoscenza della
materiale attività da altri compiuta.
2) concessione delle attenuanti generiche e riduzione della pena.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il ricorso, in realtà, si risolva in una censura in punto di fatto della decisione impugnata — propria di una impugnazione in appello Àt,…,

-2

-3 erroneamente proposta – con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in
questa sede di legittimità. Il ricorso è comunque manifestamente infondato perché il giudice ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione delle ragioni sulle quali ha fondato la declaratoria di responsabilità dell’imputato, ed in
particolare: a) sul fatto che il camion fotografato dal denunciante mentre scaricava al suolo i rifiuti era proprio quello rivenuto presso la impresa edile del
Coppolecchia — come ha accertato, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, dal
modello dell’automezzo, dalle diciture sul lato anteriore e su quello posteriore,
e soprattutto dal fatto che la barra posteriore aveva una identica deformazione,
il che rendeva irrilevante che il numero di targa, preso non direttamente dal denunciante ma da un condomino al terzo piano, coincidesse solo in parte — b) sul
fatto che il conducente del camion era stato riconosciuto con certezza dai testi
nel Minervini, il che rendeva irrilevante che alla data dell’ultimo scarico di rifiuti questi risultasse formalmente licenziato. Plausibilmente e con congrua motivazione pertanto il giudice ha ritenuto responsabile del reato il legale rappresentante della ditta cui certamente apparteneva il camion.
Non sono stati nemmeno prospettati vizi di motivazione o errori di diritto
in ordine alla determinazione della pena.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in € 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 10
giugno 2014.

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