Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30271 del 24/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30271 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Nicola Mazzacuva, quale difensore di MAIURI
MAURO (n. il 09.04.1967), avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia,
Sezione Penale, in data 10.01.2014.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere Adriano
Iasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottoressa Della Cardia,
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’Avvocato Nicola Mazzacuva il quale conclude chiedendo l’accoglimento del
ricorso.
OSSERVA:

Con sentenza del 07.10.2010, il Tribunale di Ancona dichiarò Maiuri Mauro
responsabile del reato di millantato credito e lo condannò alla pena di anni 2 e
mesi 6 di reclusione e al risarcimento del danno in favore della P.C. da liquidarsi
in sede civile, riconoscendo alla stessa P.C. una provvisionale dì 30.000,00 Euro.

Data Udienza: 24/06/2016

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame, ma la Corte d’appello
di Ancona, con sentenza del 22.10.2012, confermò la decisione di primo grado.
Ricorse per Cassazione l’imputato e la Sesta Sezione di questa Suprema
Corte con sentenza del 05.07.2013 annullò senza rinvio la sentenza impugnata
limitatamente alla conferma delle statuizioni civili, mentre annullò con rinvio la
sentenza impugnata in relazione al trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello di Perugia con sentenza in data 10.01.2014 in riforma

generiche e rideterminò la pena in anni 1 e mesi 8 di reclusione.
Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato dolendosi per aver la Corte
di Appello erroneamente ritenuto non applicabile la prescrizione; inoltre deduce
vizi motivazionali in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.

motivi della decisione

1.

Il ricorso è manifestamente infondato e va, quindi, dichiarato

inammissibile.
2.

Invero per quanto riguarda l’invocata prescrizione del reato –

chiesta dal difensore dell’imputato con memoria presentata nell’udienza innanzi
alla Corte di Appello di Perugia – si deve rilevare che la Corte di merito ha
risposto correttamente a tale doglianza, che oggi viene genericamente riproposta
dal ricorrente senza tener conto di quanto sottolineato nell’impugnata sentenza.
Invero la Corte territoriale di Perugia rileva che la prescrizione è maturata dopo
la pronuncia della Corte di Cassazione che ha annullato con rinvio la precedente
sentenza della Corte di appello di Ancona con esclusivo riferimento al
trattamento sanzionatorio. A conferma di quanto sopra la Corte di merito ha
richiamato, anche, consolidati e condivisi principi di questa Corte Suprema
(Cass. 44949/2013 e 19690/2013).
3.

Sul punto si deve osservare che questa Suprema Corte ha più volte

affermato che in caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano
rimesse al giudice del rinvio le questioni relative al riconoscimento delle
attenuanti generiche e alla determinazione della pena, il giudicato formatosi
sull’accertamento del reato e della responsabilità impedisce la declaratoria di
estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d’annullamento
(Sez. 2, Sentenza n. 8039 del 09/02/2010 Ud. – dep. 01/03/2010 – Rv. 246806).
E nella motivazione di tale sentenza si afferma: “…

la giurisprudenza di

legittimità ha affermato da tempo che qualora venga rimessa dalla Corte di

dell’impugnata sentenza di primo grado concesse al Maiuri le attenuanti

cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla
determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento
del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione su
tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive sopravvenute
all’annullamento parziale (Cass., Sez. Un., 26 marzo 1997, Attinà; Cass., Sez.
Un., 19 gennaio 1994, Cenerini; Cass., Sez. Un., 11 maggio 1993, Ligresti;
Cass., Sez. Un., 23 novembre 1990, Agnese). In particolare la citata sentenza

rinvio, con speciale riferimento alle cause estintive del reato sopravvenute
all’annullamento, sussiste solo nei limiti della compatibilità con la decisione
adottata in sede di legittimità e con il conseguente spazio decisorio attribuito in
via residuale al giudice di rinvio, sicché, formatosi il giudicato sull’accertamento
del reato e della responsabilità dell’imputato, dette cause sono inapplicabili non
avendo possibilità di incidere sul decisum. La ratio di tali conclusioni risiede nella
specialità della forza precettiva dell’art. 624 c.p.p., comma 1, a norma della
quale se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della
sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno
connessione essenziale con la parte annullata: è dunque indubbiamente
riconosciuta dalla legge l’autorità del giudicato sia ai capi che ai punti della
sentenza non oggetto di annullamento (Sez. un., 19.1.2000, Tuzzolino). È vero
che tale effetto non rappresenta l’espressione di un principio applicabile al di
fuori della specifica situazione dell’annullamento parziale, dato che il precetto
detta una regolamentazione particolare, attinente unicamente ai limiti obiettivi
del giudizio di rinvio, la quale, dunque, è legata indissolubilmente alle peculiari
connotazioni delle sentenze della Corte di cassazione ed alla intrinseca
irrevocabilità connaturata alle statuizioni dell’organo posto al vertice del sistema
giurisdizionale (di talché, nel corso del giudizio ordinario di cognizione, sui punti
che non costituiscono oggetto di gravame non si forma il giudicato ma solo una
preclusione al loro esame, con la conseguenza che, non essendo intervenuta
decisione irrevocabile sull’intero capo, è sempre applicabile la causa di estinzione
sopravvenuta: Sez. un., 19.1.2000, Tuzzolino); ma nella specie si verte proprio
in un’ipotesi specifica di annullamento parziale, con rinvio limitato
esclusivamente alla sanzione da rideterminare, con il conseguente avvenuto
passaggio in giudicato della statuizione sulla responsabilità e l’irrilevanza del
successivo spirare del termine prescrizionale. Nè vale richiamare la più recente
decisione delle Sezioni unite del 17.10.2006 in proc. Michaeler, la quale intervenuta sul tema dei limiti dell’appello incidentale, e dunque su quesito
concernente il giudizio di cognizione in senso stretto, e non quello di rinvio – si è
limitata a reiterare i principi affermati dalla citata sentenza Tuzzolino in tema di

Attinà ha precisato che la possibilità di applicare l’art. 129 c.p.p. in sede di

distinzione fra punti e capi della sentenza, senza affrontare nè tanto meno
rimettere in discussione i principi giurisprudenziali in tema di giudicato parziale
determinato dalle sentenza di annullamento della Corte di cassazione…”.
4. La Suprema Corte ha poi affermato ancora che in caso di
annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio
questioni relative al riconoscimento di una circostanza aggravante, il giudicato
formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato,

alla pronuncia di annullamento (Sez. 1, Sentenza n. 43710 del 24/09/2015 Ud. dep. 29/10/2015 – Rv. 264815). Inoltre, nel giudizio di rinvio conseguente ad
annullamento parziale della sentenza per mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche è impedita la declaratoria della prescrizione per
effetto dell’applicazione delle circostanze medesime, essendosi ormai formato il
giudicato sulla affermazione di responsabilità (Sez. 3, Sentenza n. 19690 del
03/04/2013 Ud. dep. 08/05/2013 – Rv. 256377). Infine, è manifestamente
infondata la questione costituzionale – per violazione degli artt. 27 comma
secondo e 111 Cost. – degli artt. 624 e 627 comma terzo cod. proc. pen., là dove
non consentono di dichiarare estinto il reato per la maturazione del termine di
prescrizione decorso nel giudizio di rinvio disposto soltanto per la
rideterminazione della pena (in motivazione, la Corte ha rilevato che da un lato
non si può ritenere la punibilità elemento costitutivo del reato, come tale in
grado di condizionarne il perfezionamento e dall’altro che vige il principio della
formazione progressiva del giudicato, che si forma, in conseguenza del giudizio
della Corte di cassazione di parziale annullamento dei capi della sentenza e dei
punti della decisione impugnati, su quelle statuizioni suscettibili di autonoma
considerazione, quale quella relativa all’accertamento della responsabilità in
merito al reato ascritto, che diventano non più suscettibili di ulteriore riesame;
Sez. 2, Sentenza n. 44949 del 17/10/2013 Ud. – dep. 07/11/2013 – Rv.
257314). Tutte decisioni queste che si fondano, anche, su quanto più volte
affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, come ad esempio, nella sentenza
delle Sezioni Unite del 4904/1997 ove si ribadisce che qualora venga rimessa
dalla Corte di cessazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa
alla determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi
sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività
della decisione su tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive
sopravvenute all’annullamento parziale (nell’occasione – come già sopra rilevato
– la Corte ha precisato che la possibilità di applicare l’art. 129 cod. proc. pen. in
sede di rinvio, in particolare con riferimento a cause estintive sopravvenute
all’annullamento, sussiste solo nei limiti della compatibilità con la decisione

impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, sopravvenuta

adottata in sede di legittimità e con il conseguente spazio decisorio attribuito in
via residuale al giudice di rinvio, e che, formatosi il giudicato sull’accertamento
del reato e della responsabilità dell’imputato, dette cause sono inapplicabili non
avendo possibilità di incidere sul “decisum”; Sez. U, Sentenza n. 4904 del
26/03/1997 Ud. – dep. 23/05/1997 – Rv. 207640).
5.

Si deve, poi, evidenziare in proposito che la decisione di cui sopra

non si fonda unicamente “su taluni orientamenti giurisprudenziali …. contrastanti
con quanto statuito dalla Sezioni Unite di questa Corte” – come si legge nel

ricorso – ma anche sulla consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte anche a sezioni Unite già sopra richiamate – compresa quella evocata dal
difensore dell’imputato a sostegno della sua tesi come si è già accennato
riportando la motivazione della sentenza di questa Corte n. 8039 del
09/02/2010.
6.

Si deve, infatti, rilevare che già leggendo la massima nella sua

interezza (nel ricorso, invece, nel riportare la decisione di tale sentenza si omette
la parte da cui si comprende che il principio invocato dal ricorrente per il caso di
specie, vale – invece – solo per l’impugnazione) della sentenza delle Sezioni
Unite n. 1/2000 emerge con chiarezza che la decisione della Corte di cui sopra
riguarda esclusivamente il caso delle impugnazioni e non la regola fissata
dall’art. 624 del c.p.p. (autorità di cosa giudicata delle parti di sentenza non
oggetto di annullamento con rinvio che non abbiano connessione essenziale con
la parte annullata). Infatti la massima così recita: “Poiché la cosa giudicata si
forma sui capi della sentenza (nel senso che la decisione acquista il carattere
dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni
necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno
dei reati attribuitigli), e non sui punti di essa, che possono essere unicamente
oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo del gravame e al
principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, in caso di
condanna la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato
fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla
relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo
l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di
circostanze e la quantificazione della pena, sicché la “res iudicata” si forma solo
quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate
con ulteriori mezzi di gravame. Ne consegue che l’eventuale causa di estinzione
del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in
ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa
stessa si riferisce. (Fattispecie relativa a prescrizione del reato; Sez. U, Sentenza
n. 1 del 19/01/2000 Ud. – dep. 28/06/2000 – Rv. 216239). Inoltre, nella

9

5

motivazione della sentenza n.1/2000 delle S.U. si afferma (si veda, anche, la
sintesi di tale motivazione effettuata nella sentenza del 2010 n. 8039 di cui
sopra): “….In conclusione, in caso di sentenza di condanna, l’indagine sulla
responsabilità dell’imputato e quella sull’accertamento delle circostanze e sulla
determinazione della pena costituiscono altrettanti, distinti, punti della decisione
inseriti all’interno di un medesimo capo, sicchè la mancata impugnazione della
ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma

quando, per quello stesso capo, l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine
riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena. Il
giudicato si forma allorchè anche tali punti sono definiti dal giudice
dell’impugnazione e le relative statuizioni non sono censurate con ulteriori mezzi
di gravame: soltanto in presenza di tali inderogabili condizioni deve considerarsi
realizzata la consunzione del potere di decisione del giudice dell’impugnazione,
anche con riguardo alle questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del
processo, e la pronuncia sul capo, divenuta ormai completa, assume il carattere
della immutabilità, ostacolando, perciò, l’applicazione delle cause estintive del
reato. È necessario sottolineare, a questo punto, che il riconoscimento
dell’operatività del giudicato limitata ai capi della sentenza, con
esclusione dei punti, non si traduce nell’adesione ad una linea
interpretativa divergente dalla giurisprudenza consolidata delle Sezioni
Unite, sopra ricordata, secondo cui, in caso di annullamento parziale ex
art. 624 c.p.p., il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della
responsabilità dell’imputato rende definitive tali parti della sentenza,
con la conseguenza che il giudice di rinvio, investito della decisione sulla
determinazione della pena, non può applicare le cause estintive del
reato sopravvenute alla pronuncia di annullamento.

Una attenta ed

approfondita disamina delle pronunce delle Sezioni Unite consente, infatti, di
affermare che esse non costituiscono smentita dei risultati dell’indagine sin qui
condotta, per la precisa ragione che la loro ratio decidendi risiede nella specialità
della forza precettiva dell’art. 624, comma 1, c.p.p., a norma della quale “se
l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa
ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale
con la parte annullata”. L’art. 624, comma 1, che indubbiamente riconosce
l’autorità del giudicato sia ai capi che ai punti della sentenza, non rappresenta,
tuttavia, l’espressione di un principio applicabile al di fuori della specifica
situazione dell’annullamento parziale, dato che la disposizione detta una
regolamentazione particolare, attinente unicamente ai limiti obiettivi del giudizio
di rinvio, e, dunque, è legata indissolubilmente alle peculiari connotazioni delle

non basta a fare acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata

sentenze della Corte di cassazione ed alla intrinseca irrevocabilità connaturata
alle statuizioni dell’organo posto al vertice del sistema giurisdizionale, onde è da
escludere che la disposizione stessa possa essere utilmente richiamata per
sovvertire i principi generali desumibili dalle linee fondanti dell’ordinamento
processuale relativo alle impugnazioni penali”.

E una successiva sentenza

conforme al principio fissato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1/2000
ribadisce che ai fini della prescrizione, sono diversi gli effetti, di un annullamento
parziale di una sentenza con giudizio di rinvio non inerente l’accertamento del

fatto o la responsabilità dell’imputato, rispetto al caso di impugnazione parziale
di alcuni capi o punti di una sentenza. Nel primo caso si verifica il passaggio in
giudicato dei capi o dei punti della sentenza non annullati per cui la prescrizione
eventualmente maturata nel frattempo o già maturata in precedenza, ma non
rilevata, non può essere dichiarata dal giudice di rinvio. Nel secondo caso, non
formandosi alcun giudicato parziale, ma solo una preclusione di ordine
processuale al riesame dei punti della sentenza non impugnati, tutte le cause di
estinzione del reato preesistenti o sopravvenute possono essere dichiarate (Sez.
3, Sentenza n. 47579 del 23/10/2003 Ud. – dep. 12/12/2003 – Rv. 226646). Ed
è conforme a quanto stabilito nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1/2000
(imputato Tuzzolino) anche l’altra sentenza delle Sezioni Unite n. 10251/2006
evocata dal ricorrente (Sez. U, Sentenza n. 10251 del 17/10/2006 Ud. – dep.
09/03/2007 – Rv. 235700 imputato Michaeler) perché come già sopra
evidenziato tale ultima sentenza – intervenuta sul tema dei limiti dell’appello
incidentale, e dunque su quesito concernente il giudizio di cognizione in senso
stretto, e non quello di rinvio – si è limitata a reiterare i principi affermati dalla
citata sentenza Tuzzolino (Sez. U. n. 1/2000) in tema di distinzione fra punti e
capi della sentenza, senza affrontare nè tanto meno rimettere in discussione i
principi giurisprudenziali in tema di giudicato parziale determinato dalle sentenza
di annullamento della Corte di cassazione.
7.

Manifestamente infondata è anche la doglianza sul trattamento

sanzionatorio. Infatti, la Corte di appello di Perugia con motivazione esaustiva,
logica e non contraddittoria evidenzia correttamente le ragioni che l’hanno
portata ad individuare quale pena congrua quella irrogata per il reato commesso
dall’imputato. Invero, da un lato rileva l’importanza dell’avvenuto risarcimento
dei danni ai fini della concessione delle attenuanti generiche, dall’altro sottolinea
la gravità del fatto e la personalità negativa dell’imputato (gravato anche da un
precedente penale), circostanze queste che la portano a ritenere congrua la pena
base individuata dal Giudice di primo grado e ad operare, però, il massimo di
riduzione per le attenuanti generiche proprio per mitigare la pena inflitta in
primo grado (e definita dalla Corte di merito “abbastanza elevata”). In proposito

7

questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio
– che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo
edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale
assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati
nell’art. 133 cod. pen. (gravità del fatto; Sez. 4, Sentenza n. 41702 del
20/09/2004 Ud. – dep. 26/10/2004 – Rv. 230278).
8.

Orbene questa Corte Suprema ha più volte affermato il principio,

quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che
non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel
vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc.
pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598
del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
9.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità –

al

pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di 1.500,00 euro,
così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in Roma, il 24.06.2014.

condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione

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