Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30268 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30268 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

Data Udienza: 15/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– BIANCHI NAZZARENO, n. 10/03/1966 a PRIVERNO

avverso la sentenza della Corte d’appello di ROMA in data 27/06/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. V. D’Ambrosio, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. A. R. Dionisi, che ha chiesto
accogliersi il ricorso;

fr,

RITENUTO IN FATTO

1. BIANCHI NAZZARENO ha proposto ricorso, sia personalmente che a mezzo del
difensore fiduciario cassazionista, avverso la sentenza della Corte d’appello di
ROMA, emessa in data 27/06/2012, depositata in data 26/07/2012, con cui, in
parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di CASSINO del

condannato alla pena di anni 3 di reclusione ed € 12.000,00 di multa, per aver
trasportato e comunque illecitamente detenuto al fine di cessione a terzi di gr.
51,95 di sostanza stupefacente del tipo cocaina, contenuta in una busta di
cellophane termosaldata e di gr. 1,49 di sostanza stupefacente dello stesso tipo,
contenuta in una bustina di cellophane, per un totale di gr. 53,44, con contenuto
in principio attivo compreso tra il 42 ed 52%, da cui è possibile ricavare 177 dosi
singole medie; con la recidiva specifica ex art. 99, comma 2, n. 1, c.p. (fatto
accertato in Cassino – Frosinone, il 21 ottobre 2006).

2.

Con i separati ricorsi, proposti personalmente dal ricorrente BIANCHI

NAZZARENO e dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti due identici
motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione

ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1.

Deducono, con il primo motivo, il vizio di inosservanza ed erronea

applicazione dell’art. 606, lett. d), c.p.p.
Si duole, in sintesi, il ricorrente, per aver la Corte territoriale disatteso la
richiesta di rito abbreviato, subordinata all’integrazione probatoria consistente
nell’audizione del c.t. tossicologico forense di parte, ritenendola non necessaria
né compatibile con le esigenze di semplificazione e di celerità caratterizzanti il
rito richiesto; detta motivazione sarebbe illogica e contraddittoria ed apparente,
atteso che si sarebbe trattato dell’esame di un solo teste e non avrebbe
contrastato con le caratteristiche del rito richiesto; tale integrazione probatoria
era, altresì, assolutamente necessaria, atteso che, quando il reato de quo viene
contestato a soggetti assuntori di stupefacente, dev’essere accertata la
destinazione ad uso personale dello stupefacente, ciò che può avere rilievo sul
piano della determinazione della quantità complessiva di stupefacente ai fini
della valutazione dell’entità del fatto, del giudizio sulle aggravanti e sulla pena; il
ricorrente, in particolare, all’atto dell’arresto frequentava il SERT per dipendenza
da cocaina, ma dall’analisi effettuate dal predetto c.t. di parte, era emerso che
2

12/02/2007, il ricorrente, in esito al giudizio abbreviato richiesto, era stato

egli facesse un uso smodato di detto stupefacente, circostanza che lo stesso
ricorrente aveva dichiarato sin dal primo atto di indagine.
Inoltre, si aggiunge nel ricorso, la Corte territoriale ha ritenuto superflua
l’audizione del c.t. di parte in quanto la consulenza dello stesso era documentata
in atti, aggiungendo che emergessero dagli atti dei gravi indizi di destinazione
allo spaccio dello stupefacente, ma senza specificarne i motivi; sul punto, il
ricorrente censura la motivazione, in quanto egli stesso aveva fornito indicazioni

3.000,00 euro mensili; tale ultima circostanza, unita allo stato di
tossicodipendenza da cocaina, erano idonee a contrastare la presunzione di
detenzione per fini di spaccio dello stupefacente detenuto.

2.2. Deducono, con un secondo motivo, il vizio di inosservanza od erronea
applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), c.p.p.
La Corte territoriale, aderendo al

decisum del primo giudice, ha ritenuto

responsabile il ricorrente del reato contestato sulla base del solo dato
quantitativo; il ricorrente è un assuntore importante di sostanze stupefacenti del
tipo cocaina, circostanza dichiarata sin dal momento del suo arresto; la stessa
relazione del c.t. di parte ha confermato che il ricorrente è un assuntore “grave”
di quel tipo di sostanza alla luce della letteratura scientifica internazionale; è
stato accertato che alla data del 24.11.2006, egli frequentava il SERT; il
ricorrente ha subito indicato al momento dell’arresto di aver prelevato dal suo
libretto postale le somme necessaria all’acquisto del quantitativo di stupefacente
rinvenuto in suo possesso.
In definitiva, quindi, non sarebbe stata provata la destinazione a fini di spaccio
dello stupefacente, non potendosi farsi carico al ricorrente di provare la
destinazione ad uso personale; la giurisprudenza successiva alle modifiche
introdotte nel 2006, considera il dato quantitativo un mero elemento indiziario
della detenzione a fino di non di uso personale; sulla base di quanto emerso in
atti (ricorrente assuntore grave di cocaina; disponibilità di reddito per l’acquisto
del quantitativo sequestrato) era possibile desumere la destinazione ad uso
personale della stupefacente e non a fini di spaccio, valutazione che non è stata
eseguita dalla Corte territoriale con l’impugnata sentenza, censurabile quindi
anche per omessa motivazione sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
3

sulle modalità dell’acquisto, specificando che al tempo aveva un reddito di

4. Ed invero, quanto al primo motivo, non può ritenersi sussistere il denunciato

vizio di omessa assunzione di prova decisiva. La Corte territoriale ha, infatti,
indicato le ragioni della mancata assunzione della prova costituita dal c.t.p.
A pag. 4 dell’impugnata sentenza, infatti, i giudici della Corte d’appello
chiariscono non solo come la richiesta di rinnovo dell’atto istruttorio fosse da
considerarsi superflua alla luce dell’avvenuta acquisizione agli atti della

contestazione la circostanza che il ricorrente avesse fatto uso di cocaina.
Piuttosto, si aggiunge, le emergenze processuali consentivano di ritenere
l’esistenza di univoci e gravi indizi in base ai quali era possibile ritenere che la
sostanza stupefacente al medesimo sequestrata (quantificata in 177 dosi) fosse
destinata allo spaccio: a) lo stupefacente, racchiuso in due involucri, era stato
infatti sequestrato al ricorrente all’interno di un’autovettura e nella pubblica via;
b) il ricorrente aveva fornito vaghe indicazioni sulle modalità dell’acquisto; c) il
reddito dichiarato (pari a 3000 euro mensili circa) rapportato alla cifra che questi
sosteneva di aver speso per l’acquisto (2000 euro) faceva logicamente ritenere
che per “rientrare”, egli dovesse rivendere lo stupefacente; c) da quanto
dichiarato in sede di convalida dell’arresto e dalla stessa relazione del c.t.p.,
emergeva che l’uso di stupefacenti, nel corso degli anni, fosse stato “altalenante”
e, dunque, non tale da giustificare la detenzione ad uso personale del notevole
quantitativo sequestratogli; d) solo dopo il suo arresto, il ricorrente si era
attivato per controlli presso il SERT.
La puntuale e dettagliata illustrazione delle ragioni per le quali l’audizione del
c.t.p. non fosse necessaria in sede di appello, dunque, esclude in radice qualsiasi
vizio motivazionale, posto che, in tema di ricorso per cassazione, può essere
censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale
qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della
decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del
medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali
sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla
riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013 dep. 14/01/2014, Cozzetto, Rv. 258236).
Né può, tantomeno, ritenersi sussistere il vizio di cui alla lett. d), dell’art. 606
c.p.p., alla luce della specifica motivazione della sentenza impugnata.
Ed invero, l’ “error in procedendo” rilevante “ex” art. 606, comma primo, lett. d),
cod. proc. pen., è configurabile soltanto quando la prova richiesta e non
ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza
4

dettagliata relazione del c.t.p. prof.ssa Lopez, ma anche come non fosse in

impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto
determinare una decisione diversa; la valutazione in ordine alla decisività della
prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa
richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del
convincimento del giudice di merito (Sez. 4, n. 23505 del 14/03/2008 – dep.
11/06/2008, Di Dio, Rv. 240839). Ed è indubbio, alla luce di quanto esposto
nella motivazione della sentenza impugnata, che l’audizione del c.t.p. non

5. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso, la prova della destinazione allo
spaccio della sostanza stupefacente detenuta, emerge in modo convincente dalla
motivazione della sentenza impugnata.
Ed infatti, a pag. 5, la Corte territoriale elenca i quattro punti da cui emerge la
finalizzazione alla cessione illecita dello stupefacente detenuto; del resto,
sarebbe sufficiente richiamare l’elevatissimo quantitativo di dosi ricavabili (ben
177) per poter, di per sé, fugare qualsiasi dubbio sulla natura illecita della
detenzione.
Come, infatti, già più volte chiarito da questa Corte, la valutazione in ordine alla
destinazione della droga (se al fine dell’uso personale o della cessione a terzi),
ogni qualvolta la condotta non appaia indicare l’immediatezza del consumo, è
effettuata dal giudice di merito secondo parametri di apprezzamento sindacabili
nel giudizio di legittimità solo sotto il profilo della mancanza o della manifesta
illogicità della motivazione (v., tra le tante: Sez. 6, n. 6282 del 19/04/2000 dep. 29/05/2000, D’Incontro, Rv. 216315; Sez. 6, n. 44419 del 13/11/2008 dep. 28/11/2008, Perrone, Rv. 241604; Sez. U, n. 4 del 28/05/1997 – dep.
18/07/1997, P.M. in proc. Iacolare, Rv. 208217) e non, quindi, come avvenuto
nel caso in esame, sotto l’erroneo profilo della violazione di legge (art. 606, lett.
b), c.p.p.).
Ed è indubbio che gli elementi esposti nell’impugnata sentenza escludono in
radice qualsiasi vizio motivazionale.

6. Solo per completezza deve, infine, essere precisato che non ricorrono le
condizioni per l’esercizio del sindacato “officioso” di questa Corte ai sensi dell’art.
609 c.p.p.; ed invero, la pena inflitta può considerarsi a tutti gli effetti legale, in
quanto, pur a seguito della declaratoria di incostituzionalità operata con la
sentenza n. 32/2014, per il reato per cui si procede (art. 73, TU Stup.), ed in
relazione al tipo di stupefacente detenuto (cocaina, qualificabile pacificamente
tra le c.d. droghe pesanti), la pena applicabile è quella della reclusione da otto a
5

avrebbe certo inficiato quanto argomentato dal giudice di merito.

venti anni e della multa da euro 25.822 ad euro 258.228, non essendo stata
riconosciuta l’ipotesi del comma 5. Ne discende, pertanto, che avendo il giudice
di appello ridotto ulteriormente la pena ad anni 2 e mesi 8 di reclusione ed €
12.000,00 di multa non può porsi, avuto riguardo alla pena base ed ai criteri di
calcolo applicati, alcun problema di legalità del trattamento sanzionatorio.

7. Il ricorso dev’essere, in definitiva, dichiarato inammissibile. Segue, a norma

procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima
equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2014

nsiglier est.

Il Presidente

dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del

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