Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30262 del 13/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30262 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAVONE LORENZO N. IL 02/06/1970
FIORETTO GIUSEPPE N. IL 09/07/1981
SCUDERI SALVATORE N. IL 01/10/1963
INDELICATO ROSARIO N. IL 25/07/1965
CHISARI SALVATORE N. IL 25/04/1978
avverso la sentenza n. 349/2015 CORTE APPELLO di CATANIA, del
19/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. .4e-em 2r,
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che ha concluso per ; e „i

Udito, per la parte civi , l’Avv
Uditi difensor

Data Udienza: 13/04/2016

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RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 19 giugno 2015 la Corte d’Appello di Catania, in parziale riforma della
sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania che, in data 9
luglio 2014, aveva condannato, tra gli altri, PAVONE Lorenzo, FIORETTO Giuseppe, CHISARI
Salvatore, SCUDERI Salvatore ed INDELICATO Rosario, per diversi episodi di estorsione

per continuazione, gli rideterminava la pena in anni cinque di reclusione ed euro 3.333,00 di
multa; rideterminava la pena inflitta nei confronti di FIORETTO Giuseppe in anni sei e mesi
quattro di reclusione ed euro 5.400,00 di multa; non applicata la contestata recidiva ed
esclusa in relazione al reato di cui al capo C), la circostanza aggravante di cui all’art. 628
comma terzo n. 1) c.p., rideterminava la pena nei confronti di INDELICATO Rosario in anni
nove e mesi otto di reclusione ed euro 8.400,00 di multa; condannava gli imputati al
pagamento di una provvisionale in favore di Reitano Carmelo, liquidata in euro 5.000,00 per
ciascun imputato; confermava nel resto l’impugnata sentenza.
Ricorrono per cassazione gli imputati a mezzo dei difensori, con distinti ricorsi che presentano
motivi comuni.

PAVONE Lorenzo, FIORETTO Giuseppe, CHISARI Salvatore e INDELICATO Rosario
deducono che la sentenza impugnata è incorsa in violazione di legge e vizio della motivazione
in ordine alla eccepita inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Reitano Carmelo. Lamentano la
evidente illegittimità della decisione appellata in relazione alla mancata declaratoria di
inutilizzabilità, ai sensi del comma secondo dell’articolo 63 c.p.p., delle sommarie
informazioni e delle dichiarazioni testimoniali rese nel corso dell’incidente probatorio del 20
marzo 2013 da Reitano Carmelo, ribadendo che il predetto doveva essere sentito sin dall’inizio
in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini con la conseguenza che le sue
dichiarazioni non potevano essere utilizzate. Al riguardo evidenziano che fin da subito erano
emersi profili di responsabilità penale, tenuto conto dell’ambiguità dei rapporti del Reitano con
più sodalizi mafiosi, anche tra loro concorrenti, alla cui mediazione il dichiarante aveva talvolta
fatto ricorso. Ventilano la prospettabilità del concorso esterno in associazione mafiosa o del
favoreggiamento che avrebbero imposto l’esame del Reitano, in sede di indagini, in qualità di
indagato e, durante l’esame testimoniale, con l’assistenza di un difensore ai sensi dell’articolo
210 c.p.p .
Tutti gli imputati lamentano violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla
credibilità oggettiva e soggettiva delle dichiarazioni rese dalla parte offesa sostanzialmente
unica fonte di prova dell’intero procedimento. In particolare si dolgono del fatto che la Corte
territoriale non ha tenuto conto dei rapporti del Reitano con le associazioni mafiose,
1

aggravata, anche ai sensi dell’art. 7 D.L. n. 152/91, escluso per CHISARI Salvatore l’aumento

considerato che lo stesso aveva dichiarato di essersi rivolto alla famiglia Assinnata ritenendola
la più forte sul territorio, e poi si era rivolto ad altro esponente mafioso, Uccellatore Giovanni,
perché si era sentito “abbandonato” e quindi in un momento di debolezza aveva fatto ricorso ai
vari sodalizi mafiosi con aspettativa di riceverne trattamenti favorevoli. Veniva sottolineato che
“la vittima” non poteva ritenersi attendibile con riferimento ai rapporti con il collaboratore di
giustizia Filippo Pappalardo, considerato che aveva negato di aver mai acquistato cocaina
da lui , salvo poi contraddirsi nel verbale del 4 aprile 2013. Veniva rilevato che il Reitano era
portatore di un interesse economico dipendente dall’affermazione della penale responsabilità

Reitano, che voleva evitare di pagare un’estorsione da parte di tale Filippo Motta. Si trattava
pertanto di un sinallagma perfetto, di un rapporto paritetico, in base al quale il Reitano veniva
garantito nei suoi problemi scaturenti dall’attività di imprenditore in un clima di convivialità
(come dimostrato dal pranzo nel ristorante “Scuto al centro del paese). Veniva
evidenziato che quelli indicati erano elementi che, unitamente alla vicenda della ditta
Tecnomarmi, incrinavano l’attendibilità del Reitano.

SCUDERI sottolineava anche che la vittima non era credibile in quanto nutriva un forte
rancore nei suoi confronti perché non aveva accolto la sua richiesta in merito alla gara di
appalto e comunque non si sarebbe mai interessato per il recupero della merce rubata;
Lamentano che la corte d’appello non ha fornito alcuna motivazione specifica a tutte queste
circostanze che incidono sulla credibilità del denunciante.

PAVONE Lorenzo deduce anche:
1. vizio della motivazione. Contesta la ricostruzione dei fatti operata in sentenza e
l’omessa considerazione di alcune circostanze di fatto. Rileva che l’espressione
utilizzata da Indelicato alla presenza del Reitano ( quest’ultimo doveva considerarsi

“frati nostru”) aveva certamente indotto il PAVONE a ritenere che il Reitano fosse
un soggetto vicino alla famiglia mafiosa paternese e non un imprenditore da sottoporre
ad estorsione. Sostiene che l’estorsione doveva ritenersi esclusa sia dal punto di vista
oggettivo, difettando qualsiasi forma di violenza o minaccia, che soggettivo, dovendosi
escludere che l’imputato potesse essere consapevole di un diverso status del Reitano
rispetto a quello che oggettivamente appariva tanto per le parole di presentazione
dell’Indelicato quanto per la presenza di questi nella gestione degli affari della persona
offesa. In sintesi la figura del Reitano era quella dell’imprenditore che stipula un patto
di protezione con l’associazione mafiosa.
2. Vizio della motivazione con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e
all’entità della pena

FIORETTO Giuseppe deduce:
2

degli imputati e che il primo contatto con il clan era stato dovuto all’iniziativa dello stesso

1. vizio della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità. Lamenta in un lungo
motivo di ricorso la mancata considerazione dei motivi d’appello, sostiene che dagli atti
istruttori emerge che l’imputato non aveva proferito alcuna minaccia e comunque
contesta la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito.
2.

Violazione di legge in ordine alla mancanza di motivazione con riguardo alla richiesta né
concessa, né negata della richiesta di continuazione con la sentenza della corte
d’appello di Catania del 21 febbraio 2011 con la quale ha subito condanna per il reato di

3.

violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego delle circostanze
attenuanti generiche, della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 c.p. con
giudizio di prevalenza sulle aggravanti e per la mancata applicazione dell’articolo 116
codice penale. Contesta in ogni caso l’eccessività della pena considerato il ruolo
marginale del ricorrente.

SCUDERI Salvatore deduce:
1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità.
Lamenta la mancata risposta a precise censure avanzate con il gravame. Lamenta che
non era stata data adeguata risposta all’episodio della ditta Tecnomarmi e ai rapporti
fra Reitano ed INDELICATO. Sottolinea che in sede di incidente probatorio Reitano
aveva ammesso che nel medesimo contesto temporale del novembre-dicembre 2012
si era recato in compagnia dell’INDELICATO presso la ditta Tecnomarmi di Biancavilla
per sollecitare l’adempimento di un suo credito, così dimostrando una intervenuta
comunanza di interessi, anche per l’ottenimento di appalti per la manutenzione di
condomini nel quartiere di Picanello: a tale titolo la vittima aveva versato la somma di C
1000,00 per garantirsi una protezione in loco e per essere favorito nell’ottenimento di
tali lavori nella zona, come quello relativo all’appalto nel condominio di via del Rotolo, in
relazione al quale si era collocato al secondo posto, e, risentito, aveva quindi
interrotto ogni rapporto con la controparte. Veniva rilevato che dagli atti risultava che
nessuna persona si era mai avvicinata con modi o comportamenti sospetti al cantiere
di via Borrello, e che Reitano non aveva mai subito una pressione morale,
intimidazione o minaccia. Lo stesso Reitano aveva dichiarato di essersi rivolto a
persone di Picanello dopo un considerevole periodo di tempo dall’inizio dei lavori,
tramite la sollecitazione dell’Indelicato che lo aveva presentato quale “loro fratello”, e
come tale doveva essere trattato. Sostiene che la sentenza della corte d’appello non si
è confrontata con tale argomentazione ed ha affermato la responsabilità dell’imputato
violando le regole della logica e costruendo il proprio ragionamento sull’incerto, non
provato e non conosciuto. Sostiene che dalla lettura degli atti processuali emerge come
3

furto aggravato ;

non sussista alcuna pretesa ingiusta e comunque non sussistano i requisiti della
violenza e minaccia che caratterizzano l’azione dell’estorsore.
2.

Violazione di legge in ordine all’applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 7 legge
numero 203/1991. Considerato che con la sentenza di assoluzione emessa in data
10 dicembre 2014 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania lo
SCUDERI è stato assolto dall’accusa di far parte del sodalizio mafioso denominato
Santapaola, la configurabilità dell’aggravante rileva solo con riguardo all’utilizzo del

evocative della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo doveva escludersi
la sussistenza dell’aggravante
3.

mancanza della motivazione in ordine alla ritenuta recidiva considerata la pronuncia
della Corte Costituzionale (sentenza n.185 del 2015), in ordine ali’ aggravante delle più
persone riunite e alla mancata concessione del danno di lieve entità.

INDELICATO Rosario deduce
1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla sussistenza del reato.
Sostiene che non è ravvisabile nel caso di specie alcuna coartazione psichica
considerato che è il Reitano ad aver richiesto un patto di protezione. Mancano gli
elementi costitutivi della violenza o della minaccia
2.

violazione di legge vizio della motivazione relativamente al capo b) della rubrica in
ordine alla qualificazione giuridica dei fatti. Ferme le censure in ordine agli elementi
costitutivi del reato rileva che con particolare riguardo all’episodio di cui al capo b) lo
stesso doveva essere più correttamente qualificato come esercizio arbitrario delle
proprie ragioni o violenza privata. Rileva che la somma consegnata da Reitano era
esattamente corrispondente a quanto dallo stesso dovuto a Tumrninello Goisuè in
relazione alla fattura emessa da quest’ultimo per lavori di riparazione effettuati sul suo
camion.

3.

Violazione di legge e vizio della motivazione relativamente al capo c) della rubrica
rispetto al quale risulta ancora più evidente la mancanza di qualsiasi coartazione
psichica. Rileva che nel caso di specie si è trattato di una regalia del Reitano che ha
ritenuto di dover coinvolgere nella fortunata vincita al gioco ” gratta e vinci” l’odierno
ricorrente;

4.

violazione di legge e vizio della motivazione relativamente al capo d). Lamenta che la
sentenza impugnata presenta numerose lacune ed aspetti critici in ordine al vaglio
degli elementi caratterizzanti la fattispecie contestata. Sostiene che anche nel caso di
specie manca qualsiasi coartazione da parte del ricorrente essendosi la parte offesa
4

metodo mafioso, con la conseguenza che non essendo state poste in essere condotte

coinvolto per iniziativa propria e comunque l’assoluta estraneità dell’INDELICATO a
qualsiasi vicenda estorsiva essendosi lo stesso limitato alla funzione di
accompagnatore;
5. violazione di legge e vizio della motivazione anche con riguardo al capo e) della
rubrica. Lamenta che la corte d’appello si è limitata a ritenere l’episodio quale “cavallo
di ritorno” senza tenere conto del principio costante della Suprema Corte quello
secondo il quale non risponde di estorsione colui che per incarico della vittima ed in

ottenere la restituzione della cosa mediante esborso di denaro senza conseguirne
alcuna parte. Nel caso di specie è stato il Reitano ancora una volta a contattare il
ricorrente affinché lo stesso intercedesse per il recupero dei mezzi rubati;
6.

violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’ aggravante di cui all’art. 628
co 3 n. 3 c.p. e dell’aggravante di cui all’articolo 7 legge numero 203 91. Rileva che
non risulta da alcuna sentenza definitiva l’appartenenza del ricorrente ad
un’organizzazione criminale. Ritiene l’aggravante non compatibile con quella di cui
all’articolo 7 L. n. 203/91.

7.

Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 63 co 4 c.p. per
omessa motivazione dell’aumento facoltativo;

8.

Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego dell’attenuante di cui
all’articolo 62 n. 4 c.p. e in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche;

9.

violazione di legge vizio della motivazione in ordine all’entità della pena e all’aumento
per la continuazione.

CHISARI Salvatore

deduce violazione di legge e e vizio della motivazione in relazione

all’aumento di cui all’articolo 63 comma 4 c.p. Ritiene la motivazione contraddittoria
considerata la non gravità del comportamento tenuto dal ricorrente

CONSIDERATO IN DIRITTO

Per esigenze di sintesi espositiva si ritiene di trattare congiuntamente i temi generali e/o
relativi a motivi di ricorso proposti da numerosi ricorrenti o comunque estensibili a tutti i
soggetti condannati per i relativi delitti. Nella successiva disamina si darà conto solo degli altri
motivi, personali, proposti dai ricorrenti.
1. Sulla infondatezza, in particolare, del motivo, diretto ad invalidare il valore probatorio delle
dichiarazioni della parte offesa Reitano Carmelo deve rilevarsi che se è vero che in tema di
5

esclusivo interesse di quest’ultimo si mette in contatto con gli autori del reato per

prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al
giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici
formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di
reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni
stesse vengano rese, è pur vero che il relativo accertamento si sottrae, se congruamente
motivato, al sindacato di legittimità (cfr. Cass. Sez. Un n. 15208 del 25/02/2010 Ud. (dep.
21/04/2010) Rv. 246584; Cass. Sez. 2° n. 51840del 2013 Rv. 258069; Sez. 4° n. 29918 del
2015 Rv 264476). Nel caso in esame la Corte d’Appello ha dato conto con motivazione

conto con motivazione diffusa che occupa le pagine da 36 a 38 di come la posizione del
Reitano sia stata, sin dall’inizio delle sue dichiarazioni, “sideralmente” lontana da qualsiasi
assimilazione alla posizione dell’imprenditore colluso, atteso che la vittima versò numerose
somme di denaro al clan Assinnata a fronte di continue minacce dello stesso, anche implicite,
relative alla possibilità di danneggiamenti o furti nei propri cantieri, peraltro non sempre
assicurati dal clan, mentre nessuna posizione di vantaggio fu mai chiesta o acquisita dalla
vittima nel contesto imprenditoriale in cui svolgeva la propria attività (come dallo stesso
ribadita in sede di incidente probatorio). E’ stato altresì sottolineato come in occasione
dell’estorsione di cui al capo e), venne addirittura picchiato con calci e pugni da esponenti del
clan Assinnata, e che oltre ai furti subiti nel cantiere di Picanello (capo d) e nel territorio di
Belpasso (capo e), il Reitano subì anche l’incendio di una propria autovettura, furti e
danneggiamenti in altro cantiere. Circostanze correttamente indicate come sintomatiche della
qualità di vittima e incompatibili, per la loro ripetizione nel tempo, con lo status di imprenditore
colluso con l’organizzazione mafiosa. Così come è stato evidenziato che le considerazioni
espresse non potevano cambiare anche tenendo conto dell’episodio, valorizzato da alcune
difese, della ditta Tecnomarmi sottolineando come la verosimile casualità della circostanza e il
mancato pagamento del debito in tale occasione richiesto dal Reitano alla Tecnomarmi (a
differenza della fattispecie, ben più significativa, di cui al capo b), in cui il Reitano fu costretto
a pagare con minacce di morte), non potevano certamente indurre gli investigatori prima ed il
G.I.P. poi, a ritenere ipotizzabile un qualsiasi reato a carico del Reitano, tale da mutare la sua
posizione di persona informata sui fatti e poi testimone in quella di indagato di reato connesso
o collegato.
2. Con riguardo alla violazione dei canoni di valutazione probatoria e carenza motivazionale
della sentenza impugnata con riferimento al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese da
Reitano il Collegio non può che riaffermare quanto espresso da un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, secondo il quale le dichiarazioni della parte offesa possono essere
legittimamente poste da sole a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato,
previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e
dell’attendibilità intrinseca del racconto (cfr. ex multis e tra le più recenti Sez. 4, n. 44644 del
18/10/2011, F., Rv. 251661; Sez. 3, n. 28913 del 03/05/2011, C., Rv. 251075; Sez. 3, n.
6

specifica, logica e coerente della evidente infondatezza delle prospettazioni difensive, dando

1818 del 03/12/ 2010, dep. 2011, L. C., Rv. 249136; Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De
Ritis, Rv. 240524). In sintesi il vaglio positivo dell’attendibilità del dichiarante deve essere più
penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di
qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali
determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione
dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al
riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di
deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria

una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare
spazio ad una valida alternativa. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali
dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e
sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal
riconoscimento della responsabilità dell’imputato (Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini,
Rv. 248016;Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755). Costituisce, infine,
principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della
credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria
chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in
sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni. (cfr. ex
plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv.
239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348
del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza,
Rv. 225232 Cass SSUU n. 41461 del 2012 Rv. 253214; N. n. 1666 2015 Rv. 261730).
Nel caso di specie i giudici di merito – tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti
gli elementi emersi nel corso del processo, anche quelli di nuovo evidenziati in sede di appello
(richiesta di aiuto rivolta dal Reitano al clan Assinnata, originaria negazione del suo stato di
tossicodipendenza e ai rapporti avuti col Pappalardo, episodio Tecnomarmi) – hanno spiegato,
con iter argomentativo esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente ancorato
all’esame delle singole emergenze processuali, le ragioni per le quali le dichiarazioni rese da
Reitano erano da ritenersi intrinsecamente e oggettivamente attendibili e trovavano
significativi elementi di convergenza negli altri elementi investigativi acquisiti, in particolare,
nel contenuto della trascrizione della telefonata al “112” del 4 marzo 2013 e nelle
intercettazioni telefoniche riportate alle pagine da 47 a 65 della sentenza di primo grado,
richiamata nella sentenza d’appello, ancora nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia
Pappalardo Filippo.
3. Deve inoltre ricordarsi che mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio
di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed
7

l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente

incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del
“travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di
merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una
operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi
di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez. 3^, n.
39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5^, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola,

E questo è tanto più vero laddove con l’impugnazione venga posto un mero problema di
interpretazione di espressioni o frasi, trattandosi di questione di fatto, rimessa
all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se – come nella
fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza
utilizzate.
4. Nella specie, con riguardo al primo motivo del ricorso PAVONE Lorenzo i giudici di merito
hanno dato una spiegazione del tutto coerente in ordine all’espressione (“amico nostro – frati
nostru”) sottolineando come nel caso in esame, tenuto conto delle circostanze del fatto
(trattasi di un appuntamento finalizzato ad estorcere denaro ad un imprenditore che
operava in una zona mafiosa territorialrnente riconducibile ad un clan diverso da quello di
Paternò), l’espressione “frate nostro” fu utilizzata dall’INDELICATO solo al fine ( risultato
apparente, perché fu costretto a pagare una somma superiore alla percentuale
comunemente richiesta sull’importo dei lavori) di chiedere uno sconto sul profitto
dell’estorsione che il Reitano doveva pagare per i lavori nel quartiere di Picanello, come
tale inteso anche dal PAVONE, qualificatosi come referente ” di Picanello,
A fronte di quanto indicato il PAVONE non deduce una discrasia tra il contenuto delle prove e il
risultato probatorio, bensì l’erronea valutazione di tale elemento di cui chiede una rilettura e
quindi il sostanziale riesame nel merito, inammissibile in sede d’indagine di legittimità quando
la struttura razionale della sentenza impugnata ha – come nella specie – una sua chiara e
puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della
logica, alle risultanze del quadro probatorio.
5. Analoghe considerazioni valgono anche per le censure avanzate da SCUDERI Salvatore nel
primo motivo di ricorso. Il motivo sottende piuttosto una inammissibile rivisitazione del
materiale istruttorio nell’ottica finalizzata ad assecondare una versione dei fatti diversa da
quella posta a fondamento della decisione impugnata, estranea al giudizio di legittimità. Lo
sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli
elementi probatori. La sentenza, non solo si è confrontata con le deduzioni difensive, ma ha
indicato con adeguatezza e logicità le circostanze e le emergenze processuali che sono state
determinanti per la formazione del convincimento del giudice, consentendo così
l’individuazione dell’iter logico- giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata. Il
8

Rv. 238215).

silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame non rileva qualora questa sia stata
disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata perché non è
necessario che il giudice confuti esplicitamente la specifica tesi difensiva disattesa, ma è
sufficiente che evidenzi nella sentenza una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione
implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cass., sez. 2,
12/02/2009, n. 8619). Ed invero la corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune
da vizi logici ha correttamente dimostrato la sussistenza della responsabilità dello SCUDERI nei

6. Anche FIORETTO Giuseppe attraverso la censura di omessa motivazione in ordine alle
doglianze avanzate con i motivi di appello vuole sottoporre alla Corte censure di merito
inammissibili in questa sede. La decisione impugnata si presenta invece formalmente e
sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni
basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e
persuasiva risposta ai quesiti avanzati in sede di appello in ordine alla responsabilità a titolo di
concorso ex art. 110 c.p.
7.

Deve inoltre ricordarsi che

la giurisprudenza di legittimità ha definito

estorsione

“ambientale” quella particolare forma di estorsione, che viene perpetrata da soggetti
notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato
territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di
certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto
agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano
idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima. ( Cass. N. 19724 del 2010 Rv.
247117, N. 2833 del 2013 Rv. 254297, N. 11922 del 2013 Rv. 254797; n. 53652 del 2014
Rv. 261632).
8. Deve pertanto essere respinta la doglianza avanzata da FIORETTO Giuseppe quanto alla
prospettata insussistenza di minacce considerato che la sentenza impugnata ha indicato, che è
stata la stessa persona offesa ad indicare che l’imputato si presentava su mandato e
nell’interesse del clan Assinnata, per conto del quale riscuoteva le somme richieste e
quindi con la minaccia implicita, tipica delle estorsioni mafiose.
9. Così come deve essere respinta analoga doglianza avanzata da INDELICATO Rosario con
riguardo a tutti i reati contestati. La sentenza impugnata ha dato atto, con riguardo ai reati
di cui ai capi b) ed e), che la condotta degli imputati descritta dalla parte offesa risultava
connotata da minacce espresse e da violenze fisiche e che quella relativa al capo d)
costituiva una classica ipotesi di “messa a posto” di cantieri con la minaccia implicita di
subire, in caso di mancato pagamento, danneggiamenti ai beni aziendali, così come le
consegne di denaro di cui al capo c), richieste ed effettuate dal 2009 al 2013 nelle mani di
un soggetto legato al clan Assinnata da parte di un imprenditore sottoposto da diversi anni
ad estorsione del medesimo clan, non potevano che ritenersi connotate dalla medesima
9

fatti contestati al capo d) .

minaccia implicita che aveva caratterizzato tutte le richieste di denaro formulate
dall’associazione di stampo mafioso nei confronti dell’imputato, non abbisognevoli di
esplicite enunciazioni. Trattasi di motivazioni corrette sul piano giuridico per le
argomentazioni sopra indicate.
10. La doglianza in merito alla configurabilità del reato di cui all’art. 393 c.p. sollevata dalla
difesa INDELICATO Rosario con riferimento alla vicenda di cui al capo b) è infondata in punto
di diritto.

quello di estorsione, concorrente col reato di associazione a delinquere, allorché si sia in
presenza di organizzazioni dedite alla realizzazione di crediti per conto altrui mediante
sistematico ricorso alla violenza o ad altre forme di illecita coartazione nei confronti dei debitori
e che ricorre il reato di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni
allorché il debitore sia costretto a pagare a mani di un terzo, atteso che, in tal caso, la persona
offesa è costretta, a seguito dell’azione intimidatrice, a versare denaro a mani di un soggetto
estraneo al rapporto obbligatorio, senza alcuna garanzia di effetto liberatorio e a maggior
ragione quando il terzo incaricato della esazione del credito agisce anche per il perseguimento
dei propri autonomi interessi illeciti. (Cass. N. 1556 del 1992 Rv. 189943, N. 4681 del
1997 Rv. 207595, N. 5193 del 1998 Rv. 211492, N. 29015 del 2002 Rv. 222292 ; N. 12982
del 2006 Rv. 234117; N. 22003 del 2013 Rv. 255651). Correttamente nel caso di specie la
Corte territoriale ha ritenuto che la richiesta di denaro sulla base di un credito di cui risultava
titolare un soggetto diverso dai richiedenti, appartenenti o comunque collegati ad una cosca
mafiosa, formulata mediante pesanti richieste di morte, esulava da qualsiasi ragionevole
intento di fare valere un diritto e rientrava nell’alveo del delitto di cui all’articolo 629 c.p.
aggravato dall’articolo 7 della legge 152 del 1991.
Le argomentazioni espresse a maggior ragione portano all’esclusione della qualificazione del
fatto in termini di violenza privata considerato che gli imputati hanno agito per realizzare un
ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale.
10. Deve altresì ricordarsi che è principio pressoché uniforme in giurisprudenza che colui che,
per i legami con l’autore del furto, conduca le trattative rivolte a far ottenere al derubato la
restituzione della refurtiva contro il pagamento di una somma, ben può ritenersi responsabile
di estorsione, ovvero di concorso in essa, quando agisca anche nell’interesse del ladro,
contribuendo in tal caso con la sua condotta all’opera di pressione nei confronti del derubato
oppure sia intervenuto nelle trattative per lucrare una somma di danaro (Sez. 2, 27 aprile
1988, dep. 25 luglio 1989, n. 10491; Sez. 2, 8 aprile 1988, dep. 19 ottobre 1988, n. 10176).
Privo di fondamento risulta pertanto il motivo di ricorso avanzato dall’INDELICATO con
riguardo al capo e) trattandosi, come indicato anche dai giudici di merito, di una tipica
fattispecie estorsiva c.d. “del cavallo di ritorno”, in cui la pretesa di denaro trova
10

La giurisprudenza è ferma nel ritenere che non è configurabile il reato di ragion fattasi, ma

spiegazione nella minaccia implicita relativa alla definitiva perdita dei beni
precedentemente sottratti alla vittima: nel caso di specie, ad escludere qualsiasi
finalità meramente amicale da parte dell’INDELICATO, rileva il fatto che non solo lo
stesso personalmente riscosse la prima consistente tranche del pagamento, ma continuò
a pretendere denaro dalla vittima malgrado il parziale recupero delle attrezzature rubate,
giungendo ad aggredire con schiaffi e pugni, insieme al coimputato Puglisi, il Reitano che
continuava a rifiutarsi di saldare il pagamento del pizzo stante la mancata restituzione

11. Inaccoglibili sono anche i motivi avanzati da PAVONE, FIORETTO, INDELICATO e CHISARI
tesi ad ottenere la concessione delle circostanze attenuanti generiche
Sul punto va richiamato il principio, più volte stabilito da questa Corte, che, in caso di diniego,
soprattutto dopo la specifica modifica dell’art. 62 bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008,
n. 2002 convertito con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 che ha sancito essere
l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, è
assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere
ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine.
E’ stato infatti affermato che “in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere
della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso
più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e
non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso
responsabile, la merìtevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o
per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla,
di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è proprio la
suindicata meritevolezza che necessita, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita
motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a
giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta,
per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica
richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili
ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta
necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si
fonda” (così, ex plurimis, sez. 1, n. 11361 del 19.10.1992, rv. 192381; sez. 1 n. 12496 del
21.9.1999, rv. 214570; sez. 6, n. 13048 del 20.6.2000, Occhipinti ed altri, rv. 217882; sez. 1,
n. 29679 del 13.6.2011, rv. 219891; n. 44071 del 25/09/2014 Rv. 260610)
Deve comunque rilevarsi che nella fattispecie la Corte territoriale ha motivato il diniego delle
attenuanti generiche non solo per la mancanza di elementi di segno positivo, ma anche per la
oggettiva gravità dei fatti e per PAVONE, FIORETTO ed INDELICATO anche per i precedenti
penali.
11

dell’intera refurtiva

12. Così come inaccoglibili sono i motivi di ricorso con i quali INDELICATO con riferimento al
capo d) e FIORETTO chiedono l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p
Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62, n. 4, cod.
pen.) con riferimento al delitto di estorsione, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia
di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla
lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il
delitto ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e

la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione
dell’attenuante in questione. Nel caso in esame i giudici di merito hanno fatto corretta
applicazione di detti principi ritenendo con riguardo a FIORETTO che la sola valutazione del
danno patrimoniale portasse ad escludere la sussistenza dell’attenuante. Con riguardo
all’INDELICATO correttamente è stata esclusa l’attenuante in argomento ma deve precisarsi
che se nel caso in esame il danno patrimoniale potrebbe ritenersi di modesto valore economico
la valutazione globale del pregiudizio subito dalla parte lesa, così come descritto nella
sentenza, ha correttamente impedito l’applicazione dell’attenuante in argomento.
Anche SCUDERI ha chiesto l’applicazione di detta attenuante. Il motivo è però inammissibile
perché nuovo non essendo stato avanzato con i motivi di gravame.
13.

Con riguardo alla doglianza avanzata da SCUDERI che ha chiesto l’esclusione

dell’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991 deve rilevarsi che detta aggravante richiede
che i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo siano commessi avvalendosi delle condizioni
previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività di associazioni di tipo
mafioso. Si tratta di due ipotesi distinte, quantunque logicamente connesse. La prima ricorre
quando l’agente o gli agenti, pur senza essere partecipi o concorrere in reati associativi,
delinquono con metodo mafioso, ponendo in essere, cioè, una condotta idonea ad esercitare
una particolare coartazione psicologica – non necessariamente su una o più persone
determinate, ma, all’occorrenza, anche su un numero indeterminato di persone, conculcate
nella loro libertà e tranquillità – con i caratteri propri dell’intimidazione derivante
dall’organizzazione criminale della specie considerata. In tal caso non è necessario che
l’associazione mafiosa, costituente il logico presupposto della più grave condotta dell’agente,
sia in concreto precisamente delineata come entità ontologicamente presente nella realtà
fenomenica; essa può essere anche semplicemente presumibile, nel senso che la condotta
stessa, per le modalità che la distinguono, sia già di per sè tale da evocare nel soggetto
passivo l’esistenza di consorterie e sodalizi amplificatori della valenza criminale del reato
commesso. La seconda delle due ipotesi previste dal citato art. 7, postulando che il reato sia
commesso al fine specifico di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso, implica
invece necessariamente l’esistenza reale, e non più semplicemente supposta, di
un’associazione di stampo mafioso, essendo impensabile un aggravamento di pena per il
12

l’integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto; ne consegue che solo ove

favoreggiamento di un sodalizio semplicemente evocato (Cass. Sez. 1, 18 marzo 1994, n.
1327, rv. 197430). L’aggravante in questione, in entrambe le forme in cui può atteggiarsi, è
applicabile a tutti coloro che, in concreto, ne realizzano gli estremi, sia che siano essi partecipi
di un sodalizio di stampo mafioso sia che risultino ad esso estranei (Sez. Un. 22 gennaio 2001,
n. 10; Cass., 23 maggio 2006, n. 20228; N. 43663/2007 Rv 238419). La sentenza impugnata
ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto, con valutazione obiettiva, ancorata
alle concrete e specifiche acquisizioni probatorie ha dato atto non solo che lo SCUDERI ha
chiesto ed ottenuto il pizzo quale rappresentante del gruppo di Picanello del clan

ma anche che la presenza di esponenti di ben due clan mafiosi al momento della richiesta
del denaro, con ulteriore precisazione che, in caso di mancato pagamento, sarebbero stati
proprio i “carusi di Picanello” a venire a cercare la vittima presso i cantieri, rendeva
evidente il fatto che erano state utilizzate le condizione di assoggettamento ed
intimidazione proprie del metodo mafioso. Analoghe considerazioni valgono per
INDELICATO come indicato a pag. 64 della sentenza impugnata
14. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. N. 20228 del 2006 Rv.
234651, N. 43663 del 2007 Rv. 238419, N. 27040 del 2008 Rv. 241008; N. 2907 del 2014 Rv.
258464; vedi anche Cass. SSUU N. 10 del 2001), la circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L.
13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203 può concorrere con quella
di cui all’art. 628, comma 3, n. 3 e 629, comma 2, cod. pen. (violenza o minaccia poste in
essere dall’appartenente a un’associazione di stampo mafioso) perchè, per l’applicazione di
quest’ultima aggravante, è sufficiente l’uso della violenza o minaccia e la provenienza di questa
da soggetto appartenente ad associazione mafiosa, senza necessità di accertare in concreto le
modalità di esercizio della suddetta violenza o minaccia, né, in particolare, che esse siano
attuate utilizzando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza dell’agente al sodalizio
mafioso, mentre, nel caso della prima aggravante, pur non essendo necessario che l’agente
appartenga al predetto sodalizio, occorre tuttavia accertare in concreto che l’attività criminosa
sia stata posta in essere con modalità di tipo “mafioso”. Le argomentazioni espresse
impongono la reiezione del motivo sub 6 del ricorso INDELICATO .
Deve inoltre rilevarsi che il dettato normativo (art. 628 co 3 n. 3 c.p.) non richiede, per
l’applicazione dell’aggravante, che vi sia un precedente giudicato di condanna o una formale
imputazione in ordine al delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso, ma soltanto che
sia accertata l’appartenenza dell’agente ad un’associazione siffatta. Nel caso di cui ci si occupa
l’intero impianto motivazionale della sentenza è permeato dal convincimento che gli illeciti per
cui si procede siano stati commessi dall’INDELICATO in quanto appartenente alla cosca
Assinnata, manifestando il suo legame con la stessa. (Cass. N. N. 26542 del 2009 Rv.
244096; N. 6533 del 2012 Rv. 252084)

13

Santapaola Ercolano, così evidentemente agevolando le attività illecite di tale sodalizio,

15. La Corte Costituzionale con la sentenza n. dell’8.7.2015 n. 185 ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 4 della
legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354,
in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di
reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), limitatamente alle parole «è obbligatorio e,»
sottolineando come «la funzione del quinto comma era quella di prefigurare, in rapporto a
ciascuna delle forme di recidiva facoltativa in precedenza disciplinate, altrettante ipotesi di
recidiva obbligatoria» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, n. 20798).

gravità della recidiva, con il passaggio da quella semplice (primo comma) a quella aggravata
(secondo comma), a quella pluriaggravata (terzo comma) e a quella reiterata (quarto comma),
che possono avere un significato assai diverso ai fini della valutazione della colpevolezza e
della pericolosità del reo, nel quinto comma tutte queste diverse ipotesi vengono
irragionevolmente parificate in una previsione di obbligatorietà, che comporta un aumento di
pena solo in ragione del titolo del reato che è stato commesso.
I giudici delle Leggi hanno pertanto ritenuto che l’art. 99, quinto comma, cod. pen., nel
prevedere che nei casi di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., la recidiva è
obbligatoria, contrasta con il principio di ragionevolezza e parifica nel trattamento obbligatorio
situazioni personali e ipotesi di recidiva tra loro diverse, in violazione dell’art. 3 Cost. La
previsione di un obbligatorio aumento di pena legato solamente al dato formale del titolo di
reato, senza alcun «accertamento della concreta significatività del nuovo episodio delittuoso
– in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai
parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – “sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e
della maggiore pericolosità del reo” (sentenza n. 192 del 2007)» (sentenza n. 183 del 2011),
viola anche l’art. 27, terzo comma, Cost., che implica «”un costante ‘principio di proporzione’
tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra” (sentenza n. 341 del
1994)» (sentenza n. 251 del 2012).
Ciò premesso, deve rilevarsi che, con riguardo alla posizione dello SCUDERI che lamenta
mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta recidiva specifica reiterata ed
infraquinquennale, la Corte d’Appello ha dato atto nella complessiva motivazione del
provvedimento impugnato dell’esistenza del pericolo di recidivanza richiamando non solo i
gravissimi precedenti penali ma anche il fatto che il processo ha dimostrato la sua inclinazione
a gravi delitti espressione di un controllo del territorio.
16.

Con riguardo ai residui motivi di doglianza deve rilevarsi che: 1) è manifestamente

infondata la doglianza avanzata dalla difesa SCUDERI con riguardo alla sussistenza
dell’aggravante delle più persone riunite considerato che la Corte d’Appello a pag. 53 ha
ricordato che tutti e tre i complici erano presenti al momento della richiesta estorsiva
formulata al Reitano all’ ‘interno della sala da barba”; 2) è manifestamente infondata la
14

In sintesi mentre nei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen. sono previste ipotesi di diversa

doglianza avanzata dalla difesa INDELICATO con riguardo agli aumenti operati ex art. 63 co 4
c.p. per concorso di più aggravanti ad effetto speciale, considerato che detto aumento è stato
argomentato con riferimento all’oggettiva gravità del fatto desumibile dalla condotta tenuta
che si è manifestata anche con percosse e minacce di morte. Analoghe considerazione valgono
per l’identica doglianza avanzata da CHISARI Salvatore considerato che i giudici di merito
hanno motivato l’aumento facoltativo in considerazione della gravità della condotta (pag. 50
sentenza impugnata); 3) con riguardo alla doglianza avanzata da FIORETTO in ordine alla

definitiva, né negata, né concessa dai giudici d’appello, deve rilevarsi che la continuazione con
precedente condanna per furto nel caso in argomento era stata genericamente richieste senza
alcuna indicazione degli elementi posti a sostegno essendosi limitato ad indicare il titolo di
reato, espressione di movente economico, e ad affermare che la concessione della
continuazione avrebbe mitigato la sanzione. Non è pertanto annullabile per difetto di
motivazione la sentenza in argomento per il fatto che ha omesso di prendere in esame un
motivo di impugnazione che, per essere privo del requisito della specificità, avrebbe dovuto
essere dichiarato inammissibile. Sussiste, infatti, un effettivo interesse dell’imputato a dolersi
della violazione solo quando l’assunto difensivo posto a fondamento del motivo sia in astratto
suscettibile di accoglimento.(Cass. N. 2415 del 1984 Rv. 163169, N. 154 del 1985 Rv. 167304,
N. 16259 del 1989 ; Cass Sez. 4 n. 1982/99; Cass Sez. 4 n. 24973/09); 4) manifestamente
infondata è anche la richiesta del FIORETTO di applicazione dell’art. 116 c.p., considerato che i
giudici di merito hanno dimostrato la sua responsabilità ex art. 110 c.p.e considerato che la
Corte d’appello ha dato atto che non risultava che il reato commesso era diverso da quello
voluto da taluno dei concorrenti
17. Generiche sono le sollevate doglianze in punto pena in particolare da INDELICATO,
FIORETTO e PAVONE, considerato che sono stati indicati in sentenza tutti gli elementi ritenuti
rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva applicazione di tutti i criteri di cui all’art.
133 c.p , anche con riguardo agli aumenti per la continuazione.
I ricorsi devono pertanto essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese
processuali, nonché in solido alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti
civili Provincia Regionale di Catania, Comune di Catania, Comune di Paternò, Associazione
Antiracket e Antiusura Etnea A.S.A.A.E. onlus, F.A.I. Federazione delle Associazioni Antiracket
ed Antiusura Italiana e liquida in complessivi euro 7000,00 per la Provincia Regionale di
Catania e per il Comune di Catania ed in euro 2200,00 per ciascuna delle altre parti civili, oltre
spese generali al 15%, CPA ed IVA .

P.Q.M.

15

mancanza di motivazione con riguardo alla richiesta continuazione esterna con sentenza

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché in solido
alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili Provincia Regionale di
Catania, Comune di Catania, Comune di Paternò, Associazione Antiracket e Antiusura Etnea
A.S.A.A.E. onlus, F.A.I. Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura Italiana e
liquida in complessivi euro 7000,00 per la Provincia Regionale di Catania e per il Comune di
Catania ed in euro 2200,00 per ciascuna delle altre parti civili, oltre spese generali al 15%,
CPA ed IVA

Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Così deliberato in Roma il 13.4.2016

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