Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30254 del 24/02/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30254 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Franzè Antonio, nato il 04/09/1990;

Avverso l’ordinanza n. 65/2014 emessa il 16/19/2014 dal Tribunale di
Catanzaro;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Gabriele
Mazzotta, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata;

Data Udienza: 24/02/2016

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 19/10/2014 il Tribunale di Catanzaro, quale
giudice dell’esecuzione, in accoglimento parziale dell’incidente di esecuzione
proposto da Antonio Franzè, ai sensi degli artt. 666 e 673 cod. proc. pen.,
rideterminava la pena irrogata al condannato con la sentenza irrevocabile
emessa dallo stesso organo giurisdizionale il 18/10/2011 – con la quale era stata
irrogata la pena di anni due e mesi otto di reclusione e 11.600,00 euro di multa

giorni venti di reclusione e 2.925,00 euro di multa.
Tale rideterminazione conseguiva alla convocazione rituale delle parti
processuali, che aveva luogo all’udienza del 18/09/2014, nella quale la difesa del
condannato insisteva per l’accoglimento della sua istanza – con la quale aveva
chiesto la rideterminazione della pena in mesi otto di reclusione e 200,00 euro di
multa con pena sospesa e non menzione nel certificato del casellario giudiziale sulla quale il pubblico ministero aveva espresso parere favorevole.
Ne discendeva che, nel caso di specie, il Tribunale di Catanzaro riteneva di
dovere rideterminare la pena originariamente irrogata al Franzè, tenendo conto
della sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2014, n. 32, ma non
riteneva di dovere accogliere l’istanza proposta in sede esecutiva, ritenendola
incongrua sotto il profilo dosimetrico, nonostante il parere favorevole del
pubblico ministero.

2. Avverso tale ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Catanzaro ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge, in
relazione all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Si deduceva, in particolare, che il giudice dell’esecuzione, pur non dovendo
necessariamente rideterminare la pena sulla base degli attuali parametri edittali,
doveva comunque applicare un criterio di adeguatezza della sanzione irrogata al
Franzè sulla base del disvalore della condotta delittuosa contestata, tenendo
conto del fatto che, pur non potendo entrare nel merito della vicenda
processuale sottostante, la pena andava ricalcolata tenendo conto della
normativa vigente a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del
2014.
Ne discendeva che, nel caso di specie, il Tribunale di Catanzaro aveva
rideterminato il trattamento sanzionatorio applicato al Franzè con un percorso
motivazionale fondato su una valutazione meramente proporzionale dei
parametri edittali ridefiniti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del
2014 – distonica rispetto all’effettivo disvalore del reato contestato ai Franzè 2

per la detenzione a fini di spaccio di 424 grammi di marijuana – in mesi dieci e

che non teneva conto del fatto che, nel giudizio presupposto, la pena era stata
calcolata sulla base di parametri edittali che non si sarebbero dovuti applicare
laddove fossero stati rispettati dal legislatore i principi costituzionali risultati
violati.
Per queste ragioni, l’ordinanza impugnata doveva essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

In via preliminare, deve rilevarsi che l’incidente di esecuzione proposto dal
Franzè pone il problema della disciplina applicabile nelle ipotesi in cui si procede
per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, dopo la sentenza della
Corte costituzionale n. 32 del 2014, con cui veniva dichiarata l’incostituzionalità
degli artt.

4-bis e 4-vicies del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272,

convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2006, n. 49.
Com’è noto, questa pronunzia della Corte costituzionale aveva eliminato con
efficacia ex tunc la disciplina che aveva introdotto un trattamento più severo per
lo spaccio delle cosiddette droghe leggere, ripristinando il più mite trattamento
sanzionatorio previgente.
Sulla portata sistematica e sulle conseguenze applicative di questa
pronunzia si determinava un contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte,
che trovava soluzione in un intervento delle Sezioni unite (cfr. Sez. U, n. 42858
del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260700).
La questione demandata alle Sezioni unite, originariamente, scaturiva
dall’interpretazione della sentenza della Corte costituzionale 5 novembre 2012,
n. 251, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 cod.
pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza dell’attenuante di cui al
comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990. Tuttavia, in tale ambito,
compulsate sulle conseguenze derivanti dal suddetto intervento della Corte
costituzionale in sede esecutiva, le Sezioni unite si pronunciavano anche sulle
conseguenze della sentenza n. 32 del 2014, nel frattempo sopravvenuta,
affermando i principi di diritto, qui di seguito, sinteticamente richiamati.
Le Sezioni unite, sulle conseguenze sistematiche prodotte dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 32 del 2014, affermavano che l’esecuzione della
pena deve ritenersi illegittima, sia sotto il profilo oggettivo, in quanto derivante
dall’applicazione di una norma dichiarata incostituzionale dopo il passaggio in
giudicato della sentenza, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto non può essere
positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta dall’art. 27,
comma 3, Cost. Infatti, l’illegittimità della pena costituisce un ostacolo al
3

1. Il ricorso è sfondato.

perseguimento di tali obiettivi, perché viene avvertita come ingiusta da chi la sta
subendo, per essere stata non già determinata dal giudice nell’esercizio dei suoi
legittimi poteri giurisdizionali, ma imposta da un legislatore che ha violato la
costituzione (cfr. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, cit.).
Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, le Sezioni unite affermavano
il seguente principio di diritto: «Successivamente a una sentenza irrevocabile di
condanna, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale
diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento

interamente espiata, da parte del giudice dell’esecuzione» (cfr. Sez. U, n. 42858
del 29/05/2014, Gatto, cit.).
1.1. A questo primo intervento chiarificatore ne seguiva un secondo, che
riguardava le ipotesi in cui si discuteva dell’esecutività di una sentenza
intervenuta su concorde richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
come nel caso in esame, riguardante il provvedimento emesso dal Tribunale di
Catanzaro il 19/10/2014.
In presenza di tali condizioni, occorreva tenere conto dei parametri
ermeneutici affermati nell’ulteriore arresto giurisprudenziale delle Sezioni unite,
le quali intervenivano sulla questione, proposta dalla Sezione penale terza con
ordinanza di rimessione adottata il 18/03/2014, nei seguenti termini: «Se la
pena applicata su richiesta delle parti per delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. n. 309
del 1990 in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia divenuta
irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 debba
essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione».
A tale questione ermeneutica le Sezioni unite fornivano una soluzione
positiva, precisando che, in questi casi, la pena deve essere rideterminata
attraverso una procedura concordata tra le parti processuali, la cui congruità
dovrà essere ulteriormente vagliata dal giudice dell’esecuzione nel rispetto dei
parametri dosimetrici di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., conformemente al
seguente principio di diritto: «In tema di sostanze stupefacenti, quando,
successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di applicazione di
pena ex art. 444 cod. proc. pen., interviene la dichiarazione d’illegittimità
costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente
sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, il giudicato permane quanto
ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità soggettiva e alla
sua qualificazione giuridica, ma il giudice della esecuzione deve rideterminare la
pena, attesa la sua illegalità sopravvenuta, in favore del condannato con le
modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. e
solo in caso di mancato accordo, ovvero di pena concordata ritenuta incongrua,

sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata

provvede autonomamente ai sensi degli artt. 132-133 cod. pen.» (cfr. Sez. U, n.
42858 del 12/01/2015, Marcon, Rv. 264858).

2. In questa cornice ermeneutica, deve rilevarsi che, nel caso in esame, il
Tribunale di Catanzaro coinvolgeva le parti nella decisione dell’incidente di
esecuzione, convocandole all’udienza del 18/09/2014, nel rispetto dei parametri
ermeneuti che si sono richiamati nel paragrafo precedente.
Deve, in proposito, rilevarsi che, nell’intervento chiarificatore in questione,

seguito della procedura di negoziazione viene espressamente prevista, sul
presupposto che il potere di rideterminazione diretta del giudice dell’esecuzione
non è autonomo, ma subordinato al previo esperimento di un tentativo di
patteggiamento, fallito il quale – in conseguenza dell’incongruità della pena
rispetto al fatto così come ritenuto in sede di cognizione – spetta al giudice
rideterminare la sanzione.
D’altra parte, come evidenziato dalle Sezioni unite, la previsione del potere
di rideterminazione autonoma come conseguenza del giudizio di incongruità della
pena rinegoziata dalle parti – a condizione che tale potere sia governato dai
parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. – non è distonica rispetto alla
struttura del patteggiamento, che ha nell’accordo tra le parti il suo nucleo
essenziale, rispetto al quale il giudice svolge un ruolo surrogatorio (cfr. Sez. U,
n. 42858 del 12/01/2015, Marcon, cit.).
Ne discende che, nelle ipotesi di incongruità dell’accordo intervenuto tra le
parti, a seguito dell’attivazione della procedura di cui all’art. 188 disp. att. cod.
proc. pen., il giudice dell’esecuzione può rideterminare la pena originaria, a
condizione che esegua la rideterminazione nel rispetto dei parametri di cui agli
artt. 132 e 133 cod. pen.
In questa cornice ermeneutica, nel cui ambito non si orientava
correttamente il Tribunale di Catanzaro, compiendo una rivalutazione
esclusivamente proporzionale della sanzione irrogata al Franzè, occorre ribadire
il seguente principio di diritto: «Per effetto delle sentenze della Corte
costituzionale nn. 251 del 2012 e 32 del 2014, il giudice dell’esecuzione, ove il
trattamento sanzionatorio non sia stato ancora interamente eseguito, deve
rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento
“correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli
avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i
limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da
quelle dichiarate incostituzionali» (cfr. Sez. 1, n. 53019 del 04/12/2014,
Schettino, Rv. 261581).
5

la possibilità di una verifica di congruità dell’accordo intervenuto tra le parti a

Invero, posto che l’operazione di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. è il frutto
di una scelta che il giudice della cognizione compie, attraverso una
discrezionalità guidata, in un ambito edittale predefinito, è evidente che il
mutamento radicale della cornice derivante dalla declaratoria di incostituzionalità
rendeva necessaria – anche attesa la tipologia di sostanza stupefacente per la
quale era stata irrogata la pena al Franzè – una rivalutazione piena di tale profilo
sanzionatorio (cfr. Sez. 1, n. 53019 del 04/12/2014, Schettino, cit.).
Nel caso di specie, il Tribunale di Catanzaro non ha fatto buon governo dei

originariamente irrogata al Franzè sulla base di un’operazione meramente
aritmetica. In questo modo, non veniva effettuata alcuna rivalutazione del
disvalore del fatto contestato al Franzè – alla luce dei nuovi parametri prefigurati
dalla Corte costituzionale – ma ci si limitava ricondurre la pena nei limiti edittali
dell’attuale disciplina, con un percorso argomentativo incongruo.
A ben vedere, l’inadeguatezza del vaglio della pena edittale quantificata
nell’originario giudizio emerge dalla motivazione dello stesso provvedimento, nel
quale, a pagina 4, senza alcun riferimento al mutamento complessivo della
cornice edittale determinata dall’intervento della Corte costituzionale, si
affermava che «occorre ricondurre a legalità il trattamento sanzionatorio
mediante un calcolo puramente aritmetico che individui la pena oggi
costituzionalmente corretta, sulla base dei limiti minimi e massimi edittali
previsti dalla fattispecie astratta nella sua formulazione precedente alla modifica
dichiarata incostituzionale […]».

3. Per queste ragioni processuali, l’ordinanza impugnata deve essere
annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Catanzaro.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio 2016.

principi di diritto richiamati, atteso che si limitava a rivalutare la pena

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