Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30253 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30253 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen. proposto da:
Burranca Antonio, nato a Cagliari il 12/09/1965,
avverso la sentenza della Corte Suprema di cassazione Sezione 6^ penale n.
1319 del 17/07/2013 depositata il 08/10/2013.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio
Romano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 1319 del 17/07/2013 depositata il 08/10/2013 la Corte
Suprema di cassazione Sezione 6^ penale dichiarò inammissibile il ricorso
proposto da Burranca Antonio avverso la sentenza n. 246 del 24/01/2013 dep. il
30/01/2013, con la quale la Corte d’appello di Firenze revocava la provvisionale
disposta in primo grado e confermava la condanna del predetto per il reato di cui
agli artt. 81 – 392 cod. pen. alla pena di C 200,00 di multa.

2. Avverso tale sentenza il condannato ricorre ai sensi dell’art. 625 bis cod.
proc. pen. deducendo che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in errore di
fatto circa il diritto in contestazione in sede civile nonché circa il contenuto
dell’accordo sulla gestione del cancello.

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Data Udienza: 02/07/2014

La Corte di legittimità avrebbe ritenuto che la causa civile riguardasse non
solo l’accertamento del diritto di proprietà della loggia, ma anche la
contestazione (o comunque l’interpretazione) dell’accordo intercorso tra attore e
convenuta sull’apertura in ore diurne del cancelletto antistante la suddetta
loggia, sul quale è stata asportata la serratura.
La causa civile è iniziata due dopo i fatti contestati e verteva anche sulla
gestione del cancelletto, in ordine alla quale però era intervenuto un accordo,
come risulta da una lettera dell’Avv. Manetti, legale della denunciante Lo Sapio,
a tenerlo aperto nelle ore diurne.

di fatto allorquando motiva (a p. 4 riga 7) “la idoneità della condotta criminosa
ad integrare l’elemento materiale e soggettivo del reato, avuto riguardo alla
funzione che in concreto aveva il cancello”.
Tale cancello doveva infatti rimanere aperto e lo smontaggio della serratura
è avvenuto in ore diurne.
Inoltre nella sentenza vi sarebbe un secondo errore di fatto in ordine
all’elemento soggettivo del reato, laddove (a p. 4 riga 3) si ipotizza l’esistenza di
un accordo, intercorso fra le parti, volto a mantenere chiuso il cancello.
Ancora vi sarebbe un errore (a p. 3 rigo 25) laddove si afferma che il
ricorrente intendesse consentire solo momentaneamente l’accesso ai tecnici

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gas, posto che ciò era incidentale rispetto al libero diritto di accesso del
ricorrente.
Pertanto nell’aprire il cancelletto non vi era l’intenzione di farsi giustizia da
se.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato ed è stato proposto al di fuori dei
casi consentiti.
Anzitutto è irrilevante, ai fini della motivazione della Corte di cassazione
l’asserito errore di fatto ravvisato a p. 3 rigo 25 della sentenza, posto che tale
passaggio si riferisce all’esposizione del motivo di ricorso e non alla
giustificazione della decisione.
Altrettanto irrilevanti sono gli altri ipotizzati errori di fatto, posto che la
decisione della Corte di cassazione si è risolta in un giudizio di inammissibilità
essendo state dedotte questioni di merito, come tali non valutabili in sede di
legittimità.
Siffatta valutazione di inammissibilità prescinde dalle concrete vicende
dedotte.

2

La sentenza oggetto di ricorso straordinario sarebbe perciò incorsa in errore

Inoltre, in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia
identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la
decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di
fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto
dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 37505 del
14/07/2011 dep. 17/10/2011 Rv. 250527).

2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara

condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di millecinquecento
euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro millecinquecento alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 02/07/2014.

inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere

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