Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30249 del 26/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30249 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
CATANZARO
nei confronti di:
DITTO ANTONIO N. IL 03/04/1950
avverso l’ordinanza n. 69/2014 CORTE ASSISE APPELLO di
CATANZARO, del 16/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 26/01/2016

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16 febbraio 2015 la Corte di assise di appello di
Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione
avanzata dal procuratore generale avverso l’ordinanza emessa dalla medesima
Corte, quale giudice dell’esecuzione, il 3 dicembre 2014 con la quale era stato
applicato a Antonio Ditta il beneficio dell’indulto nella misura di anni tre di
reclusione in relazione alla pena inflittagli con la sentenza della Corte di assise di
appello del 27 maggio 2010 (definitiva il 7 luglio 2011).

sentenza, con cui Ditto era stato condannato per il reato di omicidio volontario,
aveva escluso “le aggravanti di cui all’art. 576 n. 1) in relazione all’art. 61 n. 2
codice penale, all’art. 61 n. 5 cod. pen., … riconosciute le circostanze attenuanti
equivalenti alle residuati le aggravanti” ed aveva determinato la pena finale in
anni 21 di reclusione, senza apportare alcun aumento ex art. 7 legge 203/91.
Sul punto specifico, rigettava l’argomentazione del procuratore generale
circa la non operatività dell’art. 7 in ragione della sua esclusione per i delitti
puniti con la pena dell’ergastolo.

2.

Ricorre il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di

appello di Catanzaro per violazione di legge sul rilievo che la circostanza
aggravante, ostativa alla concessione dell’indulto, aveva formato oggetto di
espressa contestazione nell’imputazione, così come quelle della premeditazione
e dei motivi abietti. La concreta situazione, integrante l’aggravante contestata,
era stata ritenuta dal giudice del merito, che aveva inquadrato il delitto
all’interno dello scontro sul territorio di Paola tra i due clan contrapposti,
chiarendo che l’omicidio per cui Ditto era stato condannato era stato deciso ed
organizzato in quanto funzionale alle esigenze del clan di appartenenza. Il
delitto era escluso dall’area di applicazione dell’indulto, anche se poi in
concreto “per motivi che non possono rilevare perché afferenti al ricorrere in
concreto dell’aggravante, il giudice non abbia determinato la sua incidenza sul
trattamento sa nzionatorio”.

3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto l’annullamento
senza rinvio dell’ordinanza rilevando che la specifica circostanza aggravante
dell’art. 7 era stata contestata a Ditto, anche se poi non aveva operato in
concreto in quanto allo stesso era stata inflitta la pena dell’ergastolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

A ragione della decisione, la Corte di assise di appello rilevava che la

1. Il ricorso è infondato. Occorre innanzitutto rilevare che, diversamente da
quanto ritenuto dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, Ditto non
è stato condannato alla pena dell’ergastolo, ma a quella di 21 anni di reclusione.
Nessun ostacolo normativo impediva quindi l’applicazione della specifica
circostanza dell’art. 7, ove ritenuta sussistente.
È opportuno ricordare che l’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 conv. in I. n. 203 del
1991, dispone, al primo comma, che “per i delitti punibili con pena diversa
dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis

dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà”.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno condiviso l’orientamento secondo cui
il primo comma dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, nel prevedere che la pena sia
aumentata da un terzo alla metà per i delitti punibili con pena diversa
dall’ergastolo, è diretta a quantificare l’aumento di pena applicabile alla pena
detentiva temporanea, concretamente irrogata in presenza dell’aggravante
speciale, incremento che non è ovviamente ipotizzabile allorché la pena inflitta in
concreto sia invece quella dell’ergastolo. E però prosegue la decisione del
massimo Consesso “la circostanza aggravante prevista dall’art. 7 d.l. n. 152 del
1991, conv. in I. n. 203 del 1991, è applicabile ai delitti astrattamente ‘punibili’
con la pena edittale dell’ergastolo, quando venga inflitta, in concreto, una pena
detentiva diversa dall’ergastolo “.

2. Nel caso in esame, tuttavia, come correttamente rilevato dalla Corte di
assise di appello di Catanzaro, la decisione di primo grado con cui Ditto è stato
condannato ha espressamente escluso l’aggravante di cui all’art. 7.
Circostanza questa che non può essere contrastata con il richiamo al
contenuto motivazionale della decisione, per il rilievo che, essendo stata
applicata una pena temporanea, ben poteva il giudice di primo grado apportare
l’aumento di pena previsto dalla menzionata circostanza.
Del resto, che non si tratti di una svista emerge dalla considerazione che la
corte di primo grado espressamente ha ritenuto inoperante detta aggravante nei
confronti degli imputati condannati all’ergastolo (pagina 209) e ricondotto
l’azione del ricorrente “nell’ottica se pure distorta dei genitori che volevano
essere di supporto e utilità al proprio figlio Ditto Gennaro”, escludendo quindi
ogni fine agevolativo del sodalizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
2

del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste

NRQ

45 5’6 6 / 2. 06

Così deciso in Roma il 26 gennaio 2016

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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