Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30246 del 26/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30246 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TOLOMEO FINANCE SRL
avverso il decreto n. 34/2013 TRIBUNALE di CATANIA, del
27/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;
lette/terrtite le conclusioni del PG Dott. ? Z
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c,ro cyL;L. 4_..1.,Q–v)-;

Udit i dif sor Avv.;

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Data Udienza: 26/01/2016

RCIENUTOIN FATTO

1. Con decreto del 27/06/14, depositato il 04/07/14, il Tribunale di
Catania, sezione Misure di prevenzione, quale giudice dell’esecuzione,
rigettava il ricorso per incidente di esecuzione, proposto ex art. 1, comma
199 L. 228/12 dalla Tolomeo Finance s.r.I., teso all’ammissione al

vantato nei confronti di Buscema Vita Paola.
Il Collegio a quo svolge una dettagliata analisi delle norme di
riferimento della vicenda che ci occupa. In particolare dell’art.1, comma
199 L. 228/12, che specifica che la domanda di ammissione del credito va
formulata al giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la
confisca; dell’arti, comma 200 della stessa legge, che statuisce che “il
giudice, accertata la sussistenza e l’ammontare del credito nonché la
sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 52 del D. Lgs. 6 settembre
2011, n.159, lo ammette al pagamento, dandone immediata
comunicazione all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”;
dell’art.52 D. Lgs. 159/11, espressamente richiamato dalla norme sopra
citate, che prevede, per quanto qui di interesse, che “la confisca non
pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data
certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in
epoca anteriore al sequestro” ove ricorrano determinate condizioni ivi
analiticamente specificate.
Sempre il suddetto Collegio riporta il parere dell’Agenzia nazionale
per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalità organizzata, nel quale si rileva che nel decreto di confisca
il giudice si era espresso nel senso che Buscema Vita Paola, acquirente di
immobili e terreno tra il 1992 ed il 1995, non risultava avere alcun
reddito e pertanto era agevole ricavare il dato che la predetta aveva
acquistato detti beni con il denaro del padre, soggetto sorvegliato
speciale; e si aggiunge che tale circostanza mal si concilia con l’invocata
buona fede dell’istituto mutuante.
Conclude, quindi, nel ritenere condivisibili le argomentazioni
dell’Agenzia, aggiungendovi ulteriori osservazioni, non senza ben
individuare i termini della vicenda sottoposta alla sua attenzione. Nella
quale il Banco di Sicilia concedeva un mutuo fondiario per l’acquisto di un

1

pagamento del credito, ai sensi dell’art. 52 D. Lgs. n. 159 del 2011,

immobile ad Arena Alfio, il quale a sua volta vendeva detto immobile a
Garofalo Mario e Buscema Vita Paola, che nell’atto di acquisto si
accollavano la frazione del predetto mutuo. Successivamente la Tolomeo
Finance s.r.l. stipulava con il suddetto Istituto mutuante un contratto di
cessione dei crediti, tra i quali vi era quello vantato nei confronti dei
Garofalo-Buscema, garantito da ipoteca di primo grado iscritta
sull’immobile oggetto dell’atto di acquisto sopra indicato, di cui,

Catania del 4.5.01 era stato disposto il sequestro della metà indivisa di
proprietà della Buscema e con successivo decreto, ormai definitivo, della
Corte di appello di Catania del 5.5.08, ne era stata ordinata la confisca.
Sottolinea il Collegio a quo, come all’anomalia dell’impossidenza
della Buscema, all’epoca appena venticinquenne, che in alcun modo
avrebbe potuto accollarsi il pagamento delle rate del mutuo, si aggiunge
un’ulteriore anomalia, rappresentata dal fatto che l’acquisto da parte dei
coniugi Garofalo-Buscema avveniva esattamente il giorno successivo
all’erogazione del mutuo da parte del Banco di Sicilia in favore dell’Arena.
Circostanze, che, senza dubbio, per il Tribunale di Catania, avrebbero
dovuto insospettire la banca mutuante, la quale avrebbe dovuto svolgere
i dovuti controlli, prima di accettare l’accollo di mutuo in favore dei
suddetti acquirenti ( come ammesso nella stessa istanza e avallato
dall’ulteriore circostanza dell’avviso della cessione del credito tra essa
banca e la società finanziaria indirizzato ai soli Garofalo-Buscema ), in
ordine alla provenienza del denaro che consentiva l’operazione e alla
personalità del padre della acquirente, Buscema Gaetano, al quale era
verosimilmente riconducibile l’acquisto e che appena sei anni prima dello
stesso era stato sorpreso in possesso di assegni per un valore nominale
di 600 milioni di lire, circostanza della quale l’Istituto mutuante sarebbe
potuto venire a conoscenza usando la dovuta diligenza.
Considerata, quindi, la mancanza – o quantomeno l’assenza di prova
– della buona fede e dell’affidamento incolpevole da parte dell’istituto
mutuante originario creditore ipotecario, il Collegio a quo rigettava la
richiesta della creditrice ipotecaria Tolomeo Finance s.r.l. con socio unico.

2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione, tramite
i propri difensori, la Tolomeo Finance s.r.l. con socio unico, in persona del
suo legale rappresentante, lamentando “violazione di legge e difetto di

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antecedentemente alla suddetta cessione, con decreto del Tribunale di

motivazione laddove il Tribunale ha rigettato l’istanza proposta
nell’interesse” di detta società.
Il ricorso ripercorre le argomentazioni del provvedimento impugnato.
Lo censura laddove parla di accettazione dell’accollo del mutuo da parte
dell’Istituto mutuante, accettazione che sarebbe un atto formale cui
seguirebbero specifici effetti giuridici ( mai compiuto dal Banco di Sicilia,
che prese solo atto della vendita del cespite da parte del mutuatario

andava effettuata ad opera del Banco di Sicilia, per il quale, essendo
creditore ipotecario di primo grado sul cespite in oggetto, era irrilevante
sia l’alienazione del bene a terzi, che un eventuale accollo; come del tutto
irrilevante e superfluo era ogni controllo sulla persona e sui redditi di
Buscema Vita Paola. Laddove dà rilievo alla comunicazione ai GarofaloBuscema della cessione del credito tra le banche, avente invece come
unico scopo quello informativo nei confronti dei titolari del diritto di
proprietà del cespite a garanzia del credito ceduto, senza implicare
rinuncia al credito verso l’Arena ovvero omessa comunicazione della
vicenda al medesimo. Laddove, nella sua parte conclusiva, evidenzia
quello che l’istituto mutuante usando la dovuta diligenza avrebbe dovuto
accertare sulla provenienza del denaro e sulla caratura criminale di
Buscema Gaetano. Laddove, quindi, in generale pone in dubbio la buona
fede dell’istituto mutuante sulla base di considerazioni apodittiche e di
una motivazione illogica e contraddittoria.
Conclude, pertanto, per l’annullamento dell’ordinanza impugnata e
per l’emissione delle statuizioni consequenziali.

3.

Il Procuratore Generale presso questa Corte, con dettagliata

requisitoria scritta, chiede di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

4.

Con memoria di replica depositata il 19.1.16 i difensori

confrontano le considerazioni svolte dal Procuratore Generale, ritenute
non condivisibili, con le argomentazioni di cui al proprio ricorso.
Ribadiscono che nessuna adesione, neppure implicita come ritenuto dal
P.G. né tantomeno espressa come riferito nel provvedimento impugnato
(che sul punto esprimerebbe una motivazione apparente, con
conseguente violazione di legge), vi fu da parte del Banco di Sicilia
all’accollo e che, comunque, anche a ritenerla intervenuta, non essendo
stato liberato il debitore originario, saremmo in presenza di un accollo

3

senza, quindi, liberazione di Alfio Arena ). Laddove parla di istruttoria che

esterno cumulativo non liberatorio ( la liberazione vi sarebbe in presenza
di una manifestazione espressa del creditore o di adesione dello stesso ad
un accollo avente a condizione espressa detta liberazione ). L’accollo, non
estinguendosi l’obbligazione a carico dell’Arena, avrebbe aumentato le
garanzie di pagamento del credito, ragion per cui l’istituto di credito non
avrebbe avuto ragione di espletare un’istruttoria nei confronti dei
Garofalo-Buscema. Sottolineano i difensori che in casi simili la Cassazione

limitatosi a prendere atto dell’intervenuto accollo non avendo peraltro
alcun potere di opporvisi, e tale da non poterlo ritenere in malafede. I
difensori aggiungono, poi, che non si comprende dal provvedimento
impugnato ( che, quindi, sul punto esprimerebbe una motivazione
apparente, con conseguente violazione di legge ) come il Banco di Sicilia
potesse essere al corrente del possesso di assegni per un valore nominale
di 600 milioni di lire da parte di Buscema Gaetano pochi anni prima
dell’acquisto compiuto dalla figlia e desumere da ciò la provenienza del
denaro dallo stesso e quindi la strumentalità del credito rispetto alla sua
attività criminale. Sul punto la requisitoria del P.G., secondo la difesa,
non spenderebbe alcuna parola. I difensori insistono, pertanto, per
l’accoglimento del ricorso.

CONSICERATOIN MUTI°

1. Il ricorso è infondato.
2. Questa Corte ha più volte affermato ( si veda per tutte Sez. 1, n.
44515 del 27/04/2012 – dep. 15/11/2012, Intesa San Paolo S.p.a. e altri,
Rv. 253827, della quale si ripercorrono di seguito alcuni passaggi), in
materia di misure di prevenzione patrimoniale, che la misura di
prevenzione patrimoniale della confisca, che determina la successione a
titolo particolare dello Stato nella titolarità del bene, non comporta
l’estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sul bene confiscato a
favore dei terzi, che possono far valere in sede esecutiva i loro diritti reali
o di garanzia, qualora si tratti di terzi in buona fede che abbiano trascritto
il proprio titolo anteriormente al sequestro a fini di prevenzione, eseguito
ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 1-ter (tra le altre, Sez. 5, n. 47887
del 19/11/2003, dep. 16/12/2003, San Paolo IMI e altri, Rv. 227585;
Sez. 1, n. 13413 del 09/03/2005, dep. 12/04/2005, Servizi Immobiliari
Banche e altri, Rv. 231263; Sez. 1, n. 2501 del 14/01/2009, dep.

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ha ritenuto del tutto neutro il comportamento dell’istituto mutuante,

21/01/2009, San Paolo Imi S.p.a., Rv. 242817). A tal fine il terzo può
proporre incidente di esecuzione quando non abbia partecipato al
procedimento di applicazione della misura patrimoniale, e, in detta sede,
svolgere le deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai
fini della decisione sulla confisca (tra le altre, Sez. 1, n. 5840 del
20/10/1997, dep. 14/11/1997, Cifuni e altri, Rv. 208927; Sez. 6, n.
37025 del 18/09/2002, dep. 05/11/2002, Diana e altro, Rv. 222664).

il diritto potestativo ad essa inerente con la disciplina della misura di
prevenzione patrimoniale (prevista quale mezzo di repressione dell’illecita
accumulazione di capitali da parte di indiziati di appartenenza ad
associazioni mafiose) si ricava che – si veda Sez. 1, n. 12317
11/02/2005, dep. 31/03/2005, Fuoco e altro, Rv. 232245 – ai fini
dell’opponibilità del diritto di garanzia reale, non bastano l’astratta
verifica dell’esistenza di un credito e la costituzione dell’ipoteca, mediante
iscrizione nei pubblici registri immobiliari, prima della trascrizione del
sequestro ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 2-ter, ma è, altresì,
richiesta l’inderogabile condizione che il creditore ipotecario si sia trovato
in una situazione soggettiva di buona fede, intesa come affidamento
incolpevole da desumersi sulla base di elementi di cui spetta agli
interessati fornire la dimostrazione, dovendo individuarsi in detto
requisito la base giustificativa della tutela del terzo di fronte al
provvedimento autoritativo di confisca adottato dal giudice della
prevenzione a norma della legislazione antimafia (in merito anche Corte
Cost. n. 487 del 1995 e Cass. civ., Sez. 1, 12 novembre 1999, n. 12535,
cit.). Compete, quindi, ai terzi, che vantino diritti reali, l’onere di provare
i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo
evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli
elementi che concorrono a integrare le condizioni di “appartenenza” e di
“estraneità al reato”, dalle quali dipende l’operatività della situazione
impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato e, di
riflesso, la sopravvivenza del loro diritto.
3. Detti principi hanno trovato convincente conferma nella
interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata della
legislazione antimafia condotta dalla Corte costituzionale, la quale, nel
dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 31
maggio 1965, n. 575, art. 3- quinquies, comma 2, nella parte in cui
consente che il provvedimento di confisca dei beni possa riflettersi su

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Dal coordinamento delle norme del codice civile che regolano l’ipoteca ed

soggetti per i quali non ricorrano i presupposti per l’immediata
applicazione di una misura di prevenzione personale, ha precisato che la
situazione di “sostanziale incolpevolezza” segna il limite della confisca,
aggiungendo che una simile condizione soggettiva, su cui è fondata la
tutela del terzo in buona fede, non ricorre nei confronti di chi, pur non
essendo assoggettabile a provvedimenti di prevenzione, pone in essere
attività agevolative che determinano obiettiva commistione di interessi

ha puntualizzato che la salvaguardia del preminente interesse pubblico
non può giustificare il sacrificio inflitto al terzo, titolare di un diritto reale
di godimento o di garanzia, soltanto ed esclusivamente quando esso sia
in buona fede, dovendo considerarsi la sua posizione tutelabile quando
possa utilmente richiamarsi il “principio della tutela dell’affidamento
incolpevole, che permea di sè ogni ambito dell’ordinamento giuridico”
(Corte Cost. n. 1 del 1997).
4. Gli stessi principi oggi sono stati recepiti dalle norme citate nel
provvedimento impugnato, in base alle quali è stata proposta la domanda
di ammissione del credito da parte della Tolomeo Finance s.r.l. con socio
unico. In particolare dall’art.1, comma 199 L. 228/12, che specifica che la
domanda di ammissione del credito va formulata al giudice
dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca; dall’art.1,
comma 200 stessa legge, che statuisce che “il giudice, accertata la
sussistenza e l’ammontare del credito nonché la sussistenza delle
condizioni di cui all’articolo 52 del D. Lgs. 6 settembre 2011, n.159, lo
ammette al pagamento, dandone immediata comunicazione all’Agenzia
nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e
confiscati alla criminalità organizzata”; dall’art.52 D. Lgs. 159/11,
espressamente richiamato dalla norme sopra citate, che prevede, per
quanto qui di interesse, che “la confisca non pregiudica i diritti di credito
dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro,
nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro”
in presenza di determinate condizioni ed in particolare, sempre per
quanto rilevante ai nostri fini, che il “credito non sia strumentale
all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a
meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di
strumentalità”. Lo stesso articolo, poi, specifica che “nella valutazione
della buona fede, il Tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei
rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta

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tra attività di impresa e attività mafiosa (Corte Cost. n. 487 del 1995), e

dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di
particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso
di enti, alle dimensioni degli stessi”.
5. A questi principi si è attenuto, infine, il Tribunale di Catania,
Sezione Misure di Prevenzione, che, richiamate ed analizzate le norme
sopra indicate ed esaminata analiticamente la vicenda in oggetto, ha
rilevato che la società istante, cessionaria dei crediti del Banco dì Sicilia,

al decreto di sequestro dei beni gravati da garanzia ipotecaria a suo
favore, non ha provato la buona fede del suddetto istituto mutuante.
Evidenzia, invero, il provvedimento impugnato come il Banco di Sicilia
non abbia svolto alcun accertamento, nel momento della comunicazione
del subingresso ad Alfio Arena dei coniugi Garofalo-Buscema
(quest’ultima figlia di Buscema Gaetano, nei cui confronti è stato emesso
il decreto di confisca di prevenzione) nel contratto di mutuo, ne’
successivamente, volto a verificare la solvibilità e affidabilità dei
medesimi oltre alla personalità loro e dei loro congiunti. E come tale
astensione da ogni attività istruttoria anche sommaria si sia tradotta
nell’omesso rilievo da parte dell’Istituto – imputabile a colpevole
mancanza della ordinaria diligenza, coerente con la buona gestione del
credito e con il principio che regola le transazioni e che impone di non
considerare satisfattivo della garanzia del credito concesso il solo valore
del bene offerto in garanzia – della circostanza che l’acquirente, oltre che
accollante del mutuo erogato e debitrice in uno col Garofalo dei relativi
ratei, Buscema Vita Paola, all’epoca dell’acquisto avesse appena
venticinque anni e fosse priva di redditi, quindi impossibilitata ad
accollarsi le rate del mutuo, e quindi del fatto che l’acquisto nei limiti
della quota della suddetta – sia per le circostanze in ultimo evidenziate
che per la peculiarità dell’operazione, attesane la tempistica, essendo
intervenuta la vendita esattamente il giorno dopo dell’erogazione del
mutuo in favore dell’Arena – fosse riconducibile al padre della medesima,
Buscema Gaetano, condannato per concorso esterno in associazione
mafiosa e trovato sei anni prima di detto acquisto in possesso di assegni
per un valore nominale di 600 milioni di lire, circostanza di cui l’istituto
mutuante con la dovuta diligenza sarebbe potuto venire a conoscenza.
6. Tanto detto, gli indici da cui il Tribunale di Catania desume
l’inesistenza della condizione soggettiva di buona fede risultano congrui e
ragionevoli, come evidenziato dal Procuratore Generale, e sono oggetto di

pur avendo dimostrato l’anteriorità del titolo del suo dante causa rispetto

adeguata e logica motivazione, conforme ai principi di diritto sopra
evidenziati. Non ricorre nelle svolte argomentazioni – all’evidenza – il vizio
di violazione di legge né sotto il profilo della inosservanza, né sotto quello
della erronea applicazione, avendo il Tribunale esattamente interpretato
le norme applicate alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte.
Né si espone a censure la congruenza logica della motivazione adottata,
coerente con i dati fattuali e ragionevolmente adeguata e plausibile nella

dell’Istituto e della non scusabilità della sua ignoranza e del suo difetto di
diligenza in rapporto alla medesima. Le censure della società ricorrente,
contenute nel ricorso e ripercorse anche nella memoria di replica, vertenti
a) su un eventuale riferimento improprio ad un’accettazione e/o adesione
all’accollo del mutuo da parte dell’istituto mutuante, che si sarebbe
invece limitato a prendere atto dell’accollo, al quale non avrebbe potuto
peraltro opporsi, b) sull’inutilità di un’istruttoria ad opera del Banco di
Sicilia a fronte di un ampliamento delle garanzie del credito, c) sul
significato della comunicazione ai Garofalo-Buscema della cessione del
credito ipotecario meramente informativo e non espressivo
dell’accettazione dell’accollo, d) sulla non conoscibilità da parte
dell’istituto mutuante, anche usando la dovuta diligenza, della
provenienza del denaro e della strumentalità del credito rispetto
all’attività criminale di Buscema Gaetano, sono tutte infondate ed
estranee al tema d’indagine proponibile in sede di legittimità,
prospettando una rilettura ed una differente analisi degli elementi di
conoscenza apportati dalle risultanze probatorie, che spetta solo ed
esclusivamente al giudice del merito.
In assenza di contraddizioni e/o lacune motivazionali da inficiare il
percorso argomentativo, alla Corte di cassazione deve ritenersi preclusa
la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, considerati maggiormente plausibili o
dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendo il giudice di legittimità
soltanto controllare se il provvedimento impugnato sia intrinsecamente
razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito. Non
possono avere rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura
alternativa delle risultanze probatorie, e la verifica della correttezza e
completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova
valutazione delle risultanze acquisite, ritenuta dal ricorrente più adeguata

rappresentazione delle ragioni ritenute dimostrative dell’atteggiamento

(cfr. Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, Alberti, Rv. 215331; Sez. 1, n.
1496 dell’11/03/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. Un., n. 19 del
25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391 ). La Corte, infatti, “non deve
accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei
fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento” ( si veda per tutte Sez. 4, n.

7. Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una
somma che si ritiene equo determinare in euro 500,00 (cinquecento) a
favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste
dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di €. 500,00 alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 26 gennaio 2016.

4842 del 02/12/2003, Elia).

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