Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30235 del 01/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30235 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Licata Caruso Calogero, nato a Ravanusa il 22/7/1972
Tagliabue Felice, nato a Verano Brianza il 10/1/1945
avverso la sentenza 12/12/2013 della Corte d’appello di Milano, IV sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Vito D’Ambrosio, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito l’avv. Ignazio Valenza, per Tagliabue Felice che ha concluso per
raccoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 12/12/2013, la Corte di appello di Milano, in

parziale riforma della sentenza del Gup presso il Tribunale di Monza, in data
15/3/2013, riduceva la pena inflitta a Licata Caruso Calogero, per vari
episodi di corruzione di pubblico ufficiale in concorso, rideterminandola in

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Data Udienza: 01/07/2014

anni tre, mesi quattro di reclusione ed C. 3.000,00 di multa per i reati di
corruzione e riciclaggio.

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

in punto di sussistenza dell’elemento oggettivo/soggettivo, e confermava le
statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità
dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta

Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati per

mezzo dei rispettivi difensore di fiducia.
4.

Licata Caruso Calogero solleva due motivi di gravame con i quali

deduce:
4.1

Violazione di legge in relazione agli artt. 110, 319 e 321 cod. pen. in

relazione al presunto concorso morale del Licata nel delitto di corruzione
propria antecedente e vizio della motivazione sul punto.
Al riguardo si duole di motivazione apparente in ordine alla riconducibilità
dell’azione corruttiva alla sfera soggettiva del Licata sotto il profilo del
concorso morale, essendo egli un semplice prestanome ed eccepisce la
insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
4.2

Violazione di legge in relazione alla presunta continuazione interna

nel delitto di corruzione propria antecedente, nonché vizio della
motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che nella fattispecie si è in
presenza di un unico accordo corruttivo, articolato in piu dazioni a due
pubblici ufficiali.
5.

Tagliabue Felice solleva tre motivi di gravame con i quali deduce:

5.1

Violazione di legge in relazione agli artt. 318-321 e manifesta

illogicità e/o contraddittorietà della motivazione. Al riguardo eccepisce che
nel capo di imputazione egli viene indicato quale socio di fatto del Vivacqua
ma non gli viene attribuita alcuna condotta etiologicamente rilevante
rispetto al

pactum sceleris

intervenuto fra Vivacqua Paolo e la

“cooperativa”. Si duole di motivazione apodittica ed apparente, avendo i
giudici del merito ritenuto che egli sarebbe stato comunque a conoscenza
dei pagamenti in favore dei pubblici dipendenti.
5.2

Violazione di legge in relazione al reato di cui all’art. 648 bis cod.

pen. Al riguardo contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo

2

3.

per mancanza in testa all’agente dell’origine delittuosa delle somme in
contanti che il Tagliabue aveva ricevuto dal Vivacqua appoggiandole sul suo
conto corrente. Si duole inoltre, che la Corte d’appello avrebbe omesso di
accertare il reato presupposto da cui sarebbero provenute le somme
riciclate ed eccepisce che il reato presupposto non sarebbe stato indicato
nelle sue componenti storico fattuale neanche nell’imputazione, con la
conseguenza di imprimere un vulnus al diritto di difesa dell’imputato.
Violazione del principio della colpevolezza “al di là di ogni

ragionevole dubbio” e vizio della motivazione sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Entrambi i ricorsi sono inammissibili in quanto basatd su motivi non

consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

2.

Licata Caruso Calogero. Quanto al primo motivo, le censure del

ricorrente sono manifestamente infondate. La Corte ambrosiana,
respingendo l’analogo motivo d’appello, ha specificamente motivato in
ordine alla consapevole partecipazione del Licata all’azione corruttiva posta
in essere nei confronti dei pubblici ufficiali, volta ad ottenere il cambio di
destinazione d’uso di alcuni terreni di proprietà delle società Edil V.L.B. Srl e
Loviro Sri, nelle quali il Licata svolgeva la funzione di amministratore, sia
pure agendo quale mero prestanome di Vivacqua Paolo, vero dominus
dell’azione corruttiva. In proposito la Corte non si è limitata a considerare
che la peculiarità del ruolo di prestanome rende chi lo riveste
inevitabilmente conscio delle attività illecite effettuate nell’interesse delle
due società, ma ha indicato degli elementi precisi dai quali si desume la
prova che il Licata fosse stato messo al corrente dell’attività corruttiva. In
proposito la Corte ha richiamato le dichiarazioni rese dal Tagliabue in data
18/11/2011 che riferisce di una riunione in cui Paolo Vivacqua aveva
promesso di dare soldi alla “cooperativa” (vale a dire agli amministratori
pubblici da corrompere), alla quale aveva partecipato anche Licata Caruso
Calogero, che pertanto non poteva ignorare l’accordo corruttivo in corso di
definizione, al quale egli aveva partecipato, prelevando i fondi sui conti
correnti delle società Edil Vlb e Loviro; prelievi effettuati in corrispondenza
di cospicui flussi di denaro verso la “cooperativa”. L’obiezione della difesa

3

5.3

che il Licata agisse da mero esecutore materiale degli ordini del corruttore è
assolutamente inidonea a scalfire le conclusioni assunte dai giudici del
merito in ordine alla penale responsabilità del prevenuto per il reato di
concorso in corruzione, in quanto, essendo egli dotato di capacità di
intendere e volere, nulla lo obbligava ad obbedire agli ordini del conduttore.

3.

Per quanto riguarda il secondo motivo, le obiezioni della difesa sono

inammissibili, risolvendosi in censure in fatto in quanto tendono a provocare

conclusioni assunte dai giudici del merito in ordine all’esistenza di uno o più
episodi di corruzione propria.
4.

Tagliabue Felice. Le censure articolate dal ricorrente con il primo

motivo di ricorso sono manifestamente infondate. La Corte ambrosiana ha
dato contezza con motivazione specifica e priva di vizi logico-giuridici del
concorso materiale del Tagliabue nell’azione corruttiva e della sua
consapevolezza del fine illecito dei pagamenti effettuati ai pubblici ufficiali,
sia attraverso l’esame della documentazione contabile tenuta dallo stesso
Tagliabue, relativa ai flussi di denaro versati alla “cooperativa”, sia
attraverso le stesse dichiarazioni rese dal Tagliabue al P.M. in data
14/9/2012 che, messe in relazione al prospetto da lui stesso redatto
“Terreno per Hotel commerciale via Marengo, Carate Brianza” (€.64.000,
Nero provvigionale da versare all’ottenimento del cambio d’uso in ricettivo,
Hotel/Commerciale), dimostrano inequivocabilmente il consapevole e fattivo
coinvolgimento del Tagliabue nelle condotte corruttive.
5.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso in punto di elemento

soggettivo per il reato di riciclaggio, le censure del ricorrente sono
manifestamente infondate. Il Tagliabue ha effettuato in più occasioni
versamenti sul proprio conto corrente di somme in contanti fornitegli dal
Vivacqua per effettuare dei preliminari di acquisto (acconti e caparre) in
luogo di Vivacqua ed a sua richiesta con assegni tratti su quel conto
corrente. Non v’è dubbio che tali operazioni rientrino nella fattispecie
oggettiva del reato di riciclaggio di cui all’art. 648 bis cod. pen. Secondo
l’insegnamento della S.C. infatti, integra il delitto di riciclaggio il
compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma
anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei
beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista

4

un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle

nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere.
(Cass. 6. Sez. 2, Sentenza n. 3397 del 16/11/2012 Cc. (dep. 23/01/2013 )
Rv. 254314). Quanto alla sussistenza del reato presupposto, la Corte
territoriale ha confermato l’ipotesi del capo di imputazione che attribuiva la
provenienza illecita del denaro alla commissione di reati fiscali commessi
nell’ambito del commercio di materiali ferrosi da Vivacqua Paolo (deceduto),
da Licata Caruso e dai figli di Vivacqua. Pertanto è infondata le censura del
ricorrente che si duole della mancata indicazione del reato presupposto.

dell’agente della provenienza delittuosa delle somma in questione, la Corte
legittimamente l’ha dedotta attraverso la prova logica riferita alla natura
delle operazioni eseguite che non potevano avere nessun’altra spiegazione
plausibile, se non schermare l’origine illecita dei fondi utilizzati per le
operazioni immobiliari effettuate nell’interesse del Vivacqua. Del resto
l’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio – secondo l’insegnamento di
questa Corte – è integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di
compiere le attività volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza
delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, e non
richiede alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro (Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 546 del 07/01/2011 Ud.(dep.11/01/2011 ) Rv. 249445). Non
può dubitarsi, pertanto, che nella fattispecie in testa all’agente sussista
l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 648 bis cod. pen.

6.

Per i motivi di cui sopra, è palesemente inammissibile il terzo motivo

di ricorso del Tagliabue in quanto la sentenza impugnata ha correttamente
argomentato in ordine alla sussistenza della responsabilità dell’imputato per
i reati a lui ascritti, “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
7.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00)
ciascuno.

P.Q.M.
5

Quanto all’elemento soggettivo, vale a dire la consapevolezza da parte

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.

Così deciso, il 1/7/2014

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