Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30229 del 05/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30229 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARTINI MAURO N. IL 03/07/1961
avverso la sentenza n. 4130/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
07/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Og eizet CLICQ
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Data Udienza: 05/06/2014

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha
confermato, quanto all’affermazione di responsabilità, la sentenza emessa in
data 15 febbraio 2013 dal Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato
l’imputato MAURO MARTINI colpevole di truffa aggravata e sostituzione di
persona (fatti commessi in Milano tra il 19 gennaio ed il 15 febbraio 2012),
condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, che la Corte di appello ha

ridotto.
Contro tale provvedimento, l’imputato (personalmente) ha proposto
ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi, enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – erronea applicazione dell’art. 494 c.p., per insussistenza dell’elemento
materiale del reato;
H – erronea applicazione degli artt. 640, comma 2, n. 2-bis, c.p. e 61 n. 5
c.p., per insussistenza della c.d. minorata difesa delle pp.00.;
III – erronea applicazione dell’art. 62-bis c.p., per la mancata
considerazione ai fini della concessione delle attenuanti generiche della
confessione e del corretto comportamento processuale;
IV – mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione
con riguardo ai profili che precedono.
All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa
Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo
in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, e va, pertanto, rigettato.

1. Deve premettersi che non è denunciabile il vizio di motivazione con
riferimento a questioni di diritto.
Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte
Suprema (Sez. H, sentenze n. 3706 del 21. – 27 gennaio 2009, CED Cass. n.

242634, e n. 19696 del 20 – 25 maggio 2010, CED Cass. n. 247123), anche
sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. IV, sentenza n. 6243 del 7
marzo – 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442), il vizio di

motivazione

denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di
fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera
immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano
comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di
doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente

E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo
dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneità
degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque
corretta di una siffatta questione (Sez. IV, sentenza n. 4173 del 22 febbraio 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).

Va, in proposito, ribadito il seguente principio di diritto:
«nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con
riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la
soluzione di esse sia giuridicamente corretta. D’altro canto, l’interesse
all’impugnazione potrebbe nascere soltanto dall’errata soluzione delle
suddette questioni, non dall’indicazione di ragioni errate a sostegno di una
soluzione comunque giuridicamente corretta).
Ne consegue che, nel giudizio di legittimità, il vizio di motivazione non è
denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di
merito.

1.1. Nel caso in esame, le questioni di diritto evocate nei primi due motivi
di ricorso – come si vedrà – sono state decise correttamente dal primo giudice
e dal giudice di appello, e le relative doglianze della difesa sono
manifestamente infondate.

2.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, condivisibilmente,

orientata nel senso dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso
presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i
cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa (Sez. VI, sentenza
n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037: nella fattispecie il
ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della
motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e del

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corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.

esigenze cautelari posti a fondamento di un’ordinanza applicativa di misura
cautelare personale; Sez. VI, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 – 12
gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass. n. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i provvedimenti
sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato
ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame».

c.p.p. (a norma del quale è onere del ricorrente «enunciare i motivi del
ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto che sorreggono ogni richiesta»)

evidenzia che non può ritenersi

consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso,
essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di
vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla
manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati
specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata.
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a
parere della quale «È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel
quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui
motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del
ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla
mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di
uno tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della
motivazione oggetto di gravame>> (Sez. II, sentenza n. 31811 dell’8 maggio
2012, CED Cass. n. 254329).
2.1. Per tali ragioni, le reiterate censure alternative ed indifferenziate di

totale mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della
motivazione (oltre ad essere esse stesse contraddittorie, poiché se la
motivazione su un punto della sentenza è totalmente mancante non può al
tempo stesso essere contraddittoria o manifestamente illogica, e viceversa)
risultano prive della necessaria specificità, il che rende in parte qua il ricorso
inammissibile.
3. La Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e

pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si confronta
con la necessaria specificità, in concreto riproponendo più o meno
pedissequamente doglianze analoghe a quelle già proposte come motivo di

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La disposizione, se letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c),

appello, e già non accolte, ha compiutamente indicato (f. 1 e 4) le ragioni
poste a fondamento della contestata affermazione di responsabilità.
A tali rilievi il ricorrente non ha opposto alcunché di decisivo, se non
generiche ed improponibili doglianze fondate su una personale e congetturale
rivisitazione dei fatti di causa, e senza documentare eventuali travisamenti
nei modi di rito.

4. Ciò premesso, il primo motivo, riguardante la qualificazione giuridica

Questa Corte Suprema (Sez. II, sentenza n. 674 del 25 settembre 1986,
dep. 22 gennaio 1987, CED Cass. n. 174910; Sez. V, sentenza n. 3645 del 21
gennaio 1999, CED Cass. n. 212950) ha già chiarito che la professione va
considerata qualità personale cui la legge attribuisce effetti giuridici in quanto
individua un soggetto nella collettività sociale.

Va, in proposito, affermato il seguente principio di diritto:
«La falsa attribuzione della qualità di esercente una professione integra
il reato di sostituzione di persona atteso che la legge ricollega a detta qualità
gli effetti giuridici tipici della corrispondente professione intellettuale. Non è
necessario che il fatto tenda all’illegale esercizio della professione; ne’ importa
che miri alla meta soddisfazione di una vanità personale, essendo sufficiente
che venga coscientemente voluto e sia idoneo a trarre in inganno la fede
pubblica».
A questo principio si è correttamente conformata la Corte di appello,
valorizzando, ai fini dell’integrazione del reato

de quo,

la condotta

dell’imputato, che si era falsamente attribuito lo status e/o la qualità di
medico (qualificandosi come collega del medico curante delle pp.00.).
5. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Deve premettersi al riguardo che la condotta ha avuto luogo nella vigenza
del nuovo testo dell’art. 61 n. 5 c.p., che – superando precedenti dispute
giurisprudenziali – ha attribuito rilevanza, quale circostanza aggravante,
anche alla mera età avanzata della p.o.
E questa Corte Suprema (Sez. II, sentenza n. 35997 del 23 settembre
2010, CED Cass. n. 248163) ha già chiarito che ai fini della configurabilità
della circostanza aggravante della minorata difesa, l’età avanzata della
vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative introdotte dalla

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del reato di cui all’art. 494 c.p., è infondato.

legge n. 94 del 2009, è rilevante nel senso che impone al giudice di verificare,
allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta
criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità
di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo
criteri di normalità.
A questo orientamento si è correttamente conformata la Corte di appello
valorizzando, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante de qua
l’età avanzata e lo stato di soggezione delle pp.00. nei confronti del presunto

6. Anche il terzo motivo è infondato.
Questa Corte Suprema ha in più occasioni chiarito che, ai fini della
concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice
può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p.,
quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento
del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del
colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può
essere sufficiente in tal senso (così, da ultimo, Sez. II, sentenza n. 3609 del
18 gennaio – 10 febbraio 2011, CED Cass. n. 249163).
A questo orientamento si è correttamente conformata la Corte di appello
(f. 3 s.), valorizzando, ai fini del diniego, la commissione sistematica dei reati
de quibus da parte dell’imputato in un ristretto arco temporale, «in costanza
di detenzione domiciliare accordatagli dopo un periodo di restrizione in
carcere per fatti analoghi>>, i plurimi precedenti penali specifici, la gravità
oggettiva dei fatti in contestazione e l’assenza di concreti elementi positivi (tal
non essendo stata motivatamente considerata la confessione di responsabilità
penali già ampiamente dimostrate, ed il comportamento processuale non
particolarmente meritevole).

7. Il rigetto, nel suo complesso, del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 5 giugno 2014

Il Consiglier estensore

Il Presidente

medico.

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