Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30221 del 25/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30221 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Aloisi Giuseppe (n. il 10/01/1973), avverso la
sentenza della Corte di Appello di Messina — Sezione Penale – in data
18/05/2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Gianluigi
Pratola, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

OSSERVA:

Data Udienza: 25/03/2014

Con sentenza del 31/01/2008, il Tribunale di Messina dichiarò Aloisi
Giuseppe responsabile dei reati di ricettazione e truffa e – concessa
l’attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648 del c.p. e unificati i reati ex
art. 81 c.p. – lo condannò alla pena di mesi 6 e giorni 20 di reclusione ed €
250,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte
d’appello di Messina, con sentenza del 18/05/2012, confermò la decisione di

primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo la violazione di legge e la
carenza della motivazione. In particolare rileva che la condanna per il reato di
ricettazione si fonda solo sulle dichiarazioni del teste Bonfiglio che afferma di
aver ricevuto dall’imputato l’assegno — poi rivelatosi di illecita provenienza —
in pagamento della polizza assicurativa della madre dello stesso imputato.
Per quanto riguarda la truffa la condanna si fonda solo sul fatto che
l’imputato abbia taciuto che l’assegno fosse di illecita provenienza.
Il ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento dell’impugnata
sentenza.

motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia,
come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con “i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4^ sent. n. 47891 del 28.09.2004
dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep.
31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep.
25.2.1994, rv 196955).

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Inoltre, il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591
lettera c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le
doglianze (sono le stesse affrontate dalla Corte di appello) sono prive del
necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui
valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione,
si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti il Giudice di merito

richiamato quanto era stato accertato in primo grado – evidenziato tutte le
ragioni per le quali ritiene la responsabilità del ricorrente per i reati di cui
sopra. Per la ricettazione evidenzia: c’è la dichiarazione del teste Bonfiglio
Carmelo che afferma che è stato l’imputato a consegnargli l’assegno; inoltre
è, chiaramente, interesse del solo imputato pagare l’assicurazione. Per la
truffa: l’imputato paga con l’assegno di illecita provenienza l’assicurazione,
tacendo tale circostanza. In particolare il Giudice di merito rileva
correttamente che gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di
truffa contrattuale possono consistere anche nel silenzio maliziosamente
serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle
conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano
conoscibili dalla controparte con ordinaria diligenza (Sez. 2, Sentenza n.
41717 del 14/10/2009 Ud. – dep. 30/10/2009 – Rv. 244952). Per quanto
riguarda la buona fede dell’imputato per il reato di ricettazione la Corte di
appello rileva che l’imputato ha ricevuto un assegno già firmato e non vi ha
apposto la firma di girata e non ha fornito alcuna giustificazione sul perché
avesse ricevuto tale titolo. In proposito questa Corte Suprema ha più volte
affermato il principio che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la
prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base
dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa
ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2, Sentenza n.
29198 del 25/05/2010 Ud. – dep. 26/07/2010 – Rv. 248265; Sez. 2, Sentenza
n. 13502 del 13/03/2008 Cc. – dep. 31/03/2008 – Rv. 239761). E ciò vale
ancor di più in caso che la ricettazione riguardi un assegno bancario. Questa
Corte ha, invero, più volte affermato il principio che in tema di delitto di
ricettazione, deve affermarsi la consapevolezza della illecita provenienza in

ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione — dopo aver

capo al soggetto che riceva o acquisti moduli di assegni bancari al di fuori
delle regole che ne disciplinano la circolazione, dal momento che il modulo di
assegno bancario è documento che, per sua natura e destinazione, è in
possesso esclusivo della persona titolare del conto ovvero della persona da
questi delegata (Sez. 2, Sentenza n. 22555 del 09/06/2006 Ud. – dep.
27/06/2006 – Rv. 234654). La Corte di appello – con motivazione esauriente
logica e non contraddittoria — ha, quindi, spiegato il perché non sia ricavabile

la buona fede del ricorrente. Da quanto sopra la Corte territoriale,
correttamente, ricava, pertanto, la sussistenza dell’elemento psicologico del
reato di ricettazione. Si osserva, in proposito, che le valutazioni di merito
sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione
delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro
da vizi logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre
1999, Spina, 214794).
Appare, quindi, evidente che tutte le critiche del ricorrente finiscono per
porsi come valutazioni di merito e, come tali, non esaminabili in questa sede.
Questa Corte ha, infatti, più volte affermato, anche a Sezioni Unite, che
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla corte di
Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il Giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula,
infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in
via esclusiva, riservata al Giudice di merito, senza che possa integrare il vizio
di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali”. (Sez. U, Sentenza n.
2110 del 23/11/1995 Ud. – dep. 23/02/1996 – Rv. 203767; Sez. U, Sentenza
n. 16 del 19/06/1996 Cc. – dep. 22/10/1996 Rv. 205621; Sez. U, Sentenza n.
6402 del 30/04/1997 Ud. – dep. 02/07/1997 – Rv. 207945; Sez. 1, Sentenza
n. 2884 del 20/01/2000 Ud. – dep. 09/03/2000 – Rv. 215504; Sez. 1,
Sentenza n. 8738 del 23/01/2003 Ud. – dep. 21/02/2003 – Rv. 223572). A ciò

.o

4

si aggiunga che l’imputato contrappone, come già rilevato, solo generiche
contestazioni in fatto, che non tengono conto delle argomentazioni della
Corte di appello. In particolare non evidenzia alcuna illogicità o
contraddizione nella motivazione della Corte territoriale allorchè conferma la
decisione del Tribunale. In proposito questa Corte Suprema ha più volte
affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di

ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 – rv 230634). Infine, si deve osservare che l’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi,
dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (che tra l’altro nel caso
di specie non si ravvisano).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che Io ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in Roma, il 25/03/2014.

ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le

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