Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30216 del 30/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30216 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

FERRANTE ISIDORO N. IL 05/08/1968
avverso la sentenza n. 1534/2012 GIP TRIBUNALE di TERMINI
IMERESE, del 09/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 30/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. il 9 maggio 2013
il G.i.p. del Tribunale di Termini Imerese ha applicato a Ferrante Isidoro, in
relazione ai delitti di cui agli artt. 99, 56 e 575 cod. pen. (capo a) e agli artt. 99,
61 n. 2 e 605 cod. pen. (capo b), la pena concordata fra le parti di anni quattro e
mesi sei di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti

condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali e delle spese
relative al suo mantenimento durante la custodia cautelare in carcere, ha
dichiarato il medesimo interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque e
ha ordinato la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di due
motivi, denunciando, con il primo, carenza assoluta di motivazione, ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., quanto agli elementi probativi
della sua responsabilità, e, con il secondo, inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai
sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riguardo alla
omessa riqualificazione del reato contestato al capo a) in quello di lesioni
personali.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Questa Corte ha più volte affermato che l’obbligo della motivazione,
imposto al giudice dagli artt.111 Cost. e 125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte
le sentenze, opera anche rispetto alla sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti, che deve essere rispondente al modello di sentenza
prefigurato dal codice di rito, che all’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
prevede “la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione
è fondata”.
Nella giurisprudenza di questa Corte è stato, tuttavia, precisato che l’obbligo
della motivazione non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444, comma 2, cod. proc.

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sulla contestata recidiva e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, ha

pen., rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una
funzione di semplice presa d’atto del patto concluso dalle parti, lo sviluppo delle
linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i
fatti dedotti nell’imputazione.
2.1. Movendo da tale prospettiva interpretativa, le Sezioni Unite di questa
Corte hanno delineato una compiuta analisi strutturale della motivazione della
sentenza prevista dall’art. 444, comma 2 cod. proc. pen., chiarendo che la stessa

– positiva quanto all’accertamento della sussistenza dell’accordo delle parti
sull’applicazione di una determinata pena, della correttezza della qualificazione
giuridica del fatto nonché dell’applicazione e della comparazione delle eventuali
circostanze, della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art.
27, comma 3, Cost. e della concedibilità della sospensione condizionale della
pena, qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del
beneficio;
– negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità
o di non procedibilità o di estinzione del reato.
Le delibazioni positive devono essere necessariamente sorrette dalla concisa
esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto riguarda il
giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 129 cod.
proc. pen., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa
della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti
risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi
(Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, dep. 15/05/1992, Di Benedetto, Rv. 191135;
Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270).
2.2. Si è anche puntualizzato che, con il ricorso per cassazione avverso la
sentenza di patteggiamento, può essere denunciata l’erronea qualificazione
giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo delle parti e recepita dal
giudice, in quanto attiene a materia sottratta alla disponibilità di parte e l’errore
su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett.

b),

cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. U, n. 5 del 19/01/2000,

dep. 28/04/2000, P.G. in proc. Neri., Rv. 215825; Sez. 5, n. 14314 del
29/01/2010, dep. 14/04/2010, Sinatra e altri, Rv. 246709)
3. Nella specie, il G.u.p. del Tribunale di Termini Imerese, prima di applicare
la pena patteggiata conforme all’accordo tra le parti, ha controllato
l’insussistenza delle condizioni indicate nell’art. 129 cod. proc. pen. e ha
coerentemente rilevato la corretta qualificazione giuridica della fattispecie
contestata, rimarcando con riferimento al reato di cui al capo a) il tipo di

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si esaurisce in una delibazione a un tempo positiva e negativa:

strumenti e arma utilizzati dall’imputato e le sedi corporee della vittima attinte,
oltre alla correttezza del trattamento sanzionatorio nei termini concordati.
Consegue che, alla luce dei predetti condivisi principi, la sentenza impugnata
è immune dai denunciati vizi, peraltro formulati in termini del tutto astratti e
senza il minimo riferimento a concreti elementi che potessero imporre una più
diffusa esposizione delle ragioni della ritenuta qualificazione.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue di diritto la condanna

atti a escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, al
versamento – in favore della Cassa delle ammende – di sanzione pecuniaria che
appare congruo determinare in millecinquecento euro, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi

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