Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30210 del 09/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30210 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
1. SULA MALBOR

n. il 27.04.1987

2. SULO ERVIN

n. V11.10.1981

3. VATA FRANC

n. il 2.12.1989

avverso la sentenza n. 1298/12 della Corte d’appello di Firenze del
17.04.2012.
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 9 aprile 2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Eduardo Vittorio
Scardaccione che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

Data Udienza: 09/04/2013

RITENUTO IN FATTO
SULA MALBOR, SULO ERVIN e VATA FRANC ricorrono in cassazione avverso la

sentenza, in epigrafe indicata, della Corte d’appello di Firenze di conferma della
sentenza di condanna emessa nei loro confronti dal GIP del Tribunale di Prato il
22.09.2011 in ordine al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R.
309/90, di detenzione a fine di spaccio all’interno dell’abitazione sita in Prato,
Via San Michele 3, di gr. 4.160,40 di marijuana; dichiarava altresì inammissibile
l’appello proposto dal procuratore Generale.
motivazione anche sotto il profilo del travisamento della prova.
In particolare, premesso che il coimputato VATA Franc attribuendosi la
responsabilità per la detenzione di sostanza stupefacente nell’appartamento di
Via San Michele, aveva escluso il coinvolgimento sia del SULA che del SULO, si
deduce che la Corte d’appello ha operato un indubbio travisamento della prova
avendo utilizzato le s.i.t. rese da Senis Maria Grazia, attribuendo loro un
significato palesemente difforme a quello risultante dall’atto con riferimento alla
circostanza che il SULA vivesse saltuariamente nell’abitazione dove era stato
rinvenuto lo stupefacente, di cui avrebbe anche avuto la disponibilità della
chiave. Di tali circostanze nelle menzionate s.i.t. nulla si dice. Infatti la Sulis,
barista nel bar adiacente all’appartamento ove trovasi l’abitazione de qua, ha
solo affermato di sapere, come fatto notorio, che l’imputato spacciava droga
insieme al VATA Franc e di avere assistito personalmente ad un episodio di
spaccio da parte del VATA alla presenza del SULA. In effetti trattasi di
dichiarazioni basate sul “si dice” e non provate , e, comunque, non collocate nel
tempo per cui non è possibile collegare quell’episodio di spaccio con il sequestro
dello stupefacente nell’abitazione di cui trattasi.. La prova travisata ha investito
il punto centrale del ragionamento decisorio e quindi ad essa il giudice del
merito ha attribuito efficacia sinergica della conferma della penale
responsabilità del ricorrente
Si evidenzia come la convivenza saltuaria del ricorrente con l’imputato VATA
non possa assolutamente essere dirimente ai fini di individuare un suo apporto
concorsuale nella detenzione illegale di droga. Anche la mera consapevolezza
della presenza della sostanza stupefacente in quell’abitazione non farebbe del
SULA un concorrente nel reato ove non vi siano elementi per poter
ragionevolmente sostenere che, con la sua presenza, potesse avere agevolato o
rafforzato il proposito criminoso altrui.

SULA Malbor denuncia contraddittorietà e manifesta illogicità della

SULO Ervin denuncia mancanza di motivazione con riferimento alla invocata
sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. e le attenuanti
generiche.

VATA Franc denuncia vizio di motivazione con riferimento alla mancata
concessione delle attenuanti generiche per non avere la Corte, erroneamente,
ritenuto che non ne sussistessero i presupposti, con riferimento a sue pendenze
penali, nonostante dal relativo certificato acquisito agli atti non risultasse alcuna
pendenza giudiziaria. Come pure l’inosservanza al decreto di espulsione non
non costituisce più reato.

RITENUTO IN DIRITTO
I motivi esposti sono manifestamente infondati sicché i ricorsi vanno dichiarati
inammissibili.
L’unico motivo posto a base del ricorso del SULA MALBOR asseritamente
relativo ad un vizio della motivazione per contraddittorietà e manifesta
illogicità, concerne, invece, una diversa valutazione delle risultanze probatorie
e pertanto non consentito nel giudizio innanzi a questa Corte.
Il compito del giudice di legittimità è quello di verificare se i giudici di merito
abbiano logicamente giustificato la loro valutazione sulla sufficienza degli
elementi di natura indiziaria acquisiti al processo al fine di pervenire
all’affermazione che il ricorrente doveva ritenersi responsabile della detenzione,
in concorso con gli altri imputati, di sostanza stupefacente e se abbiano
correttamente applicato i criteri di valutazione della prova indiziaria previsti
dall’art. 192 c.p.p..
Il vizio dedotto dal ricorrente dunque non è riconducibile al cd. “travisamento
della prova” perché, con il proposto ricorso, si pone il problema
dell’individuazione dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare l’idoneità
Indiziaria dei fatti accertati e l’efficacia probatoria di questi indizi nonché la loro
capacità individualizzante.
Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro
probatorio ormai “fotografato” con la ricostruzione del fatto compiuta dal
giudice di merito che sarebbe inammissibile in questa sede. Compito del giudice
di legittimità non è infatti quello di ricostruire e valutare i fatti diversamente da
quanto compiuto dal giudice di merito ma di sindacare la correttezza del
ragionamento di questi sulla valutazione relativa alla efficacia indiziaria dei fatti
accertati.
Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al
giudizio di attribuzione del fatto con l’utilizzazione di criteri di inferenza, o

può costituire il fondamento di una prognosi negativa atteso che la fattispecie

massime di esperienza, è diretto a verificare se il giudice di merito abbia
indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili. E,
per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati
rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione
tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni siano
coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su
deduzioni logicamente ineccepibili).
Ebbene, relativamente alla primaria censura del ricorso del SULA. la
alcuna contraddittorietà circa l’analisi delle dichiarazioni rese alla polizia
giudiziaria da Senis Maria Grazia, acquisita agli atti del processo celebratosi con
il rito abbreviato, come eccepita, avendo la Corte del merito valorizzato altri
elementi significativi che, uniti alle dichiarazioni della Senis, non lasciano dubbi
di sorta in ordine alla responsabilità del ricorrente.
Invero, circa la coabitazione del ricorrente con il VATA ed il SULO, la Corte
distrettuale ritiene elemento sicuramente significativo la circostanza che egli è
stato trovato in possesso delle chiavi dell’appartamento ove è stata rinvenuta la
sostanza stupefacente, grazie alle quali la polizia riuscì ad entrare
nell’appartamento e sorprendere gli altri due imputati intenti al
confezionamento di dosi di sostanza stupefacente.
Inoltre, sempre sul punto, è valorizzato l’appostamento effettuato dalla P.G. il
giorno 7.04.2011 che permetteva di accertare che il SULA ed il VATA erano
insieme e che si recavamo proprio in quella abitazione, da cui fu poi visto uscire
il SULA per recarsi ad incontrare una persona che trovatasi a bordo di una VW
Golf.
La testimonianza della Sulis, dunque, non fa altro che avvalorare l’assidua
frequentazione fra i coimputati e, soprattutto, che era stato visto ripetutamente
spacciare sostanza stupefacente insieme al VATA Franc all’interno del bar, sito
nei pressi dell’abitazione del VATA.
Non è, quindi, illogica la ricostruzione dei giudici del merito secondo cui tra i
due vi era una costante solidarietà operativa e, correttamente, è stato ravvisato
un pieno ed abituale concorso del SULA sia nell’attività di vendita dello
stupefacente da parte del VATA, sia ovviamente, nella detenzione della
sostanza destinata a tal fine, depositata nell’appartamento di cui anch’egli
aveva la chiave.
Né può sostenersi che l’accollo totale di responsabilità da parte del VATA, con
esclusione di quella degli altri due coimputati, possa ritenersi dirimente, per
affermare l’innocenza del SULA e del SULO.

motivazione dell’impugnata sentenza è esaustiva e condivisibile non rilevandosi

A parte la considerazione di poca credibilità di quanto affermato dal VATA che,
nonostante la sua sorpresa in flagranza, unitamente al SULO, da parte degli
agenti operanti nel mentre confezionavano dosi di sostanza stupefacente, ha
scagionato quest’ultimo, va ricordato che anche la confessione di un reato con la
chiamata in causa di altri soggetti, quali autori dello stesso reato o di reati ad
esso collegati, o la esclusione di altri, deve rispondere ai principi affermati da
questa Corte in tema di interpretazione della disposizione normativa di cui all’art.
192 , 2° comma c.p.p., con l’obbligo del giudice di motivare in ordine alla
accusatoria o difensiva nei confronti di altri con riferimento a riscontri
individualizzanti.
Ebbene, l’esclusione di responsabilità del SULA e del SULO è affermata dal VATA
tout-court senza che vi siano elementi di riscontro che possano suffragarla, anzi,

come evidenziato, gli elementi valorizzati dai giudici del merito sono tutti di
segno opposto.
Quanto al ricorso del SULO la denunciata mancanza di motivazione circa la
denegata concessione dell’invocata attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., è
frutto di una lettura non attenta della sentenza visto che, sul punto, la Corte ha
specificamente motivato, in maniera esaustiva e corretta, con riferimento al
ruolo attivo e non marginale da lui tenuto sia nella detenzione della sostanza
stupefacente, che nella attività di vendita della stessa.
Relativamente alla censura riguardante il vizio di motivazione che accomuna i
ricorsi del VATA e del SULO in ordine al diniego delle attenuanti generiche si
osserva che, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, “in
tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa
previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso
più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione
di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che
di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto
adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar
luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di
giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è
la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi
l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli
elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio” (Sez. 2, Sentenza n. 2769 del 02/12/2008 Ud., Rv. 242709 ; Sez.
2, Sentenza n. 38383 del 10/07/2009 Ud., Rv. 245241).

attendibilità intrinseca della confessione e alla credibilità della dichiarazione

Orbene, nel caso di specie deve rilevarsi che nessun argomento a favore della
tesi della concessione delle suddette attenuanti generiche è stato proposto o
sviluppato dai ricorrenti; e deve altresì rilevarsi che correttamente i giudici di
merito, nel rigettare la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti
generiche di cui all’art. 62 bis c.p., hanno fatto riferimento nell’esercizio del loro
ampio potere discrezionale ai parametri di cui all’art. 133 c.p. evidenziando, per
come si legge nella sentenza di primo grado le cui motivazioni si integrano con
quelle del giudice di appello, alla gravità dei fatti ed all’assenza di qualsivoglia
non rispondendo al vero, per quanto riguarda la posizione del VATA, che si è
fatto riferimento unicamente ai suoi precedenti penali.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della
cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di C 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in

ma il 9 aprile 2013.

comportamento processuale in qualche modo valutabile in favore degli stessi,

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