Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30208 del 09/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30208 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
1. ANNOVAZZI RODOLFO

n. Il 24.02.1948

2. BERTUCCI LUIGI

n. Il 29.04.1953

avverso la sentenza n. 12544/11 della Corte d’appello di Bologna del
25.11.2011.
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 9 aprile 2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Eduardo Vittorio
Scardaccione che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

L’avv. Urbano Del Balzo, sostituto processuale dell’avv, Marino
Montanari, difensore di fiducia dei ricorrenti, insiste per raccoglimento
dei ricorsi.

Data Udienza: 09/04/2013

RITENUTO IN FATTO

ANNOVAZZI Rodolfo e BERTUCCI Luigi ricorrono in Cassazione avverso la
sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d’appello di Bologna di conferma della
sentenza di condanna emessa nei loro confronti dal Tribunale di Ravenna in
ordine al delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme
antinfortunistiche.
Pur rimanendo incontestata la dinamica dell’infortunio di lavoro che causò il
vicedirettore con delega alla sicurezza sul lavoro, ed il BERTUCCI,

il

capocantiere, è opportuno riportare le modalità con cui esso si è verificato per
una migliore intelligenza dei motivi dei ricorsi, atteso che questa Corte è stata
chiamata a verificare la tenuta del discorso motivazionale della sentenza
impugnata con riferimento alla violazione di norme antinfortunistiche.
La ditta Fagioli era stata incaricata dalla Società Rossetti Marino spa, ed
all’interno del suo cantiere, di predisporre il trasporto di quattro travi metalliche
di grosse dimensioni. Tre erano già state posizionate. L’operazione, ideata da
ANNOVAZZI, eseguita in cantiere dal BERTUCCI e dai dipendenti Gianola
(quest’ultimo anch’egli imputato dello stesso reato poi assolto dal Tribunale) e
Pieri, consisteva nella rimozione di una passerella composta da tre parti ed
appoggiata ad una trave metallica posta a terra all’altezza di circa un metro. Le
tre parti della passerella dovevano essere sfilate e depositate a terra. La
passerella era composta da tre elementi di diversa lunghezza (quello posta a
nord di mt. 6,05, quella posta al centro di mt. 4,44 e quella a sud di mt. 6,40).
L’operazione di sollevamento venne eseguita da un carrello elevatore
manovrato da tecnico della società appaltatrice, l’operazione di sfilamento delle
tre parti della passerella è cominciata con la parte centrale, la più corta e meno
pesante. Dopo lo svitamento dei bulloni la passerella doveva essere posata a
terra, il carrello elevatore era utilizzato per rimuovere le varie parti della
passerella, il Pianola ed il Pieri, che si trovavano a terra, l’uno a sinistra e l’altro
a destra del muletto, segnalavano al conducente le manovre da eseguire, ed a
causa di una manovra non corretta, il Pieri, che nel frattempo era salito sui
carrelli, veniva colpito dall’elemento centrale della passerella riportando gravi
lesioni che ne cagionavano la morte.
La Corte d’appello, nel fare proprio l’impianto motivazionale della sentenza di
primo grado, ribadisce che i profili di colpa ritenuti a carico dell’ANDOVAZZI
sono da ricercarsi nella errata predisposizione di un piano di intervento per la
operazione di sfilamento delle travi e di smontaggio della passerella, sia per
quanto riguarda la procedura stessa da adottarsi che per le modalità di

decesso del dipendente Pieri, della ditta Fagioli, di cui l’ANNOVAZZI era il

ancoraggio delle travi, nonché per la carenza di indicazioni da quale lato della
struttura metallica si sarebbe dovuto cominciare lo smontaggio, con quale
mezzo e a che distanza. Quanto poi alla utilizzazione del muletto, la Corte
evidenziava che essa era stata del tutto impropria, non tanto per la sua
potenziale idoneità a sostenere carichi anche maggiori, quanto per la sua scarsa
adeguatezza a quella specifica operazione.
Altra contestazione riguarda l’aver consentito che la conduzione del mezzo
meccanico fosse affidato a persona esterna all’azienda e non specializzlé per
del proprio personale ed il controllo dello stesso.
Quanto alla posizione del BERTUCCI in sentenza il profilo di colpa a lui
addebitato si ravvisa nel fatto che, capo cantiere, in posizione sovraordinata
rispetto agli altri lavoratori, sbagliò molte volte disponendo l’intervento di un
mezzo non adeguato, consentendo che l’attività di manovra fosse effettuata da
un lavoratore esterno, che ignorava la conformazione del modulo da rimuovere i
ed affidando simile compito a lavoratori che non avevano mai espletato simile
compito.
Con il primo motivo l’ANNOVAZZI denuncia mancanza di motivazione
essendosi la Corte d’appello riportata alle motivazioni della sentenza di primo
grado omettendo di motivare il rigetto dei motivi del gravame.
Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione per omessa
considerazione delle prove emergenti dagli atti.
I punti presi in considerazione sono quelli riguardanti: a)l’asserita inidoneità del
muletto utilizzato per la manovra di spostamento dei moduli della passerella, in
merito le sentenze sia di primo che di secondo grado si rifanno alla relazione
peritale Rendine, ma lo stesso CTU ha affermato che il muletto era senz’altro
idoneo al lavoro in questione, sia per quanto riguardava il peso da sollevare che
per la maneggevolezza nelle manovre; b)la ritenuta errata scelta nella
progettazione delle fasi di smontaggio della passerella. I giudici hanno ritenuto
che fosse preferibile iniziare lo smontaggio con il modulo esterno, lato sud,
sempre richiamando la perizia Rendine. Il perito ha affermato che la scelta di
iniziare con lo sfilamento dell’uno o dell’altro modulo non ha costituito elemento
causale dell’evento, evidenziando, invece, che l’evento si verificò per la
maldestra manovra del conducente del muletto e per l’improvvisa iniziativa del
Pieri che abbandonò la propria posizione alla destra del muletto salendo sui
carrelli; c) guanto al sistema di ancoraggio delle travi previste nel progetto di
sicurezza redatto dall’imputato è la stessa ASL che rileva la presenza in esso
dell’unica precauzione che in qualche modo poteva essere buona;d)con riguardo

non avere osservato la previsione normativa di prevenzione circa la istruzione

all’affermazione che nessun controllo risulta espletato dall’imputato per
verificare in quale modo fosse eseguito lo smontaggio della passerella, si
obietta che all’ANNOVAZZI spettava formare un piano di sicurezza che
evidenziasse e valutasse i rischi nella procedura da eseguire mettendo nel
cantiere operatori esperti ed addestrati. Ebbene il compito del Pieri era quello di
procedere allo sbullonamento della passerella dalla trave ed attendere a
distanza lo sfilamento. Il perito definisce questa mansione “elementare”; per i
giudici abbisognava di una istruzione particolare, pur ammettendo che il Pieri
Gialdini, Castellani e Massetti hanno riferito sull’addestramento del Pieri
sottoposto ad anni di lavoro in tutto il mondoela Corte non ne ha tenuto conto.
Parimenti, la Corte ha ritenuto che il guidatore del muletto, Hassan, non fosse
addestrato dimenticando che egli faceva il carrellista da dieci anni.
Con il terzo motivo si censura la sentenza in punto di violazione di legge nella
specie dell’art. 41 cod. pen. non avendo tenuto in conto il comportamento
abnormeg~ del lavoratore; per altro è la stessa Corte ad ammettere che ci
sia stata una sua improvvisazione operativa e pericolosa salendo inutilmente
sulla passerella trave.
Quanto al ricorso del BERTUCCI esso riporta sostanzialmente le stesse censure
oggetto del ricorso del coimputato.

RITENUTO IN DIRITTO

I motivi esposti, alcuni dei quali non consentiti in sede di legittimità, sono,
comunque, infondati, sicchè il ricorso va rigettato.
Questa Corte, chiamata ad esaminare la denunciata contraddittorietà e la
carenza motivazionale, non può fare a meno di valutare la richiesta di
ciascuna delle diverse questioni proposte, atteso che la verifica della coerenza
logica di tutto il percorso argomentativo della impugnata sentenza è emerso in
maniera del tutto chiara, anche laddove ha fatto proprio le motivazioni, in fatto
ed in diritto, del giudice di primo grado.
Sul punto, oggetto di censura con il primo motivo da parte dell’ANNOVAZZI, si
osserva che, come è stato più volte affermato da questa Corte, quando le
sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione
degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la
struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente
per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicché è possibile, sulla
base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune
della sentenza di appello.

4.

aveva assistito allo sfilamento della passerella la giornata precedente. I testi

Siffatto principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che
l’integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo
grado è possibile soltanto se nella sentenza d’appello sia riscontrabile un nucleo
essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del
secondo grado, dopo avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante,
ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice.
Più specificamente, va rilevato che l’ambito della necessaria autonoma

di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal
primo giudice, oppure di questioni genetiche, superflue o palesemente
inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relazione e
trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o
manifestamente infondati.
Quando invece le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state
specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione,
sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, se il giudice del gravame si
limita a respingere tali censure e a richiamare la contestata motivazione in
termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sulla
fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione.
Ribadita pertanto la legittimità della motivazione per relationem, nei termini
sopra indicati, è poi assolutamente necessario che la posizione dell’ imputato
risulti essere stata specificamente considerata e che i motivi d’appello siano
stati esaminati e valutati, sia pure per ritenerli inconferenti o infondati.
Nella sentenza in esame, i giudici di appello, pur riportandosi su alcuni punti
alla motivazione del giudice di primo grado, hanno fornito puntuale risposta alle
censure mosse dalla Difesa con i motivi del gravame di merito.
\Ick premesso che nessuno dei due ricorrenti contesta la propria posizione di
garanzia individuata in sentenza in ragione dei rispettivi ruoli ricoperti, e che,
quindi, attesa la sostanziale identità dei motivi posti a base dei ricorsi, è
possibile una trattazione unitaria degli stessi.
In effetti, le censure, indicate in parte narrativa con riferimento al ricorso
dell’ANNOVAZZI con le lettere da a) a d), afferiscono tutte al profilo di colpa
addebitato a quest’ultimo, quale delegato alla sicurezza, di aver predisposto un
piano di intervento carente sotto diversi profili, che coinvolgono anche il
BERTUCCI, nella qualità di capocantiere, per averlo reso operativo.
Tali critiche,

riguardanti le singole disposizioni del piano di intervento,

esaminate dai giudici del merito, risultano basate u di una lettura della

motivazione del Giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza
toitc.
delle censure 13,4′:uu dall’appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione

sentenza impugnata non aderente al dato letterale ed al pensiero della Corte
distrettuale.
Invero, la motivazione è specifica ed analitica laddove, nell’esaminare il piano
di intervento, ne evidenzia la mancanza di specificità sia con riguardo alla
stessa procedura da adottarsi per lo svolgimento dell’operazione di smontaggio
delle travi di ferro, che alle modalità di ancoraggio delle travi, che una volta
sollevate e sospese dovevano essere allocate in sicurezza.
Il ricorrente adduce che non è affatto sostenibile l’inidoneità del “muletto”
in merito il giudizio espresso dal CTU Rendine, ma la Corte felsinea afferma
che: <<...la avvenuta utilizzazione di un "muletto" - carrello elevatore - sia del tutto impropria, non tanto per la sua potenziale idoneità a sostenere carichi anche maggiori..., quanto per la sua scarsa adeguatezza a quella specifica operazione. Esso muletto, con movimenti di marcia, curva e arretramento plurimi, ma non agevoli col carico sospeso, utilizza per la captazione di oggetti due forche particolarmente lunghe, quindi operativamente poco duttili, rigide, e soprattutto per poter manovrare "da vicino e/o da sotto" la struttura in smontaggio, vede altamente ridotto il campo visivo dell'operatore a bordo (Hassan) guidato a gesti e voci dal Gianola..». Dunque, trattasi di motivazione ineccepibile in punto di logica, in quanto, nel mettere in rilievo in cosa consisteva la inidoneità del mezzo utilizzato, con particolare riferimento alla difficoltà operativa, in relazione alla manovra in atto, pone in luce il profilo colposo addebitato agli imputati con riferimento ai ruoli da essi svolto. Del resto, la Corte, nell'analizzare il piano di intervento e nel ritenerlo insufficiente a garantire la sicurezza dei lavoratori, ha fatto ricorso ai risultati della perizia a firma dell'ing. Rendine ed alla testimonianza dell'Ispettore dell'ASL, Panzavolta, ed il riferimento, da parte dei ricorrenti, proprio alla perizia ed alla testimonianza del tecnico dell'ASL, a conforto di una erronea percezione dei dati fattuali da parte dei giudici del merito, oltre a non esser affatto condivisibile, per quanto ampiamente motivato sul punto, non è neanche autosufficiente; si rammenta che il ricorso deve contenere la specifica indicazione del materiale probatorio richiamato, dare prova della veridicità di detto dato o della sua insussistenza, indicare l'elemento fattuale, il dato probatorio o l'atto processuale da cui discende l'incompatibilità con la ricostruzione adottata, esporre le ragioni per cui detto atto inficia o compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'interna coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità_(cfr. Cass. sez. I 14 utilizzato per l'operazione di sollevamento e spostamento delle travi, riportando giugno 2006 n.20370 rv.233778 e rv.234115, Cass. sez. VI 7 luglio 2006 n.23781 rv.234152 e Cass. sez. VI 6 luglio 2006 n.23524 rv.234153). Quanto alla asserzione che l'ANNOVAZZI non era tenuto ad alcun controllo per verificare in quale modo fosse eseguito lo smontaggio della passerella, essa appare del tutto non conferente proprio per la inidoneità e la insufficienza del piano di intervento da lui redatto a garantire la sicurezza dei lavoratori. Basta pensare che a tale operazione, come puntualmente rilevano i giudici del merito, era stato adibito un operaio, il Pieri che, per quanto fosse" elementare" la atteso che solo il giorno prima aveva assistito alla stessa operazione eseguita da altri. Per non tacere, poi, della circostanza di avere affidato la guida del "muletto", per altro di proprietà della ditta Rossetti Marino, al manovratore, dipendente di quest'ultima, e, quindi, estraneo all'azienda appaltatrice, per niente specializzato ed esperto della manovra cui era stato adibito, oltre che, come già evidenziato, dotato di un mezzo inidoneo. Alla stregua delle considerazioni esposte emerge in maniera palmare l'infondatezza dell'ultimo motivo che vuole esonerare la responsabilità degli imputati per la condotta altamente imprudente e non diligente del lavoratore Pieri, definita apoditticamente, per sfuggire alla censura codicistica, abnorme. A ben vedere, non è questa la questione la cui risoluzione riveste eventuale importanza nell'economia del giudizio, benché su di essa i ricorrenti abbiano particolarmente insistito al precipuo fine di dimostrare che nessuna certezza era stata acquisita per affermare che l'infortunio si era verificato per un asserita insufficienza del piano di intervento, per l'uso di un mezzo inidoneo e per la carente informazione fornita agli operai circa i rischi dell'operazione di smontaggio della passerella, quanto, piuttosto, quella di stabilire se le conseguenze dell'accaduto si sarebbero potute evitare con l'apprestamento di idonee misure di protezione e di prevenzione, nella specie adeguata informazione ed addestramento del personale incaricato della manovra di smontaggio delle travi. E' questo l'aspetto centrale che qui interessa la tematica della trattazione del ricorso, e ben posto in evidenza nella sentenza della Corte territoriale, giacché anche a ritenere che la persona offesa abbia posto in essere una condotta altrettanto negligente o imprudente, ciò non vale a spezzare il nesso causale, dal momento che tante sono le omissioni addebitate ai ricorrenti, ciascuna delle quali, anche isolatamente considerata, vale a collegare eziologicamente al loro comportamento omissivo l'evento di mansione che doveva essere da lui espletata, era privo di qualsiasi esperienza danno, rendendolo a loro soggettivamente riferibile e imputabile alla stregua del principio della personalizzazione della responsabilità penale. Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.). Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso o a il 9 aprile 2013. ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi

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