Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30162 del 30/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30162 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
VINOTTI PIETRO N. IL 14/05/1974
avverso la sentenza n. 125/2011 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di ACQUI TERME, del 01/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 30/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., I’l marzo 2013 il
G.u.p. del Tribunale di Acqui Terme ha applicato a Vinotti Pietro, in relazione al
reato di cui agli artt. 5 e 9, comma 2, legge n. 1423 del 1956, la pena

reato già giudicato dal Tribunale di Asti con sentenza n. 1296 del 25 novembre
2008, irrevocabile il 23 novembre 2010, considerato più grave il reato in esame,
concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto
alla contestata recidiva e operata la riduzione per il rito, e ha condannato
l’imputato al pagamento delle spese di mantenimento in carcere.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento per mancanza e
illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., dolendosi dell’omesso giudizio in ordine alla esattezza della qualificazione
giuridica del fatto, alla concessione delle circostanze e alla congruità della pena e
della carenza di ogni indicazione circa la disposta condanna alle spese di
mantenimento in carcere per non essere stato “ristretto per questa causa”.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.
4. In data 12 aprile 2014 sono pervenuti motivi aggiunti nell’interesse del
ricorrente, che ha denunciato l’inesistenza della motivazione in relazione all’art.
129 cod. proc. pen., ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc.
pen., e la violazione dell’art. 188 cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. L’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale l’imputato e il pubblico ministero si accordano sulla
qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza delle
circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sulla entità della pena. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei detti aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo aver accertato

2

concordata fra le parti di mesi dieci di reclusione, ritenuta la continuazione con il

che non emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità previste
dall’art. 129 cod. proc. pen.
Ne consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena
ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – l’imputato non può rimettere in
discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, né può dolersi della
entità della pena da esso stesso sollecitata e della complessiva adeguatezza del
trattamento concordato.
3. Nel caso di specie, i motivi di ricorso appaiono privi di specificità e sono,

concordata, si è adeguato all’accordo intervenuto fra le parti, riconoscendo la
congruità della pena come concordata, alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod.
pen., e la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, e ha escluso,
richiamando le emergenze processuali, la sussistenza dei presupposti per la
pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc.
pen.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente
adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 6, n. 14563 del 02/12/2010,
dep. 12/04/2011, P.G. in proc. Manea, Rv. 250024).
4.

Relativamente alle spese di mantenimento in carcere, è costante

l’orientamento di questa Corte secondo il quale, in caso di patteggiamento, dette
spese devono essere poste a carico dell’imputato a prescindere dalla durata della
sanzione concordata, non rientrando in senso stretto nella categoria delle spese
del procedimento (Sez. 3, n. 19103 del 19/04/2012, dep. 18/05/2012, Vedda,
Rv. 252648) e trattandosi di costi sostenuti dall’amministrazione penitenziaria
(Sez. 6, n. 17650 del 25/02/2003, dep. 14/04/2003, Marsala F. e P.G., Rv.
224509).
La circostanza che il ricorrente non sia stato ristretto in carcere, dal
medesimo peraltro solo affermata, non determina la nullità della sentenza, come
dedotto, ma la non ripetibilità nei suoi confronti di spese eventualmente non
dovute.
5. Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi
atti a escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, al
versamento – a favore della Cassa delle ammende – di sanzione pecuniaria che
appare congruo determinare in millecinquecento euro, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen.

comunque, manifestamente infondati, atteso che il Giudice, nell’applicare la pena

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla
Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2014

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