Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30151 del 01/06/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30151 Anno 2016
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

MOGGI MASSIMO, nato a Fiorenzuola D’Arda il 29/10/1958

avverso la sentenza in data 17/7/2015 della Corte di Appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio Baldi,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 01/06/2016

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 17/7/2015 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa il
12/2/2014 dal Tribunale della medesima città, in composizione monocratica, nei confronti di
MOGGI MASSIMO, dichiarato responsabile, quale legale rappresentante della ICM Italia s.p.a.,
con sede in Milano, del reato di cui all’ art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000 e condannato alla
pena di mesi dieci di reclusione, con i doppi benefici di legge.

al periodo d’imposta successivo, sulla base della dichiarazione annuale relativa al 2007, per un
ammontare complessivo di euro 757.723,00.
Avverso la sentenza il MOGGI, tramite difensore fiduciario, propone ricorso, affidato a due
motivi, per l’annullamento della decisione.
Con un primo motivo di doglianza deduce, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. e) c.p.p., difetto di
motivazione della impugnata sentenza per essersi la Corte di Appello limitata a richiamare,
condividendola, la motivazione della sentenza di primo grado, senza indicare le prove poste a
base della decisione.
Con un secondo motivo di doglianza deduce, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b) ed e) c.p.p.,
erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione, per non avere
la Corte di Appello considerato che, nell’aprile 2008, allorché il MOGGI aveva assunto la carica di
amministratore, la società ICM Italia già era in crisi di liquidità a causa del ritardo dei
finanziamenti statali cui pure aveva diritto e che ciò spiega il perché, alla scadenza
dell’obbligazione tributaria (27/12/2008), l’imputato non aveva la possibilità di effettuare il
versamento dell’acconto IVA basato sul fatturato dell’anno precedente. Evidenzia la difesa del
ricorrente che il MOGGI cessò dalla carica il 29/3/2009, data in cui la società venne posta in liquidazione,
che la domanda di concordato venne presentata 1’8/10/2009, che la dichiarazione di fallimento
sopravvenne in data 10/6/2010 e che la lettera di contestazione dell’Agenzia delle Entrate era pervenuta
alla società soltanto il 4/1/2010.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I due motivi di ricorso, che possono essere scrutinati congiuntamente, sono manifestamente
infondati.
Il MOGGI si duole della mancanza di motivazione, in punto di penale responsabilità
dell’imputato, per avere la Corte territoriale richiamato

per relationem la motivazione della

sentenza di primo grado, senza considerare la circostanza che la società ICM Italia era in crisi
di liquidità.

2

L’imputato è chiamato a rispondere dell’omesso versamento all’Erario dell’acconto IVA relativo

La censura non si confronta con l’affermazione, contenuta nella impugnata sentenza, che le
dedotte difficoltà economiche, “che sembrano evocare un’ipotesi di «impossibilità
incolpevole» ad adempiere, risultano ininfluenti alla luce dell’ormai “costante insegnamento
della giurisprudenza di legittimità di segno contrario alla tesi difensiva” atteso che “il mancato
versamento dei tributi dovuti all’Erario, costituendo inadempimento di una obbligazione
generica, qual è per eccellenza il pagamento di una somma di denaro, realizza un’ipotesi
scolastica per la quale mal si adatta la categoria dell’impossibilità ad adempiere” e che dal

giuridica rilevanza considerato che “la mancanza del dolo non può essere riferita alla pregressa
condizione di illiquidità, bensì alla successiva condotta omissiva sanzionata dalla norma
incriminatrice”, sicché è proprio “la scelta strategica di non soddisfare l’Erario per privilegiare
altri interessi creditori soggettivamente ritenuti più meritevoli di tutela, è la migliore
dimostrazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato”.
La decisione è pienamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il
reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, non può essere considerato come un reato
con condotta di natura esclusivamente omissiva, bensì di reato a condotta “mista”, in parte
attiva ed in parte omissiva: la componente attiva è riconducibile alla presentazione della
dichiarazione annuale Iva da parte di chi è obbligato a tale adempimento, da cui emerga un
debito di imposta superiore alla soglia di punibilità; la componente omissiva, invece, è
rappresentata dall’omesso versamento dell’Iva, liquidata dal contribuente nella relativa
dichiarazione (Sez. 3, n. 12248 del 2014, P.M. in proc. Faotto e altri, Rv. 259806).
E’ altresì indubbio che, ai fini della perseguibilità penale della condotta, è necessario che, nel
momento in cui il reato giunge a consumazione (27 dicembre dell’anno d’imposta successivo a
quello di riferimento), il soggetto tenutovi non effettui “dolosamente” il versamento dell’IVA
dichiarata, dovendo il giudice accertare con riferimento a detto momento l’esistenza del dolo
generico omissivo.
Tuttavia, in tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della
obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non
imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause
indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico, sicché del tutto
correttamente la Corte territoriale ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la
mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto
delle scelte di politica imprenditoriale adottate per fronteggiare una crisi di liquidità della
società (sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128) e peraltro in difetto di prova di
tutte le iniziative intraprese per provvedere alla corresponsione del tributo dovuto (Sez. 3, n.
2614 del 6/11720013, Saibene, Rv. 258595).
Neppure alcun pregio hanno le deduzioni difensive in ordine alla cessazione, in data
29/3/2009, dalla carica di amministratore della ICM Italia s.p.a., atteso che il MOGGI, alla
data del 27/12/2008, era il soggetto tenuto al versamento dell’imposta sul valore aggiunto.
3

punto di vista dell’elemento soggettivo del reato, il motivo addotto dall’imputato non assume

Resta ininfluente anche la dedotta circostanza che la predetta società versava in difficoltà
economiche a causa della precedente gestione non avendo l’odierno ricorrente specificato le
iniziative assunte, una volta presa consapevolezza della illiquidità della società, per
fronteggiare diligentemente tale situazione (Sez. 3, n. 43599 del 9/9/2015, Mondini, Rv.
265262).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non
potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno
2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in

nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di t 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso 11. giugno 2016.

favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti,

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