Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30149 del 19/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30149 Anno 2015
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIROVANO MAURO AMBROGIO N. IL 16/08/1958
avverso la sentenza n. 7897/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
21/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/02/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 19/02/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale,
Dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito

il difensore della parte civile, avv.to Davíco Bonino Paolo, in

sostituzione dell’avv. Ugo Colonna che ha concluso per il rigetto del ricorso
come da conclusioni depositate con nota spese;
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello

di Milano con sentenza in data 21.3.2014

confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Voghera in data 6.2.2013

mesi sei di reclusione, con la riduzione per il rito abbreviato, oltre al
risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio, per í reati di cui alli
art. 485 c.p. perché difensore di Ladogana Giampietro, al fine di procurarsi
un vantaggio, apponeva la falsa firma del suo assistito in calce ad una
richiesta di applicazione pena e di cui alli art. 481 c.p. perché t nella qualità di
avvocato del predetto Ladogana, autenticava la firma apocrifa
apparentemente di quest’ultimo, in calce alla medesima richiesta di
applicazione della pena.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del
difensore di fiducia, lamentando la manifesta illogicità della motivazione ex
art. 606 c.p.p., atteso che la Corte territoriale, avallando il convincimento del
Giudice di prime cure, ha ritenuto di assumere come vera la ricostruzione dei
fatti così come prospettata dalla costituita parte civile nella sua denuncia
querela ed ha, pertanto, confermato, sulla sola base della dichiarazioni della
stessa, la penale responsabilità del ricorrente, pur risultando, sulla base di
una prova certa ed inconfutabile, smentita; veniva, infatti, prodotta in primo
grado, copia del telegramma dal quale risulta che la strategia difensiva
dell’Avv. Pirovano era stata comunicata al D’Urso convivente dell’imputato, il
quale ne aveva sicuramente discusso con lo stesso, nonchè veniva allegata
copia della notifica all’imputato della fissazione dell’udienza in camera di
Consiglio per discutere il patteggiamento ex artt. 444 e ss. c.p.p., come
risulta altresì dalla lettera del D’Urso, ad ulteriore dimostrazione che
entrambi, erano perfettamente a conoscenza sia della strategia difensiva, sia
dell’avvenuta camera di Consiglio e del relativo patteggiamento,
diversamente da quanto affermato nella denuncia – querela; nonostante
l’evidente contraddizione tra quanto accaduto e quanto dichiarato, nella
denuncia querela del 19.2.2010, la Corte, nelle proprie motivazioni, non solo
non ha tenuto conto delle suddette discrepanze, ma neppure ha ritenuto
necessario ricostruire i fatti di reatokvalutare la credibilità della persona
offesa, dando per scontato che i fatti si siano svolti così come sostenuto dal
1

con la quale Pirovano Mario Ambrogio era stato condannato, alla pena di

Giudice di prime cure, in assenza di valide ipotesi alternative; in ogni caso
non possono dirsi integrati gli elementi costitutivi del reato di falso ex art.
485 c.p., derivanti solo ed esclusivamente dall’assenza dell’imputato al
processo ed in particolare difetta l’elemento soggettivo del dolo specifico,
dell’essersi egli procurato un vantaggio; la Corte territoriale si è limitata ad
un generico richiamo dell’ampio spettro di possibili condotte idonee ad
integrare il fine specifico dell’ingiusto vantaggio, senza specificare quale, nel
caso di specie, sia stato quello effettivamente conseguito dall’imputato; che

pendenza del ricorso in oggetto, poiché, in caso contrario, ne deriverebbe un
grave ed irreparabile danno alle finanze dell’imputato, che non è titolare di
alcun bene mobiliare e/o immobiliare, da un lato, e, trovandosi in gravi
difficoltà economiche ldall’altro, per l’inevitabile kflessione subita nel corso di
questi ultimi anni nel suo lavoro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile siccome manifestamente infondato.
1.11 ricorrente censura innanzitutto la valutazione della Corte territoriale
che ha ritenuto veritiera la ricostruzione dei fatti della p.o., ma tale
doglianza, oltre a presentarsi del tutto generica non mira a contestare, pur
nella sua genericità, il dato saliente della vicenda, relativo all’accertata
falsità della firma del Ladogana in calce alla richiesta di applicazione della
pena, richiesta che l’imputato provvedeva ad inviare alla Procura di Voghera
e dalla quale scaturiva appunto la sentenza ex art. 444 c.p.p. nei confronti
del predetto Ladogana.
Priva della necessaria specificità si presenta, altresì, la doglianza circa la
contraddizione tra quanto accaduto e quanto dichiarato dalla p.o., non
indicando il ricorrente in che cosa si tradurrebbe tale contrasto e l’incidenza
di essa nella vicenda. In ogni caso, vanno richiamati i principi più volte
espressi da questa Corte, secondo cui la valutazione della credibilità della
persona offesa rappresenta appunto una questione di fatto, che non può
essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in
manifeste contraddizioni (Sez. I, n. 33267 del 11.6.2013), contraddizioni che
non si rilevano nel caso di specie.
2. Per quanto concerne la conoscenza da parte del Ladogana della strategia
difensiva posta in essere dall’imputato, suo difensore, circa la richiesta di
applicazione della pena, ebbene la sentenza di primo grado aveva già messo
in risalto come non esistesse alcuna prova in proposito ed il giudice d’appello,
con ragionamento non illogico ha specificato come non potesse dedursi
l’avallo da parte del Ladogana (pela linea difensiva del Pirovano dalla
2

va disposta, poi ,la sospensione dell’esecuzione della condanna civile, in

conoscenza da parte del coimputato D’Urso lcompagno di vita della p.o., di
una non meglio precisata istanza di patteggiamento. D’altra parte, ai fini
della sussistenza del reato di falso in scrittura privata (art. 485 cod. pen.), il
consenso o l’acquiescenza della persona di cui sia falsificata la firma, non
svolge alcun rilievo, in quanto la tutela penale ha per oggetto,non solo
l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma
anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l’agente
faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sé un vantaggio o per

sull’effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile ignoranza
della legge penale (Sez. 5, n. 16328 del 10/03/2009).
3.

Manifestamente infondata si presenta la censura relativa alla

insussistenza dell’elemento psicologico relativo al delitto di falso di cui all’art.
485 c.p., non risultando individuato, o comunque evincibile, il vantaggio
dell’imputato. All’uopo deve osservarsi come la Corte territoriale abbia fatto
corretta applicazione dei principi più volte espressi da questa Corte, secondo
cui, nel delitto di falso in scrittura privata, l’integrazione del dolo specifico
consiste nel perseguimento, da parte dell’agente, di un vantaggio o un danno
per sè o per altri e non occorre il perseguimento di finalità illecite, poiché
l’oggetto di esso è costituito dal fine di trarre un vantaggio di qualsiasi
natura, legittimo od illegittimo (Sez. 5, n. 22578 del 16/03/2012). Nella
sentenza impugnata viene altresì condivisibilmente richiamato il principio,
pienamente riferibile alla fattispecie in esame, secondo cui il vantaggio
richiesto dall’ari 485 c.p., può concretarsi in anche in una mera ragione di
comodità, come quella di evitare gli spostamenti e le attività connesse alla
emissione di una nuova procura al difensore (Rv 144373), ovvero di non
dover ricercare o attendere il titolare della firma e ciò e sufficiente ad
integrare l’elemento psicologico del delitto di falso in scrittura privata (Sez. 5,
n. 371 del 11/10/1979).
4. Inammissibile si presenta, poi, la richiesta di sospensione degli effetti
civili scaturenti dalla sentenza impugnata, peraltro invocata in relazione alla
pendenza del ricorso che con la presente pronuncia viene definito.
5. Segue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma
– ritenuta congrua – di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende,
trovandosi il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità nonché al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile
che si ritiene di liquidare in complessivi euro 1500,00, oltre accessori come
per legge.

3

arrecare ad altri un danno; pertanto anche l’erroneo convincimento

p.q.m.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della cassa delle
ammende, nonché al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile che
liquida in complessivi euro 1500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso il 19.2.2015

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