Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30141 del 12/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30141 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bruni Roberto, nato a Roma il 12/5/1973

avverso la sentenza del 28/5/2015 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28/5/2015, la Corte di appello di Roma confermava la
pronuncia emessa il 27/9/2014 dal Tribunale di Tivoli, con la quale Roberto Bruni
e Stephanie Di Renzo erano stati riconosciuti colpevole del delitto di cui agli artt.
81 cpv., 110 cod. pen., 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e condannati – con
rito abbreviato – alla pena, rispettivamente, di 4 anni, 4 mesi di reclusione e
24.000 euro di multa e di 3 anni di reclusione e 18.000 euro di multa; agli stessi

Data Udienza: 12/04/2016

era ascritto di aver detenuto a fine di spaccio sostanze stupefacenti del tipo
cocaina, marijuana ed hashish.
2. Propone ricorso per cassazione il Bruni, personalmente, deducendo – con
unico motivo – la violazione dell’art. 99 cod. pen.; la Corte di appello avrebbe
riconosciuto la contestata recidiva (già bilanciata in primo grado con le
circostanze attenuanti generiche) in forza di un precedente specifico definito con
sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. del 30/5/2006, irrevocabile il 28/6/2006; ne
consegue che, decorsi cinque anni, tale delitto sarebbe estinto ipso iure, a

la Corte di appello non avrebbe potuto tener conto per riconoscere la recidiva di
cui all’art. 99 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta fondato.
Ed invero, pacifici gli elementi in fatto di cui in premessa, originati dalla
sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. a data 30/5/1996, irrevocabile il 28/6/2006,
il Collegio aderisce all’orientamento in forza del quale l’estinzione del reato che
ha costituto oggetto di sentenza di patteggiamento, in conseguenza del
verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445, comma secondo, cod. proc. pen.
opera “ipso iure” e non richiede una formale pronuncia da parte del Giudice
dell’esecuzione.
Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare (per tutte, Sez. 5, n.
20068 del 22/12/2014, Valente, Rv. 263503) che il dato testuale – di per sé
pressoché autosufficiente – assume, in materia, un’importanza decisiva. «Poiché
il tema centrale è l’estinzione del reato per decorso inattivo del tempo,
l’individuazione del dies a quo è argomento nel quale la formulazione normativa,
in un tema che riveste carattere sostanziale, non può che assurgere al
paradigma della tipicità. Non è consentito, dunque, all’interprete percorrere vie
esegetiche (per quanto anch’esse non prive di argomenti sistematici) che esulino
dal dato testuale chiaro che subordina l’estinzione al verificarsi di una
condizione: “se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un
delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione,
l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa
indole”, come recita testualmente l’art. 445, comma 2, cod. proc. pen.. Le
Sezioni Unite di questa corte hanno affrontato analoghe questioni, in tema di
indulto, affermando il principio secondo cui “nel caso in cui l’esecuzione della
pena sia subordinata alla revoca dell’indulto, il termine di prescrizione della pena
decorre dalla data d’irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto

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prescindere da un provvedimento del Giudice dell’esecuzione, sì che dello stesso

della revoca del beneficio” (Cass. S. U. 30 ottobre 2014 n. 2). La questione che
rileva in questa sede è che le Sezioni Unite hanno ritenuto maggiormente
coerente con i criteri ermeneutici il principio secondo cui, con riferimento ad un
determinato effetto giuridico (nel caso di specie, l’estinzione del reato, mentre
nel caso esaminato dalle Sezioni Unite, l’estinzione della pena, in entrambi i casi
per decorso inattivo del tempo), l’ipotesi della decorrenza degli effetti dal
momento in cui si sono verificati i presupposti (nel caso esaminato dalle Sezioni
Unite, per la revoca del beneficio precedentemente concesso) deve ritenersi

definitiva la sentenza di condanna determinante la causa della revoca dell’indulto
stesso. In sostanza, nel caso esaminato dalle Sezioni Unite, ai fini
dell’individuazione del dies a quo per il decorso della prescrizione della pena, in
caso di revoca di benefici, si deve fare riferimento al momento in cui siano, per
legge, maturate le condizioni che abbiano portato alla revoca stessa e non a
quello in cui viene adottato il provvedimento di revoca del beneficio. Sulla base
di tali considerazioni le Sezioni Unite hanno affermato che la revoca dell’indulto
si determina ope legis (“il beneficio dell’indulto è revocato di diritto”) al
verificarsi della condizione risolutiva (aver commesso un delitto entro il termine
indicato); il dies a quo dal quale decorre la prescrizione della pena è quello in cui
la citata condizione risolutiva si è verificata (art. 172 c.p., comma 5).
L’applicazione dei condivisibili principi sopra espressi al caso di specie comporta
che il provvedimento dichiarativo dell’estinzione, successivo e ricognitivo di un
effetto già verificatosi, resta estraneo al decorrere del tempo ai fini
dell’estinzione del reato ex art. 445 cit.. Tale impostazione, del resto, non è in
contrasto con l’affermazione che si rinviene anche nelle sentenze citate che
escludono l’automatismo degli effetti, richiedendo un intervento del giudice
dell’esecuzione, sebbene in funzione meramente formale, dichiarativa e
ricognitiva. La impostazione opposta, fatta propria da Cass. n. 11569 del 27
febbraio 2002, offre invece il fianco alla critica che deriva dall’essere tale l’effetto
dipendente dai tempi, i più vari e spesso lunghi, dell’attività giudiziaria diretta
alla declaratoria di estinzione. Si verificano le medesime criticità evidenziate
dalle Sezioni Unite: l’essere esposto il condannato alla maggiore o minore
tempestività dei provvedimenti giudiziali con lesione del principio di uguaglianza;
subire lo stesso condannato le conseguenze della revoca a maggiore distanza di
tempo, così vulnerando i principi, di rango costituzionale, relativi all’effettività ed
alla ragionevole durata del processo (anche della fase esecutiva, ex art. 111
Cost.), ma anche afferenti ai valori rieducativi (art. 27 Cost., comma 2) per cui
l’esecuzione della pena deve essere il più vicino possibile alla commissione del
reato ed alla definitività della condanna. La tesi dell’automatismo degli effetti

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preferibile rispetto all’opzione ermeneutica riferita al momento in cui è divenuta

rappresenta il risultato di una interazione costituzionalmente orientata della
norma, coerente con i principi di ragionevole durata, di sollecita definizione e di
minor sacrificio esigibile evincibili dagli artt. 5 e 6 CEDU».
In conseguenza dell’automatismo degli effetti estintivi, dunque, va esclusa la
sussistenza della recidiva e la Corte territoriale, in sede di rinvio, provvederà a
rideterminare il regime sanzionatorìo.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio
con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2016

P.Q.M.

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