Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30141 del 04/06/2015
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30141 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: DE AMICIS GAETANO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ZANETTI SIMONE N. IL 04/01/1966
avverso la sentenza n. 773/2014 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
07/07/2014
Data Udienza: 04/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. m< /(,42Ì/? g/V.SE/°?,'"//;2 Fah, RZ04,/
che ha concluso per f.`,1 fri,,or."310 62 i
"1, / e-0)-1-1-0 Udito, per la parte civile, l'Avv
Udi • difensortAvv. ,e(42.~ )(4 .1 ./V/17./ 2171„9 L n f}2.4..&___ LO-) RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 7 luglio 2014 la Corte d'appello di
Venezia, in parziale riforma della sentenza del G.u.p. presso il Tribunale
di Padova del 10 ottobre 2013, ha ridotto ad anni due, mesi tre e giorni
dieci di reclusione la pena inflitta a Simone Zanetti per il reato di peculato
continuato di cui agli artt. 81 cpv., 314 c.p., commesso dal 2009 al 7 in servizio presso l'ufficio gestione reperti della Questura di Padova, per
essersi appropriato di quantitativi imprecisati di droga, attraverso la
manomissione dei reperti contenenti sostanze stupefacenti in sequestro
(nove reperti accertati per un peso complessivo di circa gr. 300 di eroina,
gr. 39,04 di cocaina e gr. 8,54 di hashish).
Con la medesima pronunzia, inoltre, la Corte d'appello applicava la
pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata della
pena, confermando nel resto la decisione di primo grado. 2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo tre motivi di doglianza il
cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato. 2.1. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 314 c.p., atteso
che l'imputato si è appropriato di stupefacente sequestrato ad ignoti o
destinato alla distruzione, con la conseguenza che nessun pregiudizio
poteva verificarsi per effetto della sua azione, tenuto conto del fatto che
non vi era per lo Stato possibilità alcuna di alienare quelle sostanze.
Nel caso in questione, peraltro, l'imputato se ne è appropriato per
uso personale, perché mosso in tal senso dal proprio stato di
tossicodipendenza. 2.2. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 62, nn. 4 e 6,
c.p., trattandosi di beni destinati alla distruzione, che nessuna valenza
economica potevano dunque avere per la Pubblica amministrazione. novembre 2011 nella sua qualità di Sovrintendente della Polizia di Stato 2.3. Vizi motivazionali in ordine alla mancata concessione delle
attenuanti generiche, lamentandosi profili di manifesta illogicità nel
ragionamento seguito dalla Corte di merito, in particolare per aver
considerato alla stregua di un'aggravante il fatto che l'imputato fosse un
pubblico ufficiale, ovvero per avere interpretato contra reum la motivazione che avrebbe spinto l'imputato a sottrarre unicamente lo
stupefacente destinato alla distruzione, ovvero sequestrato ad ignoti, ammanchi, anziché per evitare un qualsivoglia pregiudizio
all'amministrazione.
Né, infine, la Corte di merito ha tenuto conto delle condizioni psicofisiche dello Zanetti all'epoca dei fatti, e in particolare del suo stato di
tossicodipendenza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a
riprodurre un quadro di argomentazioni già ampiamente vagliate e
correttamente disattese dalla Corte distrettuale, in tal guisa richiedendo
l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della
linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione
delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione. 2. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio
posto in risalto nella sentenza del Giudice di primo grado, la cui struttura
motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo
grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune,
la Corte di merito ha esaminato e puntualmente disatteso la diversa
ricostruzione prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, attraverso il
richiamo ai passaggi motivazionali già esaustivamente delineati nella
prima decisione: a) che lo stesso imputato ha ammesso il fatto di essersi
appropriato, per farne uso personale, di vari quantitativi di stupefacenti
custoditi nell'ufficio gestione reperti ove prestava servizio, nell'arco
temporale ricompreso fra il 2007 ed il 7 novembre 2009; 2 b) che i perché in tal modo sarebbe stata più difficoltosa la scoperta degli quantitativi di droga oggetto di impossessamento costituiscono solo una
parte della droga effettivamente sottratta dall'imputato, non essendo
stato possibile quantificare l'entità delle sostanze - poste in sequestro a
carico di ignoti - da lui sottratte negli anni precedenti; c) che il fatto di
appropriarsi di stupefacenti sequestrati nell'ambito di procedimenti penali
a carico di ignoti era dovuto al peculiare meccanismo di smaltimento di
tali reperti, che in seguito all'accertamento del cd. "narcotest" venivano difficile la scoperta di eventuali ammanchi; d) che le ripetute assunzioni
di stupefacenti, anche durante l'attività di servizio e per un rilevante arco
temporale, hanno compromesso l'efficienza nel servizio e la
professionalità del predetto pubblico funzionario, preposto allo
svolgimento di compiti importanti e delicati, avendo la disponibilità di
reperti in sequestro con il fine esclusivo di custodirli, secondo le
disposizioni impartite dall'Autorità giudiziaria. 3. Muovendo da tali premesse, deve rilevarsi come i Giudici di merito
abbiano fatto buon governo dei principii al riguardo pacificamente fissati
da questa Suprema Corte (Sez. Un., n. 38691 del 25/06/2009, dep.
06/10/2009, Rv. 244190; Sez. 6, n. 26476 del 09/06/2010, dep.
09/07/2010, Rv. 248004), secondo cui l'appropriazione della "res" o del
danaro da parte del pubblico agente, anche quando non arreca, per
qualsiasi motivo, un danno patrimoniale alla P.A., è comunque lesiva
dell'ulteriore interesse tutelato dall'art. 314 cod. pen., che si identifica
nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato.
Non occorre, dunque, la realizzazione di un ingiusto profitto da parte
dell'agente, il cui perseguimento, del resto, non è richiesto neppure a
titolo di dolo specifico (Sez. 6, n. 8009 del 10/06/1993, dep. 24/08/1993,
Rv. 194922).
è noto, infatti, che il peculato è un reato a carattere plurioffensivo,
inteso, da un lato, alla tutela dell'interesse statale della "funzionalità
operativa" della pubblica amministrazione, sotto i molteplici profili della
legalità, efficienza, probità ed imparzialità, e, dall'altro lato, alla custoditi senza essere più controllati e pesati, rendendosi in tal modo più protezione dei beni patrimoniali che sono affidati - come nel caso di
specie - alla custodia dei pubblici funzionari.
Da tale natura plurioffensiva, pertanto, deriva, come più volte
affermato in questa Sede, che l'eventuale mancanza, o particolare
modestia, del danno patrimoniale conseguente all'appropriazione non
esclude la sussistenza del reato, considerato che rimane pur sempre leso
dalla condotta dell'agente l'altro interesse, diverso da quello patrimoniale, pubblica amministrazione (v., in motivazione, Sez. 6, n. 12306 del
26/02/2008, dep. 19/03/2008, Rv. 239212; Sez. 6, n. 4328 del
02/03/1999, dep. 07/04/1999, Rv. 213660).
Nella medesima prospettiva ermeneutica, inoltre, si è affermato (Sez.
6, n. 12611 del 25/02/2010, dep. 31/03/2010, Rv. 246735) che non può
essere un atto consapevolmente illecito (come, ad es., la mancata
formale redazione di un verbale di sequestro) a vanificare o dissolvere
una situazione di fatto che si è già compiutamente realizzata, con
l'apprensione della sostanza stupefacente da parte della Polizia
giudiziaria, ciò che appunto determina - con immediata sovrapposizione il possesso dell'amministrazione, il quale a sua volta impone la successiva
gestione del bene secondo le pertinenti disposizioni normative del caso
(Sez. 6, n. 3018 del 5 febbraio - 26 marzo 1996, Rv 204788).
Ciò che solo rileva, invero, è che quella sostanza, una volta
sottoposta a sequestro, doveva rimanere nella sfera di esclusiva
disponibilità dell'Amministrazione fino al momento in cui, esperiti gli
accertamenti ed effettuate le valutazioni di legge, ne fosse stata
ritualmente disposta la distruzione.
Ne discende, in relazione al caso in esame, che integra il delitto di
peculato anche l'appropriazione di cose il cui commercio è vietato (arg.
ex Sez. 6, 30 maggio 2012 - 2 luglio 2012, n. 25588, con riguardo ad
una fattispecie di sottrazione di parte di eroina in sequestro). 4. Inammissibili, infine, devono ritenersi le censure difensive prospettate in relazione alle modalità di determinazione del trattamento
sanzionatorio, poiché la Corte distrettuale, facendo leva sui criteri direttivi protetto dalla norma incriminatrice, ossia il buon andamento della posti dall'art. 133 c.p., ha specificamente indicato, con motivazione
congrua ed immune da vizi logico-giuridici, le ragioni giustificative del suo
apprezzamento, incentrato su una valutazione di merito riguardo alla
specifica gravità del comportamento delittuoso tenuto nel caso in esame
ed alla personalità dell'imputato, in quanto tale non assoggettabile a
sindacato in questa Sede, ponendosi, di contro, le deduzioni difensive sul
punto formulate nella mera prospettiva di accreditare una diversa ed che giustificherebbero un diverso epilogo decisorio in punto di dosimetria
della pena. 5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle
ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima
equo quantificare nella misura di euro mille. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in
favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, lì, 4 giugno 2015 Il Consigliere estensore Il Presidente alternativa valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali