Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30140 del 04/06/2015
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30140 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: DE AMICIS GAETANO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CONSOLINI RENZA N. IL 10/10/1940
GAMBERINI GIANLUIGI N. IL 19/10/1935
avverso la sentenza n. 2201/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
06/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.4d< A4/9 RiA
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che ha concluso per Udito, per la parte civile, l'Avv., X-0 3,
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I ( t,<-0---e-iPpé' I , -76 Data Udienza: 04/06/2015 ;4/ rz.-ae2-24,0 RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 6 giugno 2014 la Corte d'appello di Firenze
ha confermato la sentenza del Tribunale di Grosseto del 31 maggio 2012, che
dichiarava Consolini Renza e Gamberini Gianluigi colpevoli del reato di cui all'art.
388, comma 2, c.p., condannandoli alla pena di euro novecento di multa, oltre al
risarcimento dei danni subiti dalla parte civile Lazzeri Luana, per avere eluso
l'esecuzione del provvedimento emesso dal Tribunale civile di Grosseto il 7 luglio Lazzeri Luana e Di Paolo Nicola della servitù di passaggio insistente su un
immobile sito in Castiglione della Pescaia, mediante la consegna di copia delle
chiavi del cancello d'ingresso e la rimozione degli ostacoli al passaggio delle
autovetture, cambiando i lucchetti di chiusura del cancello di accesso senza
fornire le relative chiavi alle su indicate persone offese. 2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d'appello ha proposto ricorso
per cassazione il difensore degli imputati, deducendo tre motivi di doglianza il cui
contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato. 2.1. Erronea applicazione, in relazione alla legge penale, dei principii
civilistici in materia di proprietà e di servitù di passaggio, avendo il Giudice
penale errato nella qualificazione dei luoghi e male interpretato la portata
dell'ordinanza cautelare che costituiva il presupposto del procedimento penale,
per avere ritenuto che si trattasse non di una proprietà esclusiva - come è
provato dalla relativa documentazione catastale - ma di un'area condominiale,
poiché diversamente non avrebbe potuto imputare ai ricorrenti di avere
esercitato il comune diritto di un proprietario, ossia quello di chiudere l'accesso
alla proprietà. In tal senso, il Giudice potrebbe essere stato indotto in errore da
false dichiarazioni della stessa parte civile e dei testi da essa dedotti. Sono stati
dunque erroneamente considerati quali ostacoli illeciti ed elusione del
provvedimento giudiziale comportamenti (l'apposizione di un primo e di un
secondo cancello e la loro chiusura con lucchetto) che rientravano invece nel
libero e pieno esercizio del diritto di proprietà degli imputati, confondendo la
servitù di passaggio con il diritto di proprietà di coloro che semplicemente
dovevano consentire, secondo quell'ordinanza, l'accesso alla loro proprietà per il
transito delle autovetture della parte civile. 2.2. Erronea applicazione della legge penale in relazione alla qualificazione
del dolo generico anziché del dolo specifico necessario per la configurazione della
1 2005, che disponeva la reintegrazione del possesso in favore della predetta fattispecie, avuto riguardo alla natura dell'ordine del Giudice civile di cui si
assume la violazione ai sensi dell'art. 388, comma 2, c.p.. Il Giudice penale, sul
punto, avrebbe dovuto tener conto non solo del diritto dei proprietari imputati di
non vedere lesa, diminuita o aggravata la loro proprietà oltre un ragionevole
limite, ma anche dello stato dei luoghi, che in effetti non consentiva un transito
agevole dei veicoli.
Nell'ordinanza, peraltro, mancava un precetto formulato in termini precisi,
idonei a spiegare come dovesse realizzarsi effettivamente quel passaggio; per occorreva un dolo specifico accompagnato dalla prova di un'attività operosa ed in
sè illecita, volta a creare, appunto, l'elusione di cui parla la norma penale. Nel
caso di specie, del resto, esisteva anche un'alternativa, costituita da una rampa
di accesso in cemento di cui è stata esasperata la pericolosità, e che certamente
non era molto più disagevole del passaggio che gli imputati, in relazione allo
stato dei luoghi, potevano consentire attraverso la loro proprietà.
L'esistenza di una alternativa al passaggio che gli imputati potevano
consentire esclude, in definitiva, la presenza di una condotta elusiva, che
comunque non avrebbe dovuto essere connotata da un semplice dolo generico. 2.3. Vizi motivazionali, per mancanza o manifesta illogicità, in relazione alle
deduzioni difensive concernenti lo stato dei luoghi, l'effettività degli ostacoli
asseritamente opposti dagli imputati al transito delle autovetture e la corretta
fornitura delle chiavi per l'apertura dei cancelli e delle catene in loco apposti,
avuto riguardo al pieno diritto degli imputati di disporre la chiusura della loro
proprietà ed agli episodi di danneggiamento e furto che erano stati oggetto di
denuncia al locale Comando dei Carabinieri.
Nel corso del sopralluogo in data 24 giugno 2011, del resto, nulla era stato
effettivamente provato circa la pretesa inidoneità delle chiavi dei cancelli e di una
catenella di ferro quale conseguenza di una volontà elusiva degli imputati, poiché
il cancello si presentava aperto ed il lucchetto arrugginito. 3. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Suprema Corte il 19
maggio 2015 il difensore della parte civile ha esposto ed ampiamente sviluppato
un'articolata serie di argomentazioni critiche volte a confutare la fondatezza dei
motivi di ricorso proposti dagli imputati, chiedendone la declaratoria di rigetto
ovvero di inammissibilità. 4. All'esito dell'udienza, la difesa degli imputati ha invocato la declaratoria di
non punibilità per la speciale tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p.,
2 eludere un ordine così incerto ed approssimativo nei suoi contenuti, dunque, sottoponendo all'attenzione di questa Suprema Corte alcuni aspetti ritenuti a tal
fine rilevanti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Inammissibile deve ritenersi la prima questione oggetto di doglianza, in
quanto non ritualmente dedotta nei motivi d'appello, ma per la prima volta
proposta in questa Sede, per giunta con la pretesa di rivisitare profili storico- esula dai confini del sindacato di legittimità. 2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso devono ritenersi inammissibili, in
quanto sostanzialmente orientati a riprodurre un quadro di argomentazioni già
esposte nei giudizio di merito, ed ivi ampiamente vagliate e correttamente
disattese, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle
risultanze processuali, poiché imperniata sul presupposto di una valutazione
alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio
improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica
conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali
dell'impugnata decisione.
Il ricorso, dunque, non è volto a rilevare mancanze argomentative ed
illogicità ictu °cui/ percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su
scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha
adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del
correlativo tema d'accusa. 3. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in
risalto nella sentenza del Giudice di primo grado, la cui struttura motivazionale
viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un
corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha esaminato
e puntualmente disatteso (nelle pagg. 4-5) la diversa ricostruzione prospettata
dalla difesa, ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai passaggi
motivazionali già esaustivamente delineati nella prima decisione: a) che, rimossi
i vasi di fiori, era stata apposta in loco una catena che impediva l'accesso; b)
che, all'esito del sopralluogo disposto dal Giudice, era emerso che le chiavi
consegnate alle parti civili erano inidonee a consentire l'apertura del lucchetto;
c) che l'apposizione di più ostacoli al percorso per raggiungere l'abitazione delle
parti civili costituiva, anche in ragione del perdurare della situazione di
inottemperanza al provvedimento del Giudice civile e dei ripetuti e formali
3 fattuali correlati al punto in contestazione, il cui accertamento, evidentemente, solleciti dalle persone offese effettuati, la prova più evidente della sussistenza
del dolo generico richiesto per la configurabilità della fattispecie incriminatrice in
esame, motivatamente escludendosi, in punto di fatto, la plausibilità di qualsiasi
giustificazione alternativa dagli imputati al riguardo addotta.
Sulla base di tali premesse, e muovendo da una valutazione complessiva
della vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda, deve rilevarsi come i
Giudici di merito abbiano coerentemente applicato i principii al riguardo
pacificamente fissati da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 11254 del del reato di cui all'art. 388, comma secondo, cod. pen., rimane integrato dalla
cosciente volontà di eludere il provvedimento senza che sia richiesto alcun fine
specifico. 4. Conclusivamente, deve ritenersi che la Corte d'appello ha compiutamente
indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la
configurazione del delitti oggetto del correlativo tema d'accusa, ed ha
evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto
la conclusione che la ricostruzione proposta dalla difesa si poneva solo quale
mera ipotesi alternativa, peraltro smentita dal complesso degli elementi di prova
processualmente acquisiti.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva,
su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e
come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della
correttezza logico-argomentativa.
In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione
del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi
ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse
ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito,
dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l'iter argomentativo ivi
tracciato, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu ()cui/
percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della
motivazione alle correlative acquisizioni processuali. 5. A prescindere dalla questione relativa alla possibilità di rilevare d'ufficio,
in sede di legittimità, la speciale esimente di cui all'art. 131-bis c.p. in caso di
inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza, deve rilevarsi che dalla
motivazione delle decisioni di merito non emergono elementi idonei a configurare
la sussistenza dell'ipotesi di speciale tenuità del fatto, avendo la Corte d'appello
chiaramente posto in rilievo, fra l'altro, il dato della persistenza nel tempo della
4 22/09/1998, dep. 26/10/1998, Rv. 211739), secondo cui l'elemento psicologico condotta delittuosa, ritenuta comunque indicativa di una "scarsa volontà di
adempiere effettivamente alle disposizioni contenute nel provvedimento del
Giudice civile, così da eliminare ogni contrasto con la controparte". Analogo
giudizio negativo sulla condotta degli imputati emerge dalla motivazione della
decisione di primo grado (v. pag. 7), laddove si evidenziano il grave pregiudizio
recato ai diritti della denunziante, unitamente ai notevoli disagi, agli interventi
edili e alle spese che avrebbero potuto essere risparmiate in presenza di un 6. Per le considerazioni su esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma
che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di
euro mille.
Ne discende, altresì, la rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che
vanno complessivamente liquidate secondo le statuizioni in dispositivo meglio
indicate. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quella della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle ammende, nonché a rifondere alla parte civile Lazzeri Luana le
spese sostenute nel grado, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre spese
generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, lì, 4 giugno 2015 Il Consigliere estensore comportamento maggiormente collaborativo da parte degli imputati.