Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30139 del 30/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30139 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FIORITO ROBERTO N. IL 15/12/1957
avverso l’ordinanza n. 221/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
18/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

t

Data Udienza: 30/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 ottobre 2012, la Corte di appello di Ancona,
decidendo quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Fiorito
Roberto, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati
giudicati con le sentenze definitive di condanna emesse dal G.u.p. del Tribunale
di Macerata il 25 giugno 1998 e dalla stessa Corte il 16 giugno 2011, per la

medesimo disegno criminoso.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo
difensore, l’interessato Fiorito, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di
unico motivo, con il quale ha censurato il diniego del vincolo della continuazione
per violazione degli artt. 81, 629 cod. pen. e 671, 674 cod. proc. pen. e per
mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere, pertanto, dichiarato
inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
1.1. La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, comma 2, cod. pen.,
richiede che i fatti siano riferibili a un “medesimo”, dunque originario, disegno
criminoso.
Detta unicità di disegno, necessaria per il riconoscimento della continuazione
in fase di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale
tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita
che implica la reiterazione di determinate condotte criminose. Occorre, invece,
che si abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una
pluralità di reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine
progettati e organizzati, purché siano almeno in linea generale previsti in
funzione di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al
conseguimento di un unico fine, prefissato e sufficientemente specifico.
Deve, pertanto, escludersi che una tale programmazione possa essere
desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui essi
sono maturati. Né l’inciso “anche in tempi diversi”, contenuto nell’art. 81,
comma 2, cod. pen., consente di escludere rilevanza all’aspetto del tempo di
commissione dei reati, non potendo ritenersi che la vicinanza temporale
2

mancanza di elementi probativi della riconducibilità delle distinte condotte a un

costituisca di per sé “indizio necessario” dell’esistenza del medesimo disegno
criminoso, né escludersi che la distanza temporale possa costituire in concreto
un limite logico alla possibilità di ravvisare la continuazione per le difficoltà di
programmazione e deliberazione a lunga scadenza dei singoli episodi criminosi.
1.2. Nella specie, il Giudice dell’esecuzione, che ha preso in considerazione i
reati, cui il ricorrente ha riferito la sua richiesta di unificazione, e i dati di fatto
tratti dalle sentenze in atti, ha logicamente e ragionevolmente valorizzato la non
identità ontologica delle condotte, la diversità delle loro modalità esecutive e la

successiva commissione del reato di calunnia giudicato con altra sentenza di
condanna, sono state ritenute sintomatiche di abitualità criminosa e di scelte di
vita ispirate alla contingente consumazione degli illeciti.
Le linee argomentative dell’ordinanza, congrue sul piano logico e corrette in
diritto, resistono alle censure formulate dal ricorrente, che si risolvono nella
prospettazione, in chiave di contrapposizione argomentativa, della sussistenza
delle condizioni per il riconoscimento della unicità del disegno criminoso,
richiamando gli stessi dati fattuali indicati nell’ordinanza, dei quali hanno
proposto una rilettura e una rivalutazione di merito, inammissibili in questa sede.
2. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto
del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di mille euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

mancanza di contiguità temporale, che, valutate globalmente e unitamente alla

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