Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30136 del 26/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30136 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO PINO N. IL 23/07/1968
avverso l’ordinanza n. 3816/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 26/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/:dite le conclusioni del PG Dott. Ctiv v-tbit4, .\’0..ievytekesa_ i
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/06/2015

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza deliberata il 26 settembre 2014 il Tribunale di Sorveglianza
di Roma rigettava il reclamo proposto da Rizzo Pino avverso il decreto
ministeriale di proroga del regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen..
1.1 Rizzo Pino, ritenuto soggetto stabilmente inserito nella associazione
mafiosa “Cosa Nostra” e capo dei mandamenti di Caccamo e S. Mauro
Castelverde, risulta detenuto in esecuzione di un provvedimento di cumulo che

clandestine nonché una condanna per partecipazione ad associazione per
delinquere di tipo mafioso ed estorsione aggravata.
1.2 Il Tribunale, premessa un’adeguata ricostruzione della tipologia di
intervento demandato dalla legge all’organo giurisdizionale, evidenzia le
principali risultanze fattuali emerse a carico del Rizzo dai procedimenti a suo
carico, dalle dichiarazione della moglie, divenuta collaboratore di giustizia nel
2004, dalla nota dei Carabinieri di Termini Innerese del 2012 e dalla nota
informativa del Ministero dell’Interno del 9 aprile 2014 e ne trae le considerazioni
in punto di “capacità” di mantenimento dei contatti con l’organizzazione
criminale di provenienza.
La prosecuzione del regime detentivo speciale risulta, – dato il livello di
inserimento pregresso nel gruppo criminoso, all’esterno ancora attivo – del tutto
giustificata, ad avviso del Tribunale, sulla base degli elementi di fatto posti a
base del provvedimento di proroga, la cui valenza non è posta in dubbio dai
contenuti delle critiche difensive, conformemente del resto al consolidato
indirizzo di questa Corte di legittimità, secondo cui «l’accoglimento del ricorso
avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui
all’art. 41 bis legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) implica
l’individuazione di elementi specifici e concreti indicativi della sopravvenuta
carenza di pericolosità sociale, che non possono identificarsi con il mero
trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né
essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio
precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario» (Sez. 1, n. 14822 del
03/02/2009 – dep. 06/04/2009, P.G. in proc. Calabro’, Rv. 243736).

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del
difensore – Rizzo Pino, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
Gli elementi posti a carico del Rizzo, in punto di capacità di mantenimento

2-

include una condanna per estorsione consumata e tentata e detenzione di armi

dei contatti con l’organizzazione di riferimento, sono datati e non attuali, e non
considerano che il ricorrente è da tempo detenuto; che la ex moglie, divenuta
collaboratrice di giustizia, non ha rivelato le modalità con le quali il ricorrente
avrebbe operato all’interno della famiglia mafiosa; che il ricorrente è stato
assolto di recente (nel 2010) dall’imputazione di omicidio.
2.1 Mancano quindi specifiche notazioni sulla concreta possibilità del Rizzo di
eludere i controlli correlati al regime ordinario, frutto di mere supposizioni, e
risulta incongruamente svalutato il dato del corretto comportamento

Considerato in diritto

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei
motivi addotti. Come è noto, avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di
Sorveglianza in sede di reclamo circa l’applicazione o la proroga del regime
differenziato di cui all’art. 41 bis ord. pen. è ammesso ricorso per cassazione in
rapporto alla sola violazione di legge (art. 41 bis co. 2 sexies Ord. Pen.).
Ciò determina la possibilità per questa Corte di rilevare solo l’assoluta
carenza di motivazione, intesa come mancanza grafica della stessa o come
redazione di un testo del tutto sfornito dei requisiti minimi di logicità e aderenza
ai dati cognitivi acquisiti, tale da rendere incomprensibile il percorso giustificativo
della decisione. Nel caso in esame ciò non risulta affatto, posto che il Tribunale
ha diffusamente spiegato le ragioni – traendo le sue argomentazioni dal
contenuto del decreto di proroga, dalle sentenze definitive e dalle informative
degli organismi investigativi – per cui si è ritenuto sussistente il «pericolo» di
mantenimento di contatti tra il detenuto ed il contesto criminale di tipo
associativo nel cui ambito sono maturati i fatti oggetto del giudizio.
Tale pericolo è stato rapportato correttamente alla particolare rilevanza del
ruolo svolto storicamente dal Rizzo all’interno dell’organizzazione criminale (per
quanto risulta dai provvedimenti in esecuzione e dalle informative di polizia),
struttura che risulta all’esterno ancora operativa.
Da qui la legittimità delle valutazioni operate, anche in riferimento alla
natura preventiva (in punto di inibizione dei contatti) cui è ispirata la disciplina
normativa in applicazione.
A fronte di ciò le critiche esposte, pur formulate sotto il profilo della assenza
del percorso motivazionale, in realtà ne contestano la persuasività, in rapporto a
circostanze dì fatto non apprezzabili nella presente sede di legittimità in quanto

intramurario.

motivatamente ritenute non decisive (corretto comportamento intramurario,
proscioglimento dall’imputazione di omicidio).

2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2015.

art. 616 cod. proc. pen..

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