Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30134 del 26/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30134 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
XU XIAOMEI N. IL 19/01/1967
CHEN BING N. IL 02/05/1968
avverso l’ordinanza n. 449/2014 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
01/08/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/s’entite le conclusioni del PG Dott. p
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/06/2015

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Venezia,
deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’incidente
proposto nell’interesse di Xu Xìaomei e di Chen Bing il 14 luglio 2014, diretto:
– a far dichiarare inefficace il titolo esecutivo posto a base della detenzione
degli istanti (la sentenza di condanna emessa dall’adita Corte territoriale in data
11 novembre 2003), in quanto la suddetta sentenza non era stata tradotta (e

dagli imputati, entrambi condannati in contumacia, con conseguente violazione
dell’art. 143 cod. proc. pen., sia nell’attuale formulazione introdotta dal d.lgs. n.
32/2014 (che prevede espressamente la traduzione integrale di molti atti, tra cui
appunto la sentenza di condanna) sia nella precedente formulazione, almeno così
come interpretata dalla più avveduta giurisprudenza di legittimità, anticipatrice
della riforma (Sez. 1, n. 7986 del 22/01/2008 – dep. 21/02/2008, RG. in proc.
Omobude, Rv. 239231);
– a disporre la restituzione dei condannati nel termine per impugnare la
suddetta sentenza della Corte di appello di Venezia, avendo gli stessi avuto
effettiva conoscenza della sentenza di condanna solo successivamente al loro
arresto in esecuzione della stessa (e segnatamente il 4 luglio 2014 il Chen Bing e
1’8 luglio 2014 la Xu Xiaomei), in seguito alla nomina di un difensore di fiducia e
la presenza di un interprete al colloquio in carcere con lo stesso.
1.1 II giudice dell’esecuzione argomentava la propria decisione, rilevando:
– quanto all’incidente ex art. 670 cod. proc. pen., sia pure implicitamente,
attraverso il richiamo del contenuto del parere espresso dal Procuratore
Generale, che la notifica dell’estratto contumaciale – eseguita rispettivamente il
17 dicembre 2013 ed il 3 gennaio 2014, mediante consegna dell’atto al difensore
degli imputati – doveva ritenersi valida, in quanto gli imputati, dopo il giudizio dì
primo grado, conclusosi con la loro condanna, sia pure per un reato favoreggiamento – meno grave rispetto a quello – sequestro di persona a scopo
d’estorsione – ritenuto da ultimo con la sentenza di appello, si sarebbero resi
latitanti, non essendo stati rintracciati nel domicilio eletto all’atto della loro
scarcerazione, precisando, quanto alla mancata traduzione della sentenza di
condanna in lingua cinese, che la riforma dell’art. 143 cod. proc. pen. che
prevede la traduzione della sentenza di condanna all’imputato che non conosce
la lingua italiana – è entrata in vigore il 3 aprile 2014, laddove la sentenza è
stata depositata il 21 novembre 2011, e che in assenza di una disciplina
transitoria, in applicazione del principio tempus regít actum, tale disposizione
non può ritenersi applicabile al caso di specie, anche perché, al momento dì

notificata), né integralmente né per estratto, in lingua cinese, l’unica conosciuta

entrata in vigore della novella il termine per impugnare la sentenza di condanna
in appello era ampiamente decorso;
– quanto alla richiesta di restituzione nel termine per impugnare, che
inapplicabile nel presente procedimento,

ratione temporis,

l’istituto della

rescissione del giudicato di cui all’art. 625 ter cod. proc. pen., nel caso di specie
doveva ritenersi decorso il termine perentorio previsto dall’art. 175, comma 2 bis
cod. proc. pen. per la proposizione della richiesta, rilievo pregiudiziale e
preclusivo dell’esame di ogni altra questione, emergendo dagli atti che in data 31

sentenza di condanna della Corte di Appello di Venezia – e che
conseguentemente in detta data gli stessi venivano certamente a conoscenza
dell’esistenza del provvedimento giudiziario in forza del quale veniva disposto il
loro arresto, sicché, non essendo l’ordine di esecuzione uno degli atti dei quali
deve essere disposta la traduzione in lingua comprensibile al destinatario, anche
ammettendo che solo il 4 luglio 2014 e 1’8 luglio 2014 Chen Bing e Xu Xiaomei
abbiano avuto conoscenza del contenuto della sentenza e della sua esecutività,
ciò non di meno l’istanza di restituzione, che non richiede una conoscenza del
provvedimento che si intende impugnare, risultava proposta tardivamente.

2. Avverso l’indicato provvedimento, hanno proposto tempestiva
impugnazione gli interessati, congiuntamente – per il tramite del comune
difensore di fiducia – che ne richiede l’annullamento.
2.1 In particolare, nel ricorso si censura, sotto il profilo della violazione di
legge – sostanziale e processuale – e del vizio di motivazione, l’illegittimità sia
della decisione, per altro sostanzialmente immotivata, di ritenere valida ed
efficace la notifica dell’estratto contumaciale e quindi pienamente efficace il titolo
esecutivo, sia quella di ritenere tardiva l’istanza di restituzione nel termine, ex
art. 175 comma 2, cod. proc. pen..
2.1.1 Quanto alla prima decisione, il difensore evidenzia, con il primo motivo
d’impugnazione dedotto in ricorso, che l’unico argomento sviluppato
nell’ordinanza impugnata che abbia qualche riferimento con la richiesta
principale, formulata ex art. 670 cod. proc. pen., di declaratoria di inefficacia del
titolo esecutivo, contiene un contraddittorio riferimento all’infruttuoso tentativo
di notifica dell’estratto contumaciale agli imputati ed alla regolarità della notifica
di tale atto, nonché un incongruo rilievo in merito alla condizione di latitanza
degli imputati, che in realtà, con la sentenza di primo grado, erano stati
scarcerati ed ai quali era stato altresì concesso il beneficio della sospensione
condizionale.

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maggio 2014 agli imputati era stato notificato l’ordine di esecuzione della

2.1.2 Con il secondo motivo d’impugnazione si ribadisce l’assunto secondo
cui la notifica dell’estratto contumaciale deve ritenersi invalida, per violazione
dell’art. 143 cod. proc. pen., a ragione della mancata traduzione in lingua cinese
di tale atto, non comprendendo gli imputati la lingua italiana, come desumibile,
incontrovertibilmente, dalla nomina di un interprete nel corso del giudizio di
primo grado, richiamando a tal fine pertinenti arresti giurisprudenziali, in merito
all’obbligatorietà della suddetta traduzione, anche nella vigenza della precedente
formulazione della norma.

l’illegittimità per violazione di legge e vizio di motivazione, della decisione del
giudice dell’esecuzione di ritenere tardiva l’istanza di restituzione nel termine per
impugnare, contestandosi, in particolare, l’individuazione del

dies a quo per la

decorrenza di detto termine, nella notifica dell’ordine di esecuzione, sebbene atto
non tradotto in lingua cinese, non considerando il giudice di merito che i
ricorrenti non hanno mai avuto effettiva conoscenza del giudizio di appello non
essendo stati loro notificati gli atti di gravame ed il relativo decreto di citazione e
che neppure l’ordine di esecuzione, in quanto redatto in lingua italiana,
consentiva una conoscenza dell’esistenza della sentenza di condanna.
2.1.4 Entrambi i ricorrenti hanno depositato distinte memorie difensive,
nelle quali si ribadisce, diffusamente, anche in replica alla requisitoria del
Procuratore Generale presso questa Corte, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso, la fondatezza dello stesso e di contro l’illegittimità del provvedimento
impugnato.

Considerato in diritto

1. La motivazione del provvedimento impugnato presenta alcune lacune ed
incongruenze che ne impongono, così come richiesto dai ricorrenti,
l’annullamento con rinvio, sia pure limitatamente alla richiesta di restituzione nel
termine per l’impugnazione della sentenza deliberata nei loro confronti dalla
Corte di Appello di Venezia 1’11 novembre 2013.
1.1 Ritiene infatti il Collegio, quanto alla decisione del giudice
dell’esecuzione di disattendere la richiesta di non esecutività della citata
sentenza, che il pur conciso apparato motivazionale svolto al riguardo nel
provvedimento impugnato sia esente dal denunziato vizio di inosservanza di
norme processuali (artt. 670 e 143 cod. proc. pen.), in quanto, incontestato il
dato che, successivamente alla deliberazione della sentenza di primo grado, gli
imputati sono risultati, di fatto, irreperibili (e non già latitanti, come
incongruamente affermato dal giudice di merito) presso il domicilio dichiarato

2.1.3 Con il terzo ed ultimo motivo d’impugnazione, si deduce, infine,

all’atto della loro scarcerazione (essendosi trasferiti in Slovacchia: pag. 7 del
ricorso), da ciò discende che la notifica dell’estratto contumaciale, eseguita
mediante consegna al difensore, deve ritenersi senz’altro valida, laddove, al di là
delle questioni di diritto intertemporale sollevate dall’intervenuta modifica
dell’art. 143 cod. proc. pen., ad opera del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32, art. 1,
comma 1, lett. b), nessun profilo di nullità di tale notifica può fondatamente
venire denunciato con riferimento alla mancata traduzione dell’della sentenza di
appello in lingua cinese, dovendo trovare applicazione anche nel caso di specie il

di questa Corte di legittimità e ribadito anche in un recente arresto (Sez. 2, n.
12101 del 17/02/2015 – dep. 23/03/2015, Le Wet e altro, Rv. 262773, alla cui
motivazione espressamente si rinvia), secondo cui «l’obbligo di traduzione degli
atti processuali in favore dell’imputato alloglotta che non comprende la lingua
italiana, anche a seguito della riformulazione dell’art. 143 cod. proc. pen., è
escluso ove lo stesso si sia reso, per causa a lui imputabile, irreperibile o
latitante, con conseguente notificazione degli atti che lo riguardano al
difensore».
1.2 Insufficiente deve ritenersi, invece, l’apparato svolto dalla Corte
territoriale per rigettare l’istanza di restituzione nel termine, laddove il giudice
dell’esecuzione ricollega la propria decisione al mero rilievo che ai ricorrenti
risulta notificato il 31 maggio 2014, l’ordine di esecuzione della sentenza di
condanna deliberata nei loro confronti dalla Corte di Appello di Venezia 1’11
novembre 2013.
Al riguardo occorre considerare, infatti, che l’art. 175, comma 2, cod. proc.
pen., come sostituito dal d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con
modificazioni nella legge 22.4.2005, n. 60, disposizione ancora applicabile nel
caso di specie essendo stata l’istanza di restituzione proposta sotto la vigenza
della disciplina anteriore alle modifiche apportate dalla legge 28 aprile 2014, n.
67, riconosce al contumace il diritto alla restituzione nel termine per impugnare
«salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del
provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a
proporre impugnazione o opposizione».
Presupposti della restituzione nel termine per impugnare, premessa la
condizione processuale di contumace degli imputati, sono dunque: l’assenza di
effettiva conoscenza del procedimento ovvero del provvedimento conclusivo; la
mancanza di una volontaria rinunzia a comparire ovvero a proporre
impugnazione.
Il dato testuale non consente dubbi sul fatto che mancanza di conoscenza e
mancanza di rinunzia (a comparire o ad impugnare) siano elementi che possono
sussistere alternativamente per ottenere la restituzione in termini.

principio di diritto, condiviso dal Collegio, ormai prevalente nella giurisprudenza

La norma è difatti confezionata in guisa da escludere il rimedio considerato
solo ove risulti sia la conoscenza sia (“e”) la rinunzia volontaria.
Entrambi detti elementi, quindi, possono essere riferiti, alternativamente,
vuoi al procedimento vuoi al provvedimento conclusivo.
Il provvedimento del giudice dell’esecuzione afferma che nel caso di specie
non ricorrevano ì presupposti per l’accoglimento della richiesta di restituzione nel
termine, in quanto i condannati, pur avendo avuto conoscenza dell’esistenza
della sentenza di appello con la notifica dell’ordine di esecuzione e conseguente

la sentenza di condanna nel termine di trenta giorni, con ciò operando una
riduzione “interpretativa” della portata della norma, non consentita.
Occasione (condanna della Corte EDU), ratio e tenore testuale della norma
richiamata impongono di affermare che la restituzione in termini può essere
negata a mente dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. (vecchia formulazione)
solo al soggetto che abbia avuto effettiva conoscenza del fatto che a suo carico è
stata formalmente elevata una imputazione in relazione alla quale ha diritto a
difendersi e abbia deciso di non partecipare al giudizio su tale imputazione, così
rinunziando al diritto di essere ascoltato dal suo giudice ovvero che avendo avuto
conoscenza del provvedimento conclusivo non abbia provveduto ad una
tempestiva impugnazione dello stesso.
L’art. 175 cod. proc. pen., comma 2 bis, introdotto con la legge n. 17 del
2005, prevede infatti un preciso termine di decadenza per la presentazione della
richiesta per la restituzione nel termine, che decorre dal momento in cui il
condannato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento.
È evidente che il legislatore ha voluto, con tale espressione, fare riferimento
alla sicura consapevolezza, da parte del condannato, della esistenza e della
precisa cognizione degli estremi del provvedimento, collegata alla notizia certa o
alla comunicazione dì un atto formale (nella specie l’ordine di carcerazione) che
consente di individuare senza equivoco il momento in cui tale conoscenza si è
verificata, non potendosi invece lasciare alla discrezionalità del condannato la
scelta del momento in cui prendere cognizione del provvedimento impugnato
sulla base della propria convenienza (in termini, Sez. 2, n. 25041 del
23/06/2005 – dep. 08/07/2005, Kellici, Rv. 231887).
Nel caso in esame, assumendo la Xu Xiaomei ed il Chen Bing,
espressamente, di aver avuto effettiva conoscenza della condanna solo il 4 e 1’8
luglio 2014 in occasione del colloquio con il difensore avvenuto con l’ausilio di un
interprete risultando i predetti imputati, pacificamente, non comprendere la
lingua italiana in cui pure era redatto l’ordine di carcerazione, il giudice
dell’esecuzione, prima di affermare che i ricorrenti sin dal 31 maggio 2014
avevano avuto conoscenza della sentenza impugnata, avrebbe dovuto

incarcerazione, eseguita il 31 maggio 2014, non hanno provveduto ad impugnare

evidentemente verificare la fondatezza della contraria loro deduzione ed
accertare se il primo colloquio con il difensore sia effettivamente avvenuto non
prima delle date da essi indicate.
Alla prova della non conoscenza del procedimento – che in precedenza
doveva essere fornita dal condannato – la novella ha chiaramente sostituito una
sorta di presunzione iuris tantum dì non conoscenza (Sez. 6, Sentenza n. 23549
del 09/05/2006, Kera), ponendo perciò “a carico” del giudice l’onere di reperire
negli atti l’eventuale dimostrazione del contrario (in tal senso, sostanzialmente:

ovvero, più in generale, l’onere di accertare se il condannato avesse avuto
effettivamente conoscenza del provvedimento e avesse volontariamente e
consapevolmente rinunziato ad impugnarlo (tra molte: Sez. 1, 6.4.2006, Latovic;
Sez. 3, n. 17761 del 12.4.2006, Ricci; Sez. 2, n. 15903 del 14/02/2006,
Ahemed). In particolare se è pur vero, come evidenziato da questa Corte in una
propria decisione in argomento (vedi Sez. 1, n. 40323 del 10/11/2006 – dep.
07/12/2006, Funk, Rv. 235982) che a norma del d.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271,
art. 94, comma 1 bis, – che ha carattere generale e riguarda tutte le ipotesi di
ingresso in carcere – il direttore o l’operatore penitenziario erano tenuti ad
accertare, se del caso con l’ausilio di un interprete, che l’interessato avesse
avuto precisa conoscenza del provvedimento che disponeva la carcerazione
nonché ad illustrarne, ove occorrente, i contenuti, nel provvedimento impugnato
manca nel provvedimento impugnato qualsiasi riferimento ad una positiva
verifica dell’avvenuto espletamento di tale attività d’informazione.
L’esigenza di un controllo che incida sulla “effettività” di tutti i meccanismi
processuali coinvolti dalla richiesta di restituzione nel termine, non può non
comportare, un doveroso accertamento in merito alla conoscenza dei contenuto
del provvedimento ed alla volontarietà della mancata impugnazione nel termine
della sentenza di condanna.

3. In conclusione, in presenza delle rilevate insufficienze motivazionali, il
provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio alla Corte di appello
Venezia, perché proceda a nuovo esame della vicenda processuale,
ttenendosi ai principi di diritto innanzi illustrati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla richiesta di restituzione nel
la d-CIOrle di appello di Venezia; rigetta nel
rmine e rinvia per nuovo esamcjeviAa’ r
sto il9 ricorsti. Così deciso in Roma, il 26 giugno 2015.

Sez. 1, 21.2.2006, Halilovic, rv. 233515; Sez. 1, 2.2.2006, Russo, rv. 233137)

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