Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30131 del 24/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30131 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Urso Geremia, nato il 28/02/1981;

Avverso l’ordinanza n. 698/2014 emessa il 04/06/2014 dal G.I.P. del
Tribunale di Roma;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Aurelio
Galasso, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata;

Data Udienza: 24/06/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 04/06/2014 il G.I.P. del Tribunale di Roma,
quale giudice dell’esecuzione, procedeva alla rideterminazione della pena di anni
tre e mesi sei di reclusione e 14.000,00 euro di multa originariamente inflitta a
Geremia Urso con sentenza emessa dallo stesso organo giurisdizionale il
16/11/2012, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., divenuta irrevocabile il
07/12/2012.
Si riteneva, in particolare, che la pena irrogata all’Urso doveva essere

rideterminata nei soli limiti eccedenti la pena edittale prevista dalla norma
dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così come riconfigurata dalla
sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2014, n. 32. Ne conseguiva la
rideterminazione della pena originariamente irrogata all’Urso, ai sensi degli artt.
666 e 673 cod. proc. pen., in anni due e mesi otto di reclusione; veniva, invece,
lasciata immutata la pena pecuniaria di 14.000,00 euro di multa.
Si riteneva, infatti, che la sanzione penale irrogata all’Urso, limitatamente
alla pena della reclusione, non rientrava nei parametri edittali prevista dalla
norma attualmente in vigore, a seguito della sentenza della Corte costituzionale
11 febbraio 2014, n. 32, atteso che veniva individuata una pena base superiore
a quella prevista dalla legge, quantificata in anni sette di reclusione, a fronte del
limite edittale attualmente vigente, stabilito in anni sei di reclusione e 26.000,00
euro di multa.
Queste ragioni processuali imponevano la rideterminazione della pena
originariamente applicata all’Urso nei termini che si sono richiamati.

2. Avverso tale ordinanza Geremia Urso ricorreva per cassazione, a mezzo
dell’avv. Stefano Valenza, deducendo la nullità dell’ordinanza impugnata per
violazione ed erronea applicazione della legge penale, rilevante ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 73 del d.P.R. n. 309
del 1990.
Si deduceva, in particolare, che il giudice dell’esecuzione non doveva
limitarsi a rideterminare la pena sulla base degli attuali parametri edittali, ma
doveva applicare estensivamente un criterio di proporzionalità della sanzione
irrogata al Urso, tenendo conto del fatto che, pur non potendo entrare nel merito
della vicenda processuale, non poteva non tenere conto delle radicali modifiche
dell’attuale normativa.
In questi termini, la sanzione irrogata al Urso doveva ritenersi illegittima,
atteso che la pena base veniva calcolata tenendo conto di parametri edittali che
non si sarebbero dovuti applicare laddove fossero stati rispettati dal legislatore i
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principi costituzionali risultati violati con la sentenza della Corte costituzionale n.
32 del 2014, ai quali non si poteva fare riferimento in termini esclusivamente
aritmetici.
Per queste ragioni processuali, l’ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale
di Roma doveva essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

In via preliminare, deve rilevarsi che l’istanza proposta nell’interesse di
Geremia Urso pone il problema della disciplina applicabile nelle ipotesi in cui si
procede per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, dopo la sentenza
della Corte costituzionale n. 32 del 2014, con cui veniva dichiarata
l’incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, in
quanto ritenuti in contrasto con i principi di ragionevolezza, uguaglianza e
proporzionalità della pena.
Com’è noto, questa pronunzia della Corte costituzionale aveva eliminato con
efficacia ex tunc la disciplina che aveva introdotto un trattamento più severo per
lo spaccio delle cosiddette droghe leggere, ripristinando il più mite trattamento
sanzionatorio previgente.
Sulle conseguenze applicative di questa pronunzia si determinava un
contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte che imponeva l’intervento
delle Sezioni unite (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014, P.M. in proc. Gatto,
Rv. 260700).
La questione che era stata demandata alle Sezioni unite, originariamente,
scaturiva dall’interpretazione della sentenza della Corte costituzionale 5
novembre 2012, n. 251, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 69 cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza
dell’attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Tuttavia, in tale ambito, compulsate sulle conseguenze derivanti dal suddetto
intervento della Corte costituzionale in sede esecutiva, le Sezioni unite si
pronunciavano anche sulle conseguenze della sentenza n. 32 del 2014, nel
frattempo sopravvenuta, affermando i principi di diritto, qui di seguito,
sinteticamente richiamati
Le Sezioni unite, innanzitutto, sulle conseguenze sistematiche prodotte dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, affermavano che, in questo
caso, l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo
oggettivo, in quanto derivante dall’applicazione di una norma di diritto penale
sostanziale dichiarata incostituzionale dopo il passaggio in giudicato della
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1. Il ricorso è fondato.

sentenza, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non
può essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta
dall’art. 27, comma 3, Cost. Infatti, l’illegittimità della pena irrogata costituisce
un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché viene avvertita
come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già determinata dal
giudice nell’esercizio dei suoi legittimi poteri giurisdizionali, ma imposta da un
legislatore che ha violato la costituzione (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014,
P.M. in proc. Gatto, cit.).
Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, qui succintamente

richiamata, le Sezioni unite affermavano il seguente principio di diritto:
«Successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione
d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma
incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la
rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del
giudice dell’esecuzione» (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014, P.M. in proc.
Gatto, cit.).

2.1. A questo intervento chiarificatore ne seguiva un secondo, che
riguardava le ipotesi in cui si discuteva dell’esecutività di una sentenza
intervenuta su concorde richiesta delle parti processuale ai sensi dell’art. 444
cod. proc. pen., assimilabili a quella che si sta considerando in questa sede
processuale (cfr. Sez. un., n. 42858 del 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon,
informazione provvisoria).
In presenza di tali condizioni processuali, occorreva tenere conto dei
parametri ermeneutici affermati nel recente arresto giurisprudenziale delle
Sezioni unite, le quali intervenivano sulla questione, proposta dalla Sezione
penale terza, con ordinanza di rimessione adottata il 18/03/2014, nei seguenti
termini: «Se la pena applicata su richiesta delle parti per delitti previsti dall’art.
73 d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia
divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del
2014 debba essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione».
Si tratta di condizioni processuali che sono certamente ricorrenti nel caso di
specie, tenuto conto del fatto che veniva applicata all’Urso, all’esito del rito
alternativo di cui all’art. 444. cod. proc. pen., la pena di anni tre e mesi sei di
reclusione e 14.000,00 euro di multa, assumendo come pena base detentiva
quella di anni sette di reclusione (cfr. Sez. un., 12/01/2015, P.M. in proc.
Marcon, cit.).
Nel caso in esame, infatti, ci si trova di fronte a un’ipotesi in cui la forbice
sanzionatoria di cui le parti processuali tenevano conto nell’addivenire alla
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formulazione di una richiesta di pena formulata ai sensi dell’art. 444 cod. proc.
pen., prevedeva la pena della reclusione tra sei e venti anni di reclusione e della
multa tra 26.000,00 euro e 260.000,00 euro. Si assumeva, dunque, una pena
base superiore al minimo della pena della reclusione prevista dalla norma
successivamente dichiarata incostituzionale, a seguito dell’intervento della Corte
costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014.
Ne discende che ci si trova di fronte a una pena che supera i limiti edittali
della pena detentiva, con la conseguenza che, nel caso in esame, l’accordo delle

luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014.
A tale questione ermeneutica le Sezioni unite fornivano una risposta
soluzione positiva, precisando che, in questi casi, la pena deve essere
rideterminata attraverso una vera e propria rinegoziazione dell’accordo
precedentemente intervenuto, che dovrà essere ratificato dal giudice
dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione, dunque, viene coinvolto nella
decisione della questione attraverso l’incidente di esecuzione attivato dal
condannato ovvero dal pubblico ministero e in caso di mancato accordo – ovvero
di esito negativo della rinegoziazione effettuata tra le parti – provvederà alla
rideterminazione della pena in base ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.
(cfr. Sez. un., 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon, cit.).
In questa direzione, del resto, non può non rilevarsi che posto che
l’operazione di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. è il frutto di una scelta che il
giudice della cognizione compie, attraverso una discrezionalità guidata, in un
ambito edittale predefinito, è evidente che il mutamento radicale della cornice
derivante dalla declaratoria di incostituzionalità rende necessaria in sede
esecutiva – anche attesa la tipologia di sostanza stupefacente per la quale era
stata concordata la pena applicata all’Urso – una rivalutazione di tale profilo
sanzionatorio, conformemente al seguente principio di diritto: «Per effetto delle
sentenze della Corte costituzionale nn. 251 del 2012 e 32 del 2014, il giudice
dell’esecuzione, ove il trattamento sanzionatorio non sia stato ancora
interamente eseguito, deve rideterminare la pena in favore del condannato pur
se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato,
potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione,
fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di
norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali» (cfr. Sez. 1, n. 53019 del
04/12/2014, Schettino, Rv. 261581).
Ne discende conclusivamente che, in assenza di tale preliminare
rinegoziazione dell’originario accordo delle parti processuali, il G.I.P. del
Tribunale di Roma non poteva autonomamente intervenire sul contenuto del
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parti interveniva su una pena base che non poteva assumersi come legale alla

trattamento sanzionatorio applicato all’Urso ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
(cfr. Sez. un., 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon, cit.) e che tale intervento,ove
si rendesse necessario, non potrebbe limitarsi a ricondurre la pena nei nuovi
limiti edittali senza valutarne la congruità.

3. Per questi motivi, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio
al G.I.P. del Tribunale di Roma affinché provveda a un nuovo esame dell’istanza
proposta nell’interesse di Geremia Urso, conformandosi ai principi che si sono

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di
Roma.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 giugno 2015.

richiamati.

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