Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30130 del 24/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30130 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) LAEZZA Vincenzo, nato a Casoria il 28/02/1976,
2) NOVAZZI Giuseppe, nato a Vernio il 02/02/1942,
avverso l’ordinanza emessa in data 04/11/2014 dal Tribunale di Prato, ex art.
324 cod. proc. pen.

Visti gli atti, l’ordinanza impugnata, i ricorsi;
sentita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato.

Data Udienza: 24/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Prato, investito ex art. 324 cod. proc.
pen. delle richieste di riesame avanzate da Vincenzo LAEZZA e Giuseppe NOVAZZI,
riuniti i procedimenti, confermava i decreti di perquisizione e di sequestro emessi dal
Pubblico ministero in data 12 settembre, 13 settembre e 15 settembre 2014 nei
confronti dei ricorrenti ed altri per i reati di cui agli artt. 12, commi 5 e 8-bis, d. Igs. n.
A ragione osservava:
1.1. che i decreti di perquisizione erano stati emessi a seguito di comunicazioni di
notizie di reato nelle quali si illustravano gli elementi di prova già acquisiti, anche a
mezzo di intercettazioni, in relazione all’esistenza di una rete di soggetti dediti
all’agevolazione dell’immigrazione illegale di cittadini extracomunitari privi di
documenti, cui venivano fornite residenze ed impieghi fittizi; che dagli elementi
acquisiti emergeva la commissione dei reati ipotizzati, per tutti valendo la busta ng in
relazione a periodo in cui la ditta era «chiusa per sequestro preventivo»; che le
perquisizioni così disposte non richiedevano convalida;
1.2. che il materiale sequestrato appariva necessario per lo svolgimento delle
indagini e a fini di prova.
2.

Hanno proposto ricorso Laezza e Novanzi a mezzo dei rispetti difensori,

avvocati Luca Brachi e Cristina Menichetti, entrambi chiedendo l’annullamento
dell’ordinanza impugnata e dei decreti del Pubblico ministero, sia di perquisizione sia
di sequestro.

3. Ricorso avv. Brachi per Laezza.
Premesse, in riassunto, le censure articolate in sede di riesame, si denunzia:
3.1. violazione di legge in relazione alla necessità che il decreto di perquisizione e
sequestro fornisca una sintetica, ma adeguata, indicazione della fattispecie ascritta
all’indagato negli elementi essenziali di azione, tempo, luogo, e consenta così di
verificare se l’attività di ricerca della prova e la prova ricercata è inerente al reato per
cui si procede; mancanza ovvero vizi della motivazione, quindi, sulla adeguatezza e
sufficienza degli elementi posti a base del decreto di perquisizione e sequestro;
violazione degli artt. 257, 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. pen. sia sotto
l’aspetto della omessa integrazione delle lacune del decreto del Pubblico ministero, sia
sotto l’aspetto della apodittica asseverazione di una motivazione in sé insufficiente;
violazione degli artt. 247 e 253 cod. proc. pen. per difetto dei presupposti
legittimanti la perquisizione e il sequestro, indebita utilizzazione del mezzo ai fini della
ricerca dei reati anziché della prova di reati, insussistenza del fumus commissí delictí,
nonché totale mancanza della motivazione sulla pertinenzialità fra il reato cui si
riferisce la ricerca della prova e quanto sequestrato;
3.2. violazione degli artt. 61, 63, 247, 253, 266, 267, 268 e 271 nonché degli

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286 del 1998; 494, 378 e 624 cod. pen.; 2 d.l. n. 463 del 1983

artt. 257, 309, comma 9, e 3214, comma 7, cod. proc. pen., per omessa valutazione,
incidenter tantum, della inutilizzabilità delle intercettazioni (con riferimento a reati che
non consentivano tale mezzo di ricerca della prova e per mezzo di decreti affetti da
vizi motivazionali) e delle dichiarazioni testimoniali (rese da soggetti che avrebbero
dovuto essere sentiti come indagati;
3.3. violazione dell’art. 407 cod. proc. pen. e inutilizzabilità sia delle sommarie
informazioni testimoniali sia dei risultati della perquisizione oggetto di attività

stato, o doveva essere stato, iscritto nel registro delle notizie di reato, noinché
mancanza di motivazione sulle relative eccezioni formulate nei motivi di riesame e in
udienza;
3.4. vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti in
capo, in particolare, al ricorrente e travisamento al proposito dei dati probatori
acquisiti (in specie, intercettazioni nn. 191, 194 e 199 del 12/07/2011, n. 218 del
13/07/2011, del 26-27/07/2011; del 2-5/08/2011, del 2/09/2011, del 4/08 e del
5/08/2011; CUD 2011 riferito a Jin Golin; modelli dichiarativi Diabolika s.r.l. e TMA;
dichiarazioni Piras).
3.5. Con memoria trasmessa in data 4 maggio 2015, il difensore riassume i motivi
del ricorso ed insiste per il suo accoglimento.
4. Ricorso avv. Menichetti per Novanzi.
Si denunzia:
4.1. mancanza di motivazione e violazione degli artt. 253 e seguenti e 125 cod.
proc. pen., per omessa pronuncia sulla censura concernente la nullità – illegittimità del
decreto di perquisizione e sequestro per mancata indicazione nello stesso del tempo di
commissione del reato; con grave pregiudizio dell’esercizio del diritto di difesa,
essendosi in tal modo preclusa all’indagato, commercialista, la possibilità di ricostruire
i fatti e di verificare elementi pertinenti a suo favore; e indebita sottoposizione a
sequestro di cose sicuramente non riferibili a reati, avendo la Guardia di Finanza, in
assenza di documentazione pertinente, estratto copia integrale di tutti i

file dei

computer dello studio professionale, contenenti i dati sensibili di tutti i clienti del
professionista;
4.2. mancanza di motivazione, violazione degli artt. 247 e seguenti e 125 cod.
proc. pen., mancanza di vincolo pertinenziale ed eccesso di delega, nonché omessa
pronunzia sulla censura con la quale si lamentava, appunto, che la Polizia giudiziaria
non si era limitata a sequestrate documenti o file relativi agli indagati, ma aveva
sottoposto a sequestro tutti gli hard disk dei computer dell’ufficio, contenenti dati
riferibili a clienti estranei ai reati ipotizzati;
4.3. mancanza di motivazione sul fumus delicti, violazione degli artt. 247 e
seguenti e 125 cod. proc. pen., non essendosi data risposta alle deduzioni difensive
con le quali si evidenziava: che il Novazzi non si occupava del lavoro degli impiegati
nelle aziende, non aveva la qualifica di consulente del lavoro e non era socio del

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d’indagine espletata ad oltre tre anni di distanza dal momento in cui il ricorrente era

Laezza che rivestiva tale qualità, non poteva avere elaborato buste paga fittizie né
personalmente né tramite la Vi.Sa cui non partecipava, le intercettazioni non solo non
erano inutilizzabili, ma erano anche prive di valenza probatoria, l’unico colloquio di un
qualche interesse risultando del tutto equivoco e intrattenuto non con il Novazzi ma
con la sua segretaria; carenza assoluta di motivazione, inoltre, anche
sull’individuazione dei concreti indizi di commissione di reato: l’unico episodio preso in
considerazione concernendo altra coindagata, dello studio Visconti, con la quale il
valutato come indiziario (perché le buste paga si riferiscono notoriamente al mese
precedente e i lavoratori hanno diritto alla retribuzione anche durante il periodo in cui
l’azienda non opera per cause a lui non imputabili).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

I ricorsi appaiono fondati nei termini che seguono, con riferimento alla

pronunzia concernente il sequestro.
2. Nella motivazione del provvedimento impugnato, dopo una breve esposizione
delle ragioni che si riteneva legittimassero la perquisizione mediante sostanziale rinvio
al «seguito di cnr del giugno 2014» (riportata in Fatto al par. 1.1.), si afferma, con
riferimento al sequestro, esclusivamente che «Quanto sequestrato appare necessario
allo svolgimento delle indagini ed alla acquisizione della prova».
3. Occorre perciò, anzitutto ricordare che avverso il decreto di perquisizione, in
sé, non è esperibile riesame, anche se, qualora la perquisizione sia finalizzata al
sequestro e i due decreti siano inseriti in un unico contesto, il riesame può coinvolgere
anche la perquisizione nella misura in cui risulti la stretta interdipendenza delle due
statuizioni, e nei limiti, perciò, di un’indagine strumentale all’accertamento della
legittimità del sequestro medesimo. Resta, tuttavia che come, in sede di riesame non
possono essere presi in considerazione i motivi che costituiscono autonoma censura
della perquisizione, così non può dedursi con il ricorso per cassazione censura che
attenga esclusivamente ai presupposti e alla legittimità del decreto di perquisizione.
Improponbili sono dunque le doglianze riferite al fatto che – secondo la tesi
difensiva – la perquisizione sarebbe risultata volta alla ricerca di reati, anziché alla
acquisizione della prova di reati che vi era fondato motivo di ritenere sussistenti.
4.

Fondate sono invece le censure riferite alla sostanziale mancanza di

motivazione per la conferma del sequestro, che consiste in una petizione di principio,
nonostante l’ablazione si riferisse a una massa di documenti, a dotazioni informatiche
e ad archivi professionali che non è in alcun modo possibile ritenere all’evidenza
sicuramente riferibili, tutti indistintamente, agli illeciti ipotizzati.
Né risulta, ai fini dei principi affermati da Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Rv.

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ricorrente non aveva intrattenuto rapporti, ed essendo stato per altro illogicamente

239397, se di detti documenti, supporti e files sia stata estratta copia con restituzione
degli originali e delle dotazioni informatiche agli interessati.
5. L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio al Tribunale di
Prato perché proceda a nuovo esame fornendo della sua decisione giustificazione non
apparente.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Prato.
Così deciso il 24 giugno 2015
Il consigliere

ensore

Il Presidente

P.Q.M.

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