Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30129 del 24/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30129 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Catanzaro nei confronti di:
1) Grappa Paolo, nato il 28/07/1975;

Avverso l’ordinanza n. 1128/2014 emessa il 15/01/2015 dal Tribunale del
riesame di Catanzaro;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Francesco
Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 24/06/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 03/11/2014 il G.I.P. del Tribunale di Paola applicava
la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Paolo Grappa, per il delitto
di cui agli artt. 56, 575 cod. pen., commessi in danno di Vittorio Scognamiglio il
31/10/2014, che tentava di uccidere colpendolo con un coltello a serramanico al
volto e in altre parti del corpo.

Tribunale del riesame di Catanzaro, deducendo, quale unico vizio del provvedimento
impugnato, esclusivamente l’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari
rispetto alla gravità dei fatti delittuosi che venivano contestati al Grappa.
Tale gravame veniva rigettato dal tribunale del riesame adito con ordinanza
emessa il 15/01/2015, con la quale, pur riconoscendosi il pericolo di reiterazione del
reato contestato all’indagato, determinato dal clima di esasperata conflittualità
personale esistente tra il Grappa e lo Scognamiglio, si deduceva che il regime
restrittivo applicato doveva ritenersi idoneo a salvaguardare la vittima e a impedire il
reiterarsi di condotte violente nei suoi confronti, attesa la mancanza di contatto
personale tra i due soggetti, conseguente al fatto che i due soggetti risiedevano in
comuni differenti.
Queste ragioni processuali imponevano il rigetto dell’impugnazione proposto dal
pubblico ministero.

3. Avverso tale ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Catanzaro ricorreva per cassazione, deducendo vizio di motivazione, rilevante ai
sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 274,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Si deduceva, in particolare, l’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari
applicata al Grappa, che non teneva conto delle emergenze del caso concreto, con
specifico riferimento alla circostanza che l’indagato e la vittima abitavano in un
centro di modeste dimensioni topografiche, inidonee a scongiurare la possibilità di
incontri tra i due soggetti e a impedire la reiterazione del reato, per fronteggiare la
quale l’indagato era stato arrestato.
Si riproponevano, in tal modo, le stesse censure processali che erano state
proposte dallo stesso ricorrente davanti al Tribunale del riesame di Catanzaro con il
gravame che aveva determinato l’emissione del provvedimento oggetto di
impugnazione.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza
impugnata.
2

2. Avverso tale ordinanza il pubblico ministero proponeva appello davanti al

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, deve rilevarsi che le Sezioni unite di questa Corte hanno
già avuto modo di chiarire che, in tema di misure cautelari personali, allorché
«sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in

ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni
che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (cfr. Sez. un.,
n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828).
Né potrebbe essere diversamente, atteso che il mezzo di gravame ha la
funzione, come strumento processuale finalizzato all’impugnazione di un atto,
ancorché atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con
riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai
presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo. Ne
consegue che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto
di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dalla stessa
disposizione, a sua volta ispirata al modello processuale dell’art. 546 cod. proc.
pen., con gli adattamenti necessari dal particolare contenuto della pronuncia
cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento di una
qualificata probabilità di colpevolezza, così come affermato dalle Sezioni unite in
un risalente intervento chiarificatore (cfr. Sez. un.„ n. 11 dell’08/07/1994, Buffa,
Rv. 198212).
Questo orientamento ermeneutico, dal quale questo Collegio non intende
discostarsi, da ultimo, ha trovato ulteriore conforto in pronunzie più recenti di
questa Corte, che si ritiene di dovere ribadire (cfr. Sez. 4, sent. n. 26992 del
29/05/2013, PM in proc. Tiana, Rv. 255460).
A questi principi di diritto ci si dovrà conformare nella verifica della validità
dell’ordinanza cautelare impugnata dal Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Catanzaro, sia con riferimento ai requisiti formali previsti dall’art. 292
cod. proc. pen., sia con riferimento ai criteri enucleati degli artt. 273, 274, 275,
280 cod. proc. pen. per l’applicazione del provvedimento restrittivo emesso nei
confronti del Grappa dal G.I.P. del Tribunale di Paola.

3

relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso

2. Fatta questa indispensabile premessa, innanzitutto deve rilevarsi che
risulta destituito di fondamento l’assunto processuale dal quale prende le mosse
il ricorrente, secondo il quale il Tribunale del riesame di Catanzaro non avrebbe
correttamente valutato i pericoli di reiterazione del reato, connessi al fatto che il
Grappa e lo Scognamiglio abitano in centri territorialmente limitrofi, con
conseguente violazione dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Deve, in proposito, rilevarsi che, secondo il giudice del gravame, la misura
cautelare degli arresti domiciliari, limitando significativamente la libertà

di reiterazione del reato, anche in considerazione del fatto che i centri dove
risiedevano i due soggetti – l’indagato e lo Scognamiglio – erano differenti, con
la conseguenza che non si porrebbero le condizioni per porre in pericolo la
sicurezza personale della vittima del tentato omicidio in contestazione.
Né potrebbe essere diversamente, atteso che l’idoneità della misura
cautelare applicata non può porsi in dubbio sulla base dell’astratta e non
dimostrata possibilità che l’indagato possa allontanarsi dal domicilio e
commettere ulteriori reati della stessa specie di quelli per i quali si procede,
conformemente a quanto stabilito da questa Corte, secondo la quale: «In tema
di scelta delle misure cautelari l’astratta possibilità che per l’inefficacia dei
controlli l’indagato possa allontanarsi dal domicilio non vale ad escludere
l’idoneità degli arresti domiciliari a prevenire il pericolo di reiterazione di reati
della stessa specie» (cfr. Sez. 4, n. 2449 dell’11/10/1996, PM in proc. Alice, Rv.
206441).
In questa prospettiva ermeneutica, non può non condividersi l’assunto
processuale posto a fondamento del provvedimento impugnato, laddove, a
pagina 3, a proposito dell’idoneità della misura cautelare applicata nei confronti
dell’indagato, si afferma: «Peraltro, anche a voler dare credito alle sollecitazioni
del pubblico ministero in ordine alla estrema pericolosità del Grappa dal quale
occorrerebbe salvaguardare altri malcapitati, non si capirebbe come la misura
cautelare degli arresti domiciliari involgendo una pesante limitazione della libertà
personale del prevenuto non sia idonea, non meno della misura custodiale in
carcere, ad impedire in radice la nascita delle condizioni per la reiterazione di
condotte violente del prevenuto».

3. Per queste ragioni, il ricorso proposto dal pubblico ministero deve essere
dichiarato inammissibile.

4

personale del Grappa, doveva ritenersi idonea a neutralizzare eventuali pericoli

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 giugno 2015.

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