Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30127 del 24/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30127 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da RJAB Hicham, nato in Tunisia il 04/05/1977
avverso l’ordinanza emessa in data 08/08/2014 dal Tribunale di Messina.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato Monica Marciano per il ricorrente, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

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Data Udienza: 24/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe il Tribunale di Messina investito ex art. 309
cod. proc. pen., della richiesta di riesame proposta dall’indagato RJAB Hicham,
ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 24
luglio 2014 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere, in
relazione ai reati: (a) di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione
clandestina, (b) di omicidio volontario di 19 migranti e (c) di omicidio
preterintenzionale di almeno altri 10 migranti, tra di cui un bambino di circa
stregua di omicidio volontario, così unitariamente riferito al decesso di almeno
29 migranti (b + c).
Più in particolare, il RJAB è accusato di avere, assieme ad altri soggetti, (a)
ponendosi alla guida della imbarcazione che trasportava numerosi cittadini
extracomunitari, provenienti dalla Libia, con destinazione Lampedusa, favorito
l’immigrazione clandestina di costoro, a fine di profitto e sottoponendoli a
trattamenti inumani e degradanti, con pregiudizio per la vita e la incolumità dei
trasportati; (b) concorso a cagionare la morte per asfissia di 19 dei trasportati„
costretti con violenza a non uscire dalla stiva in cui erano rinchiusi; (c) concorso
a cagionare, altresì (colposamente, quale evento non voluto, secondo l’originaria
impostazione accusatoria recepita nell’ordinanza del G.i.p.; quale evento voluto
secondo il Tribunale del riesame), la morte per annegamento di numerosi altri
trasportati, accoltellati e gettati in mare ovvero comunque gettatisi in mare per
effetto e a causa delle condotte dei loro aguzzini, nel vano tentativo di trovare
salvezza.
A ragione della decisione, il Tribunale – dichiarate infondate le questioni
procedurali consistenti, tra l’altro e per quanto interessa ai fini del ricorso, la
carenza della condizione di procedibilità costituita dalla richiesta del Ministro e la
nullità dell’ordinanza cautelare per violazione dell’art. 143 cod. proc. pen. osservava che gravi indizi di colpevolezza del ricorrente in ordine al ruolo di
conducente della nave e collaboratore del capitano della nave, complice dei
mercanti di migranti e concorrente negli omicidi, emergevano con certezza dai
riconoscimenti effettuati e dalle dichiarazioni rese, tra l’altro, da TAREK ALHAOUL
(che aveva assistito all’ordine impartito dal capitano al ricorrente di aumentare la
velocità per far ribaltare la nave e simulare la morte per annegamento delle
persone rinchiuse nella stiva e già decedute per asfissia, e all’esecuzione di tale
ordine ad opera del ricorrente, che aumentando la velocità aveva fatto oscillare
paurosamente la nave costringendo molti passeggeri a gettarsi in mare), nonché
da KIKI MOHI EDDIN (che aveva riconosciuto nell’indagato uno dei piloti del
barcone e uno dei “boss” che controllavano le persone chiuse nelle stive),
MHMAD DIBTAL (che lo aveva riconosciuto come lo “scafista” con cui aveva
avuto una colluttazione nel vano tentativo di farlo desistere dalle manovre che
ostacolavano il salvataggio), BINAN TILLAN (che lo aveva riconosciuto come lo
“scafista” che aveva effettuato le manovre per impedire i soccorsi), NASER HADE

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quattro anni: espressamente riqualificando tuttavia anche tale ultimo delitto alla

(che pure lo aveva riconosciuto come pilota e responsabile delle manovre già
riferite), SOW THIERNO (che l’aveva riconosciuto come uno dei piloti e di coloro
che tenevano i migranti segregati nelle stive, togliendo la scala e chiudendo la
porta); dalla appurata familiarità esistente tra di lui e gli altri membri
dell’equipaggio; dal possesso di un telefonino cellulare; dalle indicazioni a suo
carico provenienti dal coindagato ZAHI (che l’aveva indicato come addetto ai
motori).
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso RJAB HICAM
esclusivamente la sua firma, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con il primo motivo denunzia vizi della motivazione e violazione di
legge per inosservanza degli artt. 10, comma secondo, cod. pen. e 342 cod.
proc. pen., sostenendo che la richiesta di procedimento, costituente atto non
politico ma emesso nell’esercizio di un potere politico, doveva essere emessa dal
Ministro e non poteva dunque promanare, come quella emessa in data 22 luglio
2014, non dal Ministro e neppure dal Direttore Generale della Direzione generale
della Giustizia penale, ma da magistrato addetto all’ufficio, la dott.ssa Allegra
Migliorini, che neppure indicava la fonte del suo potere e non risultava provvista
da specifica delega.
2.2. Con il secondo motivo denunzia inosservanza degli art. 143 cod. proc.
pen., come modificato dal d.lgs. n. 32 del 2014, e 111 Cost. nonché dell’art.
178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., lamentando la violazione del diritto
dell’imputato alloglotta ad essere immediatamente e dettagliatamente informato
in lingua a lui nota dell’accusa; ad essere assistito nel corso dell’intero
procedimento da un interprete; ad essere assistito gratuitamente da un
interprete per conferire con il suo difensore prima di rendere interrogatorio o di
presentare richieste. Non era vero, in particolare che al detenuto era stata data
la possibilità di avere un colloquio con il difensore con l’assistenza di un
interprete prima dell’udienza di convalida. E il volenteroso tentativo del difensore
di provare comunque ad abbozzare una difesa non era comunque sufficiente a
rendere inoperante il diritto soggettivo perfetto all’assistenza gratuita
dell’interprete, nel caso di specie, appunto, violato.
2.3. Con il terzo motivo deduce vizi della motivazione in ordine alla gravità
indiziarla in relazione al capo 2 (relativo alla contestazione per omicidio
volontario dei passeggeri rinchiusi nella stiva e deceduti per asfissia).
Evidenzia, in particolare, che se sugli accoltellarnenti esistevano
effettivamente gravi indizi di colpevolezza, sia pure con riferimento ad altri
soggetti più o meno identificati, la richiesta del difensore di conoscere quanti e
quali passeggeri, dei 28 deceduti, sarebbero effettivamente morti per
intossicazione da monossido di carbonio aveva trovato risposte vaghe e prive di
elementi di sostegno, solo per un passeggero, quello deceduto in ospedale
risultando effettivamente diagnosticato il decesso per detta causa.
2.3. Con il quarto motivo denunzia infine vizi di motivazione in ordine alla

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personalmente, con atto redatto in lingua italiana che reca in calce

sussistenza di gravi indizi con riferimento ai fatti al capo 3 (oggetto di
contestazione come omicidio preterintenzionale e riqualificati alla stregua di
omicidio doloso). Le stesse dichiarazioni della madre della vittima consentivano
di ricostruire l’accaduto in termini di mera, imprevedibile, fatalità. Dalle
dichiarazioni acquisite in incidente probatorio era inoltre emerso che nessuna
manovra pericolosa era stata compiuta dal ricorrente, tale da indurre i
passeggeri a buttarsi in acqua; erano stati invece la risalita di quelli presenti
nella stiva sul barcone e lo stato del mare che l’aveva reso instabile. E di tali

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il primo motivo di ricorso, pregiudiziale, con cui si
contesta la validità della richiesta di procedimento ai sensi dell’art. 10, secondo
comma, cod. pen. e la violazione dell’art. 342 cod. proc. pen., è quantomeno
infondato.
Richiesta di procedimento, autorizzazione a procedere, e querela
costituiscono, in linea generale e dal punto di vista oggettivo e funzionale,
condizioni per il promovimento dell’azione penale ed hanno dunque natura non
amministrativa ma squisitamente processuale, pur quando provengano a parte

subiecti da un organo dell’apparato di governo o amministrativo (C. cost. sent.
n. 409 del 2000, sulla inesistenza, per tale ragione, dell’obbligo di motivazione
della richiesta del comandante di corpo, che richiama sulla natura di atti
consimili le pronunce nn. 467 del 1995; 238, 293 e 295 del 1992; 397 del 1987,
nonché, in relazione alla natura e all’assimilabilità della richiesta di procedimento
alle altre condizioni di procedibilità, sentenza n. 142 del 1973), che tipicamente
implicano «una valutazione di politica opportunità» sulla utilità dell’azione
penale.
La richiesta di procedimento rappresenta, dunque, atto assolutamente
discrezionale – non suscettibile d’autotutela, non revocabile (tali facoltà,
diversamente che nella querela, non essendo previste da alcuna norma) e non
sindacabile – interamente rimesso alla scelta del Ministro della Giustizia in base
al «principio generale» (così si esprime C. cost. n. 142 del 1973) che esso
Ministro rappresenta «l’organo tecnicamente qualificato e politicamente idoneo a
presiedere alle relazioni tra il Governo e l’Amministrazione della giustizia,
esplicando a tal fine il potere di dare o rifiutare le autorizzazioni a procedere,
nonché di fare istanza e richiesta di procedimento nei casi previsti dalla legge».
Tanto chiarito, nulla vieta o contraddice la possibilità che l’esercizio della
relativa potestà sia delegata dal Ministro ad articolazioni tecniche del suo
apparato.
Deve per conseguenza ritenersi che compete al Ministro la facoltà, parimenti
insindacabile, di delegare tale atto e che è valida ed efficace la richiesta di
procedimento sottoscritta da un Direttore generale come da qualsiasi altro
funzionario del Ministero della Giustizia in virtù di espressa delega

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elementi il Tribunale aveva completamente omesso ogni considerazione.

amministrativa, anche di carattere generale, conferitagli dallo stesso Ministro
(cfr., per le medesime conclusioni, seppure in base ad argomenti in parte
divergenti: Sez. 2, n. 1173 del 05/03/1999, D’Annbrosio, Rv. 212980; Sez. 1, n.
19678 del 03/03/2003, Figini, Rv. 225745).
Sicché nel caso in esame la richiesta di procedimento risulta ritualmente
sottoscritta da magistrato dell’ufficio competente, in virtù della delega conferita
in data 28 febbraio 2014 dal Ministro in carica (con atto prot. DAG. 03/03/2014.
0032392.E), concernente appunto le richieste di cui agli artt. 9 e 10 cod. pen. da
formulare nei casi di urgenza, ed espressamente riferita alle ipotesi di arresto in

2. Le doglianze sviluppate nel secondo motivo, relative all’asserita violazione
del diritto dell’imputato all’assistenza di un interprete al fine di colloquiare con il
difensore e di esercitare compiutamente il suo diritto di difesa, sono
inammissibili.
Il Tribunale ha al proposito osservato: che «benché la nomina di un
interprete designato per i colloqui col difensore sia stata effettuata dalla Procura
solo in data 31 luglio, l’indagato era stato già messo dal Giudice procedente in
condizione di colloquiare col proprio legale con l’assistenza gratuita
dell’interprete nominato in sede di convalida, come risulta dal verbale di udienza,
prima, quindi, di rendere interrogatorio di garanzia»; che nel verbale di udienza
si dava atto di «una sospensione concessa dalle ore 11,33 alle ore 13,11 per
consentire il colloquio del difensore con l’arrestato con l’ausilio dell’interprete e
della successiva dichiarazione dell’avvocato, che asserisce di essere riuscito a
parlare in maniera comprensibile con il proprio assistito»; che la nomina
dell’interprete era tempestiva per l’attività difensiva successiva, avendo il
ricorrente avanzato richiesta di riesame in data 10 agosto ed articolato motivi
all’udienza dell’8 agosto, contestando anche nel merito l’accusa. Coerente con i
dati esposti ed in diritto ineccepibile è dunque la conclusione che non risultava
recato alcun

vulnus

all’esercizio informato del diritto di difesa ad opera

dell’imputato, comunque posto in grado di godere dell’assistenza di un interprete
sia per la fase della convalida sia per il giudizio di riesame.
E poiché né all’art. 104, comma 4-bis, né all’art. 143 cod. proc. pen. sono
collegate nullità formali specifiche, è evidente che la eventuale sanzione
configurabile è esclusivamente quella prevista dall’art. 178, comma 1, lett. c),
cod. proc. pen., concernente la violazioni delle disposizioni concernenti
l’assistenza dell’imputato: che postula, tuttavia, che una qualche effettiva lesione
di tale diritto possa dirsi realizzata. Mentre non solo, in base a quanto
ineccepibilmente osservato nel provvedimento impugnato, nessuna lesione
risulta in concreto prodotta nel caso di specie, ma in relazione all’esistenza di un
qualche effettivo pregiudizio il ricorso è anche del tutto generico, limitandosi a
confutare apoditticamente le puntuali osservazioni del Tribunale senza nulla
allegare sulle esistenza di argomenti o deduzioni non potute sviluppare o di una
qualsivoglia altra lacuna difensive addebitabili a specifica carenza di informazione

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flagranza o di fermo in cui occorreva procedere a convalida in tempi ristretti.

sul contenuto dell’accusa.

3. Passando alle questioni concernenti i reati contestati, deve invece, in via
preliminare, evidenziarsi che il Tribunale del riesame ha ritenuto di dovere
riqualificare il reato di omicidio preterintenzionale contestato al terzo capo
d’accusa in omicidio volontario.
Non può però ritenersi che, così facendo, si sia limitato a dare,
legittimamente (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617), una
diversa “qualificazione giuridica” al medesimo “fatto” oggetto della contestazione

Anche a tali fini vale, invero, la nozione di “fatto” elaborata in tema di art.
649 cod. proc. pen. e di modifica dell’imputazione ai sensi degli artt. 516 – 518 e
521, 522 cod. proc. pen., che va riferita alla fattispecie giuridicamente rilevante,
comprensiva non solo di evento (ove si tratti come nel caso in esame di reato
d’evento) ma anche di condotta nelle sue componenti sia di azione sia di
elemento soggettivo.
Per conseguenza, in relazione a una incolpazione riferita alla causazione
della morte di alcune persone, testualmente, «quale conseguenza non voluta», la
riconduzione del fatto ad omicidio volontario, che postula al contrario la morte
quale “conseguenza voluta”, ha comportato non una semplice diversa definizione
giuridica del medesimo fatto, ma un mutamento del fatto in relazione ad un
aspetto centrale, la volontà dell’evento (nel caso in esame presupponente altresì
una diversa ricostruzione della sequenza causale), non oggetto di contestazione.
E tanto non era consentito fare al Tribunale del riesame (cfr., in parte
motiva, Sez. U. Di Francesco, cit.), che non ha il potere di modificare l’accusa in
senso sostanziale e di confermare la misura per un fatto diverso, e decisamente
più grave, rispetto a quello oggetto della contestazione cautelare, così
indebitamente sostituendo la sua iniziativa a quella spettante, in via esclusiva, al
Pubblico ministero e violando il principio del contraddittorio.
5. Inammissibili perché manifestamente infondate e generiche sono invece
le censure con cui si contesta, nel merito, la gravità e sufficienza del complesso
indiziario poste a base della misura.
Il provvedimento impugnato dà, ineccepibilmente, conto di una ampia e
univoca base indiziarla costituita, come si è già evidenziato in

Fatto, dalle

dichiarazioni e dai riconoscimenti di numerosi migranti trasportati e dalle
dichiarazioni accusatorie rese da un coindagato, tutte confortate dalla appurata
familiarità esistente tra il ricorrente e i piloti del peschereccio, dal possesso di un
telefonino cellulare, dalla implausibilità e contraddittorietà delle sue dichiarazioni.
Generiche sono quindi le censure relative alla imputazione delle morti per
intossicazione da ossido di carbonio, in ragione altresì della mancata
individuazione di precisi nessi causali tra il comportamento addebitabile
all’imputato in relazione alla morte dei migranti rinchiusi nella stiva e alla
mancata individuazione di quanti effettivamente dei passeggeri sarebbero morti

6

cautelare.


per intossicazione. Del tutto correttamente il provvedimento impugnato ha
osservato al proposito che risultava incontrovertibilmente dagli atti che la scelta
di rinchiudere nella stiva i passeggeri che avevano sborsato le somme minori era
stata una precisa scelta organizzativa, mantenuta ferma anche quando era
evidente che i trasportati avevano difficoltà a respirare; che diciotto soggetti
erano stati trovati, morti, nella barca ed un altro, sempre trovato sulla barca, era
deceduto nel tragitto. Per costoro era dunque da escludere la morte per
annegamento e davvero irrilevante risulta l’assenza, al momento del riesame,
della verifica autoptica su tutti i cadaveri, assolutamente plausibile risultando,
e dunque egualmente riferibile a condotta attribuibile a titolo di concorso
all’indagato, e del tutto inverosimile (e neppure in concreto ventilata) apparendo
di contro la possibilità di un tale contemporaneo e massivo decesso per “cause
naturali”.
6. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio
limitatamente alla qualificazione del reato al capo 3) alla stregua di omicidio
volontario anziché preterintenzionale, e va ripristinata detta originaria
imputazione.
Per il resto, il ricorso deve essere rigettato.
Non comportando la presente decisione la rinnessione in libertà del
13 ce

toai

ricorrente, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1
ter, disp. att. cod. proc. pen.

Chm4

73.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla qualificazione

0 a.

E5

!)— d

del fatto di cui al capo 3), che ripristina in quella originaria di omicidio
preterintenzionale.
Rigetta nel resto il ricorso.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, dìsp att.
cod. proc. pen.
Così deciso il 24 giugno 115

allo stato, l’ipotesi di morte comunque dovuta a soffocamento o ad intossicazione

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