Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30126 del 24/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30126 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LARHZOULI JAOUAD N. IL 01/02/1980
avverso l’ordinanza n. 235/2014 GIP TRIBUNALE di VICENZA, del
29/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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<, e cA bkA 0L Uditi difensor Avv.; h' Q Gy, ` st-k i ) uH,ev_pLt wr 1,? ( Data Udienza: 24/06/2015 RILEVATO IN FATTO 1. Con ordinanza del 29 settembre 2014, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Vicenza, in funzione di giudice dell'esecuzione, accoglieva l'istanza presentata da Larhzouli Jaouad, diretta ad ottenere la rideterminazione della pena in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2004 che, per i delitti previsti dall'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle "droghe leggere", aveva determinato la reviviscenza della normativa antecedente la riforma Fini-Giovanardi. Esponeva che a Larhzouli, con sentenza del 15 dicembre 2011 (irrevocabile 11 aprile 2013), era stata per il rito ad anni due mesi sei di reclusione ed euro 12.000 di multa. la pena era stata determinata partendo da anni sette mesi sei di reclusione ed euro 30.000 di multa, per il reato più grave (capo F) di acquisto illecito di hashish, diminuita di un terzo per le attenuanti generiche, ridotta ad anni due di reclusione ed euro 12.000 di multa per la collaborazione prestata, aumentata per la continuazione interna al capo F di mesi sei di reclusione ed euro 3000 di multa; ulteriormente aumentata per cinque episodi connessi all'hashish, un reato di acquisto e cessione di cocaina, un reato di calunnia 2. Nell'ambito di una articolata motivazione il giudice dell'esecuzione affermava che la rideterminazione della pena non poteva esaurirsi in una trasposizione matematica dei calcoli riportati in sentenza nel quadro dei nuovi limiti edittali e si riteneva libero di spaziare nel quadro delle pene edittali oggi in vigore, sia nella determinazione della pena base, sia nella valutazione delle diminuzioni e degli aumenti di pena legati all'applicazione delle circostanze e della continuazione; nel caso della pena concordata riteneva che la determinazione della pena dovesse avvenire d'ufficio a prescindere dalla rinnovazione dell'accordo tra le parti. 3. Tanto premesso, il giudice dell'esecuzione riteneva reato più grave quello relativo alla cessione di cocaina (capo C), e sulla pena inflitta per questo reato apportava la riduzione per le attenuanti e gli aumenti per la continuazione, ottenendo la pena finale di anni due mesi tre giorni 10 di reclusione ed euro 8800 di multa. 3. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione Larhzouli, a mezzo del difensore di fiducia: deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione. In particolare, lamenta che senza nessuna motivazione il giudice dell'esecuzione, individuato il reato più grave nella detenzione di 10 grammi di cocaina, aveva fissato la pena base in anni sei mesi quattro di reclusione ed euro 27.000 di multa. Ritiene invece che il reato più grave continui ad essere quello della detenzione di hashish, atteso che la detenzione di cocaina doveva ritenersi sanzionata dal comma 5 dell'art. 73 del d.p.r. 309 del 1990. La pena base applicata era sproporzionata e non rispettosa dei criteri di determinazione della pena indicati dall'art. 133 cod. pen. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto di annullare senza rinvio l'ordinanza. 1 inflitta la pena finale di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 18.000 di multa, ridotta CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il provvedimento impugnato va annullato per ragioni diverse da quelle sostenute. Sul tema del ricorso- oggetto dì contrastanti orientamenti giurisprudenziali - sono di recente intervenute le Sezioni Unite di questa Corte che, con le coeve sentenze 26 febbraio 2015, ricorrenti 3azouli, Sebbar e Marcon, hanno risolto i dubbi circa la possibilità di applicazione della disciplina più favorevole in sede esecutiva, quale conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale richiamata. l'informazione provvisoria n. 6 del 2015, ha affermato il principio di diritto secondo cui, la pena applicata su richiesta delle parti per i delitti previsti dall'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 deve essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione, con la precisazione che la pena deve essere rideterminata attraverso la "rinegoziazione" dell'accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell'esecuzione, che viene interessato attraverso l'incidente di esecuzione attivato dal condannato o dal pubblico ministero. È stato quindi accolto il principio per cui pena illegale non è solo quella superiore alla sanzione edittale massima reintrodotta per effetto della pronuncia di incostituzionalità, ma anche quella applicata in base alla sanzione prevista dalla norma incostituzionale. Osserva in proposito la sentenza Sebbar, esprimendo un principio applicabile anche in sede esecutiva, "la valutazione discrezionale del giudice nella individuazione della pena in concreto da applicare non può prescindere dagli "indicatori astratti" (il minimo e il massimo edittale) che il legislatore gli ha fornito. È nell'ambito di quello spazio sanzionatorio che il giudicante deve compiere la sua valutazione. Con la conseguenza che se detto spazio muta (si restringe o si dilata), mutano inevitabilmente i parametri entro i quali la valutazione in concreto deve essere effettuata. Per altro, in tema di sostanze stupefacenti, tale spazio sanzionatorio, con il ripristino della distinzione tra "droghe leggere" e "droghe pesanti", conseguente alla sentenza del Giudice delle leggi n. 32 del 2014, è stato sensibilmente ridisegnato, consentendo, di nuovo, il ricorso ad una forbice edittale (tanto per limitarsi alla sola pena detentiva) - da due a sei anni di reclusione - di gran lunga meno ampia (e meno severa) rispetto a quella posta a base delle statuizioni contestate, vale a dire da sei a venti anni di reclusione (tanto che, come si è anticipato, il massimo della prima corrisponde al minimo della seconda), così da comporre un quadro di riferimento non paragonabile a quello tenuto presente al momento delle pronunzie dei giudici del merito e da realizzare, pertanto, un sostanziale ridimensionamento dello stesso disvalore penale del fatto. Ed è sostanzialmente per tale ragione che, ad esempio, nella sentenza n. 26340/2014 (Di Maggio), si osserva in particolare che la ripristinata distinzione della risposta repressiva (che tiene conto della diversa natura delle sostanze stupefacenti), 2 2. In particolare, si rileva che la sentenza Marcon, per quanto noto con implicando una così marcata differenza del trattamento sanzionatorio, comporta la necessità di rideterminare la pena in concreto (a suo tempo) ritenuta congrua ed applicata. Invero, una volta mutato il parametro di riferimento, il giudice del merito deve inderogabilmente riesercitare il potere discrezionale conferitogli dagli artt. 132 e 133 cod. pen.". 3. Le conclusioni sopra esposte spiegano anche le ragioni per cui non hanno fondamento le doglianze esposte dal condannato. La rideterminazione della pena deve essere disposta nel contraddittorio delle parti, secondo il modulo procedinnentale previsto 4. Per quanto attiene più specificamente l'aspetto della rivalutazione della pena in caso di reato continuato, occorre ricordare che la citata sentenza Sebbar ha affermato il seguente principio di diritto «Per i delitti previsti dall'art. 73 d.P.R. 9 settembre 1990, n. 309, l'aumento di pena calcolato a titolo di continuazione per i reatisatellite in relazione alle così dette "droghe leggere" deve essere oggetto di specifica rivalutazione da parte dei giudici del merito, alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile per tali violazioni, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter della legge 21 febbraio 2006, n. 49 (di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272) e ha determinato, in merito, la reviviscenza della più favorevole disciplina anteriormente vigente». 5. Ora, alla luce del dictum delle Sezioni unite, è evidente che il caso portato all'attenzione del giudice dell'esecuzione va diversamente considerato da tutte le parti rispetto a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato. La rideternninazione della pena deve essere disposta nel contraddittorio delle parti, secondo il modulo procedimentale previsto dall'art. 188 delle disposizioni di attuazione del codice di rito. Se l'accordo viene raggiunto il giudice deve valutare se può ratificarlo. Nel caso che l'accordo non sia raggiunto o il giudice non lo ratifichi, spetterà a lui determinare la pena legale, in base ai parametri posti dagli articoli 132 e 133 cod. pen., non diversamente da quanto già previsto per la determinazione della pena nel caso di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva. Nell'esercizio di tale potere il giudice individuerà il reato più grave tenendo conto anche dell'eventuale riconoscimento dell'attenuante del fatto di lieve entità. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al GIP del tribunale di Vicenza. 3 dall'art. 188 delle disposizioni di attuazione del codice di rito. Così deciso in Roma, il 24 giugno 2015 Il Presidente Il Consigliere estensore

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