Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30116 del 24/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30116 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1) D’ANIELLO Francesco, nato a Gragnano il 23/12/1984,
2) D’ANIELLO Federico, nato a Gragnano il 16/05/1983,
avverso l’ordinanza emessa in data 22/07/2014 dal Tribunale di Torre Annunziata.
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata, i ricorsi;
sentita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 15 gennaio 2013, emessa a seguito di giudizio
abbreviato, il Tribunale di Torre Annunziata dichiarava Francesco D’ANIELLO e
Federico D’ANIELLO responsabili del reato di cui agli artt. 73 d.P.R. n. 309 del 1990,
per avere illecitamente detenuto 201 grammi di marijuana, fatti accertati il 7 dicembre

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Data Udienza: 24/06/2015

2012. In data 28 giugno 2013, con sentenza divenuta irrevocabile il 2 dicembre 2012,
la Corte di appello, ferme le circostanze attenuanti generiche già riconosciute dal
Tribunale, riduceva la pena inflitta ai D’Aniello ad anni 2 e mesi 8 di reclusione e
18.000,00 euro di multa.
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Torre Annunziata, decidendo quale
giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata dai condannati di
rideterminazione della pena per effetto di Corte cost. n. 32 del 2014.
potere di rideterminare in mitius la pena in caso di illegittimità costituzionale di norma
incidente sul trattamento sanzionatorio, nel caso concreto le circostanze che il
quantitativo della droga non era minimo e che il fatto era stato commesso in concorso,
consentivano di ritenere congrua la pena inflitta di due anni e otto mesi di reclusione e
12.000,00 euro di multa, cui poteva pervenirsi partendo dalla pena base di 6 anni di
reclusione e 27.000,00 euro di multa, ridotta nel massimo per le circostanze
attenuanti generiche, e ridotta ancora per il rito.
2. Hanno proposto ricorso Francesco D’ANIELLO e Federico D’ANIELLO con unico
atto, a loro firma, chiedendo l’annullamento della ordinanza.
Denunziano violazione di legge e mancanza ovvero manifesta illogicità della
motivazione, osservando, nella sostanza:
2.1. da un lato che la pena (detentiva) inflitta era in realtà illegale, perché, pur
essendo stata poi ridotta dalla Corte di appello, era stata calcolata dal giudice di primo
grado (Tribunale) partendo dalla pena base di 6 anni e 6 mesi di reclusione;
2.2. dall’altro che l’ordinanza era affetta da manifesta illogicità, la pena inflitta
risultando, a seguito di Corte cost. n. 32 del 2015 e in base a Sez. U, n. 42858 del
29/05/2014, Gatto, contraria ad equità giuridica perché calcolata in base a parametri
edittali dichiarati costituzionalmente illegittimi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che le censure riferite al calcolo della pena base in 6 anni e
6 mesi di reclusione, e perciò in misura superiore al massimo consentito, sono
manifestamente infondate, perché la pena definitivamente irrogata ai ricorrenti era
quella calcolata dalla Corte di appello, che risultando dopo la riduzione di un terzo per
le circostanze attenuanti generiche e di altro terzo per il rito abbreviato pari a due anni
e 8 mesi di reclusione, non poteva certamente essere superiore a sei anni.
Il ricorso è però fondato laddove lamenta la violazione dei canoni di
ragionevolezza e la sostanziale elusione del portato di Corte cost. n. 32 del 2014.
2. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697, ha affermato il principio
che, quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di
condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale,

A ragione ha osservato che, pur dovendosi riconoscere al giudice dell’esecuzione il

ancorché diversa da quella incriminatrice, ma comunque incidente sulla
commisurazione della pena in espiazione, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare
il trattamento sanzionatorio in favore del condannato pur se il provvedimento
“correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di
penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla
pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate
incostituzionali (o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi
“medio tempore” approvate dal legislatore).
Nel caso in esame rileva dunque, con riferimento al trattamento sanzionatorio
previsto per le droghe cosiddette leggere, Corte cost. n. 32 del 2014 che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale delle modifiche recate all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 dal
d.l. n. 272 del 2005 convertito in legge n. 46 del 2006, ristabilendo per l’ipotesi del
comma 1-bis, che interessa nel caso in esame, i previgenti più miti limiti edittali.
Con le decisioni in data 26/02/2015, nei procedimenti r.g.n. 22621/2014 Jazouli;
r.g.n. 49591 Marcon; r.g.n. n. 48107/2013 Sebbar, le Sezioni Unite, hanno quindi
affermato: che per i delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, relativi a droghe
c.d. leggere, la pena applicata con sentenza di patteggiamento sulla base di normativa
dichiarata incostituzionale con la sentenza Corte cost. n. 32 del 2014 deve essere
rideterminata in mitius, avuto riguardo ai più favorevoli limiti edittali, anche nel caso
in cui la stessa rientri nella nuova cornice edittale applicabile (Sez. U, informazione
provvisoria n. 5 del 2015); che tanto vale altresì nel caso in cui tali delitti siano stati
ritenuti in continuazione, parimenti dovendo essere rideterminata per detti reati satellite la pena alla luce della più favorevole cornice edittale (Sez. U, n. 22471 del
22/02/2015, Marcon); che analoghe rideterminazioni devono essere effettuata in sede
esecutiva, allorché si tratti di pene applicate con sentenze irrevocabili prima della
pronunzia d’illegittimità costituzionale, «attraverso la rinegoziazione dell’accordo tra le
parti, ratificato dal giudice dell’esecuzione che viene interessato attraverso l’incidente
di esecuzione attivato dall’interessato o dal Pubblico ministero», in sintonia con quanto
previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. U, informazione provvisoria n. 6
del 2015).
E Sez. U, n. 22471 del 22/02/2015, Marcon (le altre sentenze non risultano ad
oggi depositate) ha, in particolare, stigmatizzato che «Invero, l’unico, obiettivo
indicatore della gravità di un reato è il trattamento sanzionatorio previsto dal
legislatore, il quale – evidentemente – modula la pena edittale a seconda del disvalore
che ritiene di attribuire alle ipotesi criminose, che egli stesso ha enucleato. Né
potrebbe essere diversamente, in quanto il giudice non può sostituirsi al legislatore, al
quale ultimo soltanto spetta decidere, nell’esercizio della funzione sovrana di
produzione del diritto, se una condotta contraria alla legge debba essere punita (e
quindi qualificata) più o meno gravemente di un’altra (cfr. Sez. U, n. 15 del
26/11/1997, Varnelli, Rv. 209485-209487)». «Va da sé che, sulla valutazione in
astratto compiuta dal legislatore (e di seguito ad essa), si innesta la valuta

a’

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penali nel tempo, che inibiscono l’applicazione di norme più favorevoli eventualmente

concreto compiuta dal giudice di merito, il quale ha conosciuto tanto il fatto-reato,
quanto il suo autore (di persona e/o attraverso gli atti), e che, dunque, è in grado di
determinare, nello specifico, il trattamento sanzionatorio da applicare». Certamente,
«Come ebbe […] a chiarire, in una risalente sentenza, la Corte costituzionale (sent. n.
15 del 1962), l’individuazione della pena da parte del giudice non può prescindere
dalla considerazione della gravità del reato e della personalità del reo». «Ma, come è
ovvio, la valutazione discrezionale del giudice nella individuazione della pena in
massimo edittale) che il legislatore gli ha fornito. È nell’ambito di quello spazio
sanzionatorio che il giudicante deve compiere la sua valutazione. Con la conseguenza
che se detto spazio muta (si restringe o si dilata), mutano inevitabilmente i parametri
entro i quali la valutazione in concreto deve essere effettuata».
3. A tali principi, che il Collegio condivide perché assicurano un controllo di
effettiva legalità della pena, non si è attenuto il provvedimento impugnato, che, avuto
riguardo alle diverse cornici edittali, ha, per altro senza adeguata giustificazione,
mantenuto ferma la pena inflitta nonostante questa corrispondesse all’epoca al minimo
edittale e rappresenti oggi, invece, il massimo: così sostanzialmente venendo meno al
dovere di prendere atto della declaratoria d’illegittimità costituzionale e di adeguare la
pena ai mutati parametri.
4. L’ordinanza impugnata deve per tali ragioni essere annullata, con rinvio al
Tribunale di Torre Annunziata perché proceda a nuovo esame, rideterminando la pena
inflitta al ricorrente, non necessariamente in termini matematicamente proporzionati,
ma tenendo comunque conto della sensibilissima differenza delle cornici edittali a suo
tempo considerate e quelle invece applicabili per effetto di Corte cost. n. 32 del 2014 e
alla luce delle non sovvertibili valutazioni del giudice della cognizione in ordine alla
concreta gravità del reato, sia espresse sia implicitamente desumibili dai criteri di
determinazione della pena adottati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame Tribunale di Torre
Annunziata.
Così deciso il 24 giugno 2015
Il consigliere est – ore

Il Presidente

concreto da applicare non può prescindere dagli “indicatori astratti” (il minimo e il

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