Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30111 del 24/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30111 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Najih Younes, nato il 06/11/1993;

Avverso l’ordinanza n. 76/2014 emessa il 17/06/2014 dal Tribunale di
Piacenza;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Aurelio
Galasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 24/06/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 17/06/2014 il Tribunale di Piacenza, quale
giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da Younes Najih, ai sensi
degli artt. 666 e 673 cod. proc. pen., con la quale si chiedeva la rideterminazione
della pena applicata nei suoi confronti con sentenza emessa ex art. 444 cod.
proc. pen. dallo stesso organo giurisdizionale il 18/01/2013, divenuta
irrevocabile 04/03/2013, che veniva quantificata in anni sei di reclusione e

Si riteneva, infatti, che la pena irrogata rientrava nei parametri edittali
prevista dalla norma dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così come
riconfigurata a seguito della sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio
2014, n. 32.
Queste ragioni processuali imponevano il rigetto dell’istanza presentata dal
Naj i h.

2.

Avverso tale ordinanza veniva proposto ricorso per cassazione,

deducendosi la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione ed erronea
applicazione della legge penale, rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.
b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Si deduceva, in particolare, che il giudice dell’esecuzione non doveva
necessariamente rideterminare la pena sulla base degli attuali parametri edittali,
ma doveva comunque applicare un criterio di proporzionalità della sanzione
applicata al Najih in sede di patteggiamento, tenendo conto del fatto che, pur
non potendo entrare nel merito della vicenda processuale, non poteva non
ricalcolare alla luce dell’attuale normativa.
In questi termini, la sanzione irrogata al Najih doveva ritenersi illegittima,
atteso che la pena base veniva determinata tenendo conto di parametri edittali
che non si sarebbero dovuti applicare laddove fossero stati rispettati dal
legislatore i principi costituzionali risultati violati con la sentenza della Corte
costituzionale n. 32 del 2014.
Per queste ragioni, l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione doveva
essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di cui appresso.
In via preliminare, deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata risulta adottata
de plano, in palese violazione delle formalità previste a pena di nullità assoluta

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27.000,00 euro di mula.

dall’art. 666 cod. proc. pen., che impone lo svolgimento del procedimento
esecutivo nel contraddittorio delle parti.
Infatti, il procedimento esecutivo deve sempre svolgersi, previo avviso alle
parti e ai difensori, con la partecipazione del pubblico ministero e con
l’obbligatoria assistenza del difensore, sia esso di fiducia o d’ufficio, ai fini della
regolare instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che qualora il giudice
dell’esecuzione abbia, invece, omesso di fissare l’udienza in camera di consiglio e
abbia adottato un provvedimento de plano, fuori dei casi espressamente stabiliti,

d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt. 178 e 179
cod. proc. pen. (cfr. Sez. 3, n. 46786 del 20/11/2008, Bifani, Rv. 242477; Sez.
3, n. 11421 del 29/01/2013, Prediletto, Rv. 254939).
Nel caso di specie, la patologia processuale da cui risulta affetto il
provvedimento impugnato è incontestabile, alla luce della giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui: «È affetta da nullità l’ordinanza con cui il giudice
dell’esecuzione, anziché decidere nel contraddittorio camerale con l’osservanza
delle formalità di cui all’art. 666 commi terzo e quarto cod. proc. pen., si
pronunci, al di fuori delle ipotesi di inammissibilità per manifesta infondatezza o
mera riproposizione di richiesta già rigettata, contemplate dallo stesso articolo,
“de plano”» (cfr. Sez. 3, n. 3550 del 20/06/2007, P.M. in proc. Manzo, Rv.
237529).

2. Deve, inoltre, rilevarsi che l’istanza proposta pone l’ulteriore problema

della disciplina applicabile nelle ipotesi in cui si procede per il reato di cui all’art.
73 del d.P.R. n. 309 del 1990, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 32
del 2014, con cui veniva dichiarata l’incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies
del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, in quanto ritenuti in contrasto con i principi di
ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalità della pena.
Com’è noto, questa pronunzia della Corte costituzionale aveva eliminato con
efficacia ex tunc la disciplina che aveva introdotto un trattamento più severo per
lo spaccio delle cosiddette droghe leggere, ripristinando il più mite trattamento
sanzionatorio previgente.
Sulle conseguenze applicative di questa pronunzia si determinava un
contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte che imponeva l’intervento
delle Sezioni unite (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014, P.M. in proc. Gatto,
Rv. 260700).
La questione che era stata demandata alle Sezioni unite, originariamente,
scaturiva dall’interpretazione della sentenza della Corte costituzionale 5
novembre 2012, n. 251, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale
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si determina una nullità di ordine generale e di carattere assoluto, rilevabile

dell’art. 69 cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza
dell’attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Tuttavia, in tale ambito, compulsate sulle conseguenze derivanti dal suddetto
intervento della Corte costituzionale in sede esecutiva, le Sezioni unite si
pronunciavano anche sulle conseguenze della sentenza n. 32 del 2014, nel
frattempo sopravvenuta, affermando i principi di diritto, qui di seguito,
sinteticamente richiamati
Le Sezioni unite, innanzitutto, sulle conseguenze sistematiche prodotte dalla

caso, l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo
oggettivo, in quanto derivante dall’applicazione di una norma di diritto penale
sostanziale dichiarata incostituzionale dopo il passaggio in giudicato della
sentenza, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non
può essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta
dall’art. 27, comma 3, Cost. Infatti, l’illegittimità della pena irrogata costituisce
un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché viene avvertita
come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già determinata dal
giudice nell’esercizio dei suoi legittimi poteri giurisdizionali, ma imposta da un
legislatore che ha violato la costituzione (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014,
P.M. in proc. Gatto, cit.).
Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, qui succintamente
richiamata, le Sezioni unite affermavano il seguente principio di diritto:
«Successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione
d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma
incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la
rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del
giudice dell’esecuzione» (cfr. Sez. un., n. 42858 del 29/05/2014, dep.
14/10/2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. cit.).

2.1. A questo intervento chiarificatore ne seguiva un secondo, che
riguardava le ipotesi in cui si discuteva dell’esecutività di una sentenza
intervenuta su concorde richiesta delle parti processuale ai sensi dell’art. 444
cod. proc. pen., assimilabili a quella che si sta considerando in questa sede
processuale (cfr. Sez. un., n. 42858 del 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon,
informazione provvisoria).
In presenza di tali condizioni processuali, occorreva tenere conto dei
parametri ermeneutici affermati nel recente arresto giurisprudenziale delle
Sezioni unite, le quali intervenivano sulla questione, proposta dalla Sezione
penale terza, con ordinanza di rimessione adottata il 18/03/2014, nei seguenti
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sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, affermavano che, in questo

termini: «Se la pena applicata su richiesta delle parti per delitti previsti dall’art.
73 d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia
divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del
2014 debba essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione».
Si tratta di condizioni processuali che sono certamente ricorrenti nel caso di
specie, tenuto conto del fatto che al Najih veniva applicata ex art. 444 cod. proc.
pen. la pena di anni tre di reclusione e 12.000,00 euro di multa, assumendo
come pena base quella di anni sei di reclusione e 27.000,00 euro di multa (cfr.

Ci si trova, pertanto, di fronte a un’ipotesi in cui la forbice sanzionatoria di
cui le parti processuali tenevano conto nel formulare la richiesta di pena ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen. prevedeva la pena della reclusione tra sei e venti
anni di reclusione e della multa tra 26.000,00 euro e 260.000,00 euro. Si
assumeva, dunque, come pena base il minimo della pena della reclusione
prevista dalla norma successivamente dichiarata incostituzionale, che
corrispondeva al massimo edittale della pena prevista dalla norma ripristinata
dopo l’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014.
A tale questione ermeneutica le Sezioni unite fornivano una risposta
soluzione positiva, precisando che, in questi casi, la pena deve essere
rideterminata attraverso una vera e propria rinegoziazione dell’accordo
precedentemente intervenuto, che dovrà essere ratificato dal giudice
dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione, dunque, viene coinvolto nella
decisione della questione attraverso l’incidente di esecuzione attivato dal
condannato ovvero dal pubblico ministero e in caso di mancato accordo – ovvero
di esito negativo della rinegoziazione effettuata tra le parti – provvederà alla
rideternninazione della pena in base ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.
(cfr. Sez. un., 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon, cit.).
In questa direzione, del resto, non può non rilevarsi che posto che
l’operazione di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. è il frutto di una scelta che il
giudice della cognizione compie, attraverso una discrezionalità guidata, in un
ambito edittale predefinito, è evidente che il mutamento radicale della cornice
derivante dalla declaratoria di incostituzionalità rende necessaria in sede
esecutiva – anche attesa la tipologia di sostanza stupefacente per la quale era
stata concordata la pena applicata al Najih – una rivalutazione di tale profilo
sanzionatorio, conformemente al seguente principio di diritto: «Per effetto delle
sentenze della Corte costituzionale nn. 251 del 2012 e 32 del 2014, il giudice
dell’esecuzione, ove il trattamento sanzionatorio non sia stato ancora
interamente eseguito, deve rideterminare la pena in favore del condannato pur
se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato,
5

Sez. un., 12/01/2015, P.M. in proc. Marcon, cit.).

potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione,
fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di
norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali» (cfr. Sez. 1, n. 53019 del
04/12/2014, Schettino, Rv. 261581).

3. Per questi motivi, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio
al Tribunale di Piacenza affinché provveda a un nuovo esame, conformandosi ai

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Piacenza.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del 24 giugno 2015.

principi che si sono esplicitati.

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