Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30100 del 25/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30100 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Piazza Alessandra, nata a Palermo il 13/02/1968,
Prestigiacomo Vincenzo, nato a Palermo il 13/03/1959,
Pillitteri Angelo, nato a Palermo il 23/01/1962,
Greco Grazia, nata a Trapani il 15/01/1938,
Vitale Rosaria, nata a Palermo il 14/05/1954,
Prestigiacomo Francesco, nato a Palermo il 13/10/1950,
Prestigiacomo Salvatore, nato a Palermo 1’8/03/1924,
Prestigiacomo Rosalia, nata a Palermo il 2/03/1948,
Tumminia Ugo, nato a Palermo il 28/02/1952,
Piazza Giacomo, nato a Palermo il 6/01/1927,
Palma Raffaele Francesco, nato a Castelvetrano il 27/03/1959,
Pecoraro Salvatore, nato a Palermo il 27/09/1970,
Piazza Rosa, nata a Palermo il 7/01/1929,
Piazza Gaetana, nata a Palermo il 10/07/1935,
Piazza Rosolino, nato a Palermo il 9/05/1966,
Bellina Luciana, nata a Palermo il 18/07/1964,
Di Giugno Natale, nato a Palermo il 16/07/1946,
Pillitteri Girolama, nata a Palermo il 16/03/1959,
Zummo Sonia Gabriella, nata a Palermo il 28/04/1963,

Data Udienza: 25/03/2015

avverso l’ordinanza del 28/04/2014 della Corte di appello di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Antonella Patrizia Mazzei;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 28 aprile 2014 la Corte di appello di Palermo, giudice
dell’esecuzione, ha respinto la richiesta dei diciannove ricorrenti indicati in
epigrafe, volta ad ottenere la correzione del preteso errore materiale contenuto
nel decreto, non più soggetto ad impugnazione, emesso dalla Corte palermitana
il 3 marzo 2005, n. 207, in sede di appelli (riuniti) avverso i decreti di confisca in
pregiudizio di Piazza Vincenzo, adottati dal Tribunale della sede il 17 luglio 1996
(depositato il 17 aprile 1997), il 29 ottobre 1997 (depositato il 17 novembre) e il
21 giugno 1999 (depositato il 19 luglio), nella parte in cui gli attuali ricorrenti intervenuti come terzi nel giudizio di prevenzione- erano stati condannati, in
solido tra loro e con gli altri appellanti, al pagamento delle spese del
procedimento di merito.
A sostegno della decisione la Corte ha addotto che la condanna alle spese,
disposta nel suddetto decreto del 3 marzo 2005, non era frutto di un errore
materiale e non era, quindi, emendabile con il procedimento di cui all’art. 130
cod. proc. pen., né rilevabile in sede di esecuzione, trattandosi invece di
eventuale errore di diritto coperto dal giudicato per mancata impugnazione degli
interessati, sul punto, nell’ambito del procedimento di prevenzione già definito
con sentenza della Corte di cassazione, in data 6/03/2007, di rigetto dei ricorsi
proposti per altri motivi anche dagli attuali ricorrenti; e, a sostegno di tale
assunto, ha richiamato una precedente decisione conforme del giudice di
legittimità (n. 26302 del 19/04/2011, Rv. 250669).
Ad avviso della Corte di appello, l’art. 204, comma 2, d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, in materia di spese di giustizia, lascerebbe aperte due
interpretazioni: quella, sostenuta dai ricorrenti, secondo la quale, nel
procedimento di prevenzione, come in quello di esecuzione e di sorveglianza, la
condanna alle spese è prevista solo da parte della Corte di cassazione e non
anche nei gradi di merito del medesimo procedimento, interpretazione avallata

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dell’ordinanza con rinvio alla Corte di appello di Palermo per un nuovo giudizio.

da una circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di
giustizia, Direzione generale della giustizia penale, in data 30 dicembre 2009; e
la tesi secondo la quale la condanna alle spese, da parte della Corte di
cassazione, sarebbe invece condizione necessaria per il recupero delle spese
attinenti ai gradi di merito del procedimento di prevenzione, in una logica
deflazionistica del ricorso per cassazione volta a premiare i proposti e i terzi
partecipi non ricorrenti per cassazione.

avallata dalla citata circolare ministeriale e dalla più recente giurisprudenza di
legittimità, la Corte d’appello pure dà atto- dimostrerebbe la problematicità
giuridica del tema della condanna alle spese nel procedimento di prevenzione di
merito, come tale non riducibile al preteso errore materiale passibile di
correzione, considerata la definitività, nel caso di specie, del decreto di confisca
pronunciante condanna alle spese per i gradi di merito.

2. Avverso tale ordinanza hanno proposto un unico ricorso per cassazione
tutte le diciannove persone in epigrafe indicate, sostenendo che la loro condanna
solidale alle spese dei due gradi di merito del procedimento di prevenzione, per
un importo complessivo di euro 3.744.344 (tremilionisettecentoquarantaquattro
trecentoquarantaquattro), lievitato ad oggi ad euro 5.000.000 (cinque milioni),
costituisce invece un errore materiale, come tale suscettibile di correzione.
Sono stati dedotti, in particolare, due motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod.
proc. pen., denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 204 d.P.R. n. 115
del 2002 e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione della
fattispecie in esame come errore di diritto e non errore materiale.
La disposizione suddetta sarebbe chiara nell’escludere la condanna alle
spese processuali del proposto e a maggior ragione dei terzi, salva la sola
condanna alle spese del giudizio di cassazione, in caso di definizione del
procedimento di prevenzione con provvedimento di inammissibilità o di rigetto.
Tale interpretazione, avallata della predetta circolare ministeriale, sarebbe
sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, nel respingere le richieste
di remissione del debito avanzate da quasi tutti gli attuali ricorrenti, aveva
espressamente indicato, in una serie di sentenze (di cui la prima del 16/01/2013,
depositata il 4/04/2013, su ricorso di Vitale Rosaria), come rimedio esperibile
contro l’ingiusta condanna alle spese, in sede di prevenzione, il procedimento di
correzione di errore materiale di cui all’art. 130 cod. proc. pen., richiamando al
riguardo autorevoli precedenti della stessa Corte di cassazione, a sezioni unite,
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Tale alternativa ermeneutica -del cui superamento, a favore della tesi

circa la possibilità di utilizzare il detto strumento nel caso di errata condanna alle
spese di imputato minorenne o di omessa condanna dell’imputato alle spese a
favore della parte civile (sentenze, rispettivamente, n. 15 del 31/05/2000 e n.
7945 del 31/01/2008).
2.2. Il secondo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., lamenta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione.
Sostenere che la disposizione del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 204, comma

interpretata come una condizione perché l’interessato e i terzi intervenuti nel
procedimento di prevenzione subiscano il recupero delle spese anche dei gradi di
merito del procedimento, sarebbe in palese contrasto col fatto che i terzi non
sono intranei ad alcun sodalizio mafioso e si troverebbero esposti ad un ingiusto
quanto illegittimo provvedimento di condanna al pagamento di somme spesso
esorbitanti (ascendenti, nel caso in esame, a cinque milioni di euro), considerati i
costi normalmente elevati degli accertamenti patrimoniali, rispetto alle quali i
pretesi coobbligati potrebbero essere totalmente incapienti e comunque restare
privati, in caso di pagamento, di ogni futura possibilità di sopravvivenza
economica e di positiva programmazione per almeno quattro o cinque
generazioni.
Si aggiunge che la tesi, secondo cui la condanna alle spese da parte della
Corte di cassazione è condizione per essere condannati anche alle spese dei
gradi di merito del procedimento di prevenzione, determinerebbe una
inammissibile limitazione del diritto di difesa e non si sottrarrebbe a fondato
dubbio di legittimità costituzionale.

3. Il Procuratore generale, richiamando la sentenza della Corte, a sezioni
unite, n. 15 del 2000, in tema di emendabilità, col procedimento previsto per la
correzione degli errori materiali, delle statuizioni in materia di spese processuali,
trattandosi di disposizioni accessorie conseguenti

ex lege

a determinati

provvedimenti e in alcun modo rimesse alla discrezionalità del giudice, ha
concluso a favore dell’annullamento dell’ordinanza impugnata.

4. Il 13 marzo 2015 è pervenuta memoria dei ricorrenti ad ulteriore
sostegno dell’impugnazione proposta e in adesione alle conclusioni del Pubblico
Ministero sull’emendabilità del decreto de quo.

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2, ossia la condanna alle spese da parte della Corte di cassazione, possa essere

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’errore sulle spese processuali, sia
per omessa pronuncia sia per disposta condanna, è emendabile con il
procedimento di correzione previsto dall’art. 130 cod. proc. pen., quando abbia i
caratteri dell’errore materiale, incidendo su disposizione accessoria la cui
ex lege

e non postula, quindi, alcuna

discrezionalità da parte del giudice.
Sono state, pertanto, ritenute emendabili con la procedura di correzione
dell’errore materiale l’omessa condanna dell’imputato soccombente alla rifusione
delle spese sostenute dalla parte civile sempre che non emergano specifiche
circostanze che giustifichino la compensazione, totale o parziale, delle stesse
(Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, Rv. 238426; Sez. 5, n. 42899 del
24/06/2014, Vizzardi, Rv. 260788; Sez. 6, n. 8668 del 05/02/2014, Ambrogiani,
Rv. 258812); e l’omessa disposizione sulle spese processuali e su quelle di
mantenimento in carcere dell’imputato nella sentenza di condanna o equiparata
a quella di condanna (Sez. 6, n. 38189 del 27/09/2011, Taraschi, Rv. 251049).
Analogamente è stata ritenuta emendabile, col ricorso alla procedura di
correzione degli errori materiali di cui all’art. 130 cod. proc. pen., l’erronea
statuizione in tema di condanna al pagamento delle spese processuali e della
sanzione pecuniaria, in caso di inammissibilità del ricorso proposto dall’imputato
minorenne, come tale esentato dall’obbligo di pagare le spese del processo,
trattandosi di rettifica che non incide sul contenuto intrinseco della decisione ma
su una pronuncia consequenziale ed accessoria ad essa, non implicante alcuna
valutazione discrezionale da parte del giudice (Sez. U, n. 15 del 31/05/2000,
Radulovic, Rv. 216705).
Nel caso in esame, come riconosciuto anche nel provvedimento impugnato,
la Corte di cassazione, in una serie di sentenze non massimate, nel respingere le
istanze di remissione del debito avanzate dai terzi interessati intervenuti del
procedimento di prevenzione, in gran parte coincidenti con gli attuali ricorrenti,
ha già affermato il seguente principio di diritto: la disposizione di cui all’art. 204,
comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, secondo la quale nel processo di
prevenzione, come in quello di esecuzione e di sorveglianza, si procede al
recupero in caso di condanna alle spese da parte della Corte di cassazione, va
intesa nel senso che la condanna investe solo le spese del procedimento davanti
alla Corte di legittimità e non si estende alle spese dei gradi di merito del
medesimo procedimento, le quali, pertanto, non sono ripetibili dal proposto e dai
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previsione o esclusione consegue

terzi interessati che siano in esso intervenuti; se, però, la condanna non è stata
limitata alle spese del giudizio di legittimità, il rimedio esperibile è quello del
procedimento di correzione dell’errore materiale, ex art. 130 cod. proc. pen.,
poiché la correzione in punto di condanna alle spese incide non sul contenuto
intrinseco della pronuncia relativa al thema decidendum, ma semplicemente su
una statuizione consequenziale ed accessoria alla prima e, perciò, non implica
alcuna discrezione valutativa da parte del giudice, configurandosi la correzione

suo errore di giudizio, ma soltanto come strumento per eliminare la disarmonia
tra la manifestazione esteriore costituita dal documento-sentenza e quanto
poteva e doveva essere statuito ex lege (Sez. 1, sentenze n. 32473, 25626,
20229, 20005, 20004, 20003, 20002, 18422, 18421, 18420, 18419, 18418 e
15665 del 2013, tutte in tema di remissione del debito non consentita ai terzi,
erroneamente condannati al pagamento delle spese, intervenuti nel
procedimento di prevenzione definito con il rigetto dei loro ricorsi; mentre è
rimasta isolata Sez. 1, n. 26302 del 2011, Rv. 250669, citata nell’ordinanza
impugnata, circa la non rilevabilità, in sede di esecuzione, della illegittima
condanna alle spese pronunciata, in violazione dell’art. 204 del d.P.R. n. 115 del
2002, con decreto di sottoposizione a misura di prevenzione).
Discende che la condanna degli attuali ricorrenti alle spese del procedimento
di prevenzione, pronunciata con decreto della Corte di appello di Palermo n. 207
del 2005, divenuto definitivo giusta sentenza n. 11170 del 2007 di questa Corte
di cassazione che ha rigettato i ricorsi, deve ritenersi, in conformità delle
pronunce di legittimità sopra richiamate, frutto di un errore materiale, poiché
l’esclusione della condanna alle spese, salvo quelle del giudizio di cassazione, è
prevista dalla legge e, segnatamente, dall’art. 204, comma 2, d.P.R. n. 115 del
2012, cit., senza alcun potere discrezionale del giudice al riguardo; ciò comporta
l’emendabilità dell’errore materiale contenuto nel predetto decreto della Corte di
appello, pronunciante condanna dei terzi interessati e attuali ricorrenti al
pagamento delle spese del procedimento di prevenzione; a norma dell’art. 620,
comma 1, lett. 1), cod. proc. pen., va quindi disposto l’annullamento senza rinvio
dell’ordinanza impugnata che ha, invece, respinto l’istanza di correzione
dell’erronea condanna; tale correzione va immediatamente operata, eliminando
dal decreto della Corte d’appello n. 207 del 2005 la statuizione di condanna degli
appellanti al pagamento delle spese processuali.
La correzione, di cui alla presente sentenza, deve essere infine annotata
sull’originale dell’atto emendato ai sensi dell’art. 130, comma 2, cod. proc. pen.

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non come (inammissibile) rimedio ad un vizio della volontà del giudice o ad un

2. Segue conforme dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone correggersi il decreto
3/3/2005 n. 207 della Corte di appello di Palermo, eliminando la statuizione di
condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 25 marzo 2015.

Si annoti sull’originale dell’atto.

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