Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30097 del 10/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30097 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZITOLI VITO GUERINO N. IL 13/10/1972
avverso la sentenza n. 3135/2013 CORTE APPELLO di BARI, del
23/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Generge in persona del Dott.
che ha concluso per L `41,~

Udito, per la parte civ .
Uditi difensor vv.

Data Udienza: 10/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23/4/2014, la Corte di appello di Bari, provvedendo
sull’appello proposto da Zitoli Vito Guerino avverso quella del Tribunale di Trani
di condanna alla pena di anni sei di reclusione per il delitto di incendio aggravato
(nel quale era stato ritenuto assorbito quello di danneggiamento aggravato),
previa esclusione della recidiva, rideterminava la pena in anni quattro di
reclusione, applicando la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai

L’incendio avvenuto a Bisceglie il 2/11/2011 alle 2’45 aveva colpito la
struttura di un supermercato di proprietà di Monterisi Giacomo, locato
all’imputato, che era rimasto completamente distrutto; erano stati, inoltre,
gravemente danneggiati i due appartamenti soprastanti l’esercizio commerciale e
otto autovetture parcheggiate nelle vicinanze.
La Corte ricordava l’esito della consulenza tecnica conferita dal P.M.;
rimarcava alcune circostanze significative: in conseguenza dello sfratto per
morosità ingiunto allo Zitoli, l’esercizio sarebbe stato riconsegnato al proprietario
il successivo 3/11/2011, la merce era stata interamente spostata dall’esercizio e
che era stata attivata una polizza assicurativa contro l’incendio, onorata pochi
giorni prima (il 27/10/2011) nonostante l’imminente sfratto; Zitoli aveva
continuato a svuotare il supermercato fino alla notte stessa dell’incendio; alle
410 il motore dell’autovettura di Zitoli era ancora caldo, circostanza accertata
dai carabinieri che avevano rinvenuto sul tappetino posteriore destro del mezzo
tre bottiglie di plastica da It. 1,5 con residui di benzina. La merce era stata
rinvenuta occultata in un magazzino di Corato, del quale Zitoli aveva dichiarato
di avere perso le chiavi, e ciò faceva ritenere che lo stesso fosse intenzionato a
chiedere il relativo indennizzo alla Compagnia assicurativa.

La Corte richiamava la motivazione, ampia e convincente, della sentenza di
primo grado, esaminando specifici motivi di appello formulati dall’imputato.
Sottolineava, in particolare:
– che l’unico soggetto interessato alla stipula della polizza assicurativa era
l’imputato, che aveva chiesto informazioni all’agente della INAS Italia e non il
padre di lui o il proprietario del supermercato; Zitoli non aveva pagato
spontaneamente la rata ormai scaduta, ma l’aveva fatto a seguito di intimazione
del legale della Compagnia solo qualche giorno prima dell’incendio e, soprattutto,
della data prevista per lo sfratto per morosità. Il versamento alla Compagnia
assicurativa appariva, quindi, sospetto e legato alla premeditazione dell’incendio;
– che anche l’asportazione e l’occultamento della merce in un magazzino

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pubblici uffici anziché quella dell’interdizione perpetua.

erano sospetti: Zitoli aveva sostenuto che la custodia nel garage del fratello era
provvisorio perché egli aveva in corso trattative per l’acquisto di altro
supermercato, ma era stato smentito dai titolari del predetto esercizio
commerciale. L’asportazione della merce non era, quindi, affatto “attività
doverosa” in vista dell’esecuzione dello sfratto, come sostenuto dall’imputato,
tenuto conto che veniva sottratta merce alla contestuale procedura esecutiva per
gli arretrati del canone di locazione; la merce era stata quindi occultata e solo
l’imputato aveva le chiavi del locale (come dichiarato dal fratello Michele):

– che la presenza dell’imputato nell’esercizio incendiato era da ritenersi
provata, sulla base della testimonianza dei vicini di casa, fino all’i – 1’30; era da
ritenersi inattendibile il teste a discarico Arbore Antonio, la cui testimonianza
contrastava, fra l’altro, con quanto dichiarato dalla moglie dell’imputato.
– che era significativa la circostanza che, alle 4’10, il motore dell’autovettura
dell’imputato fosse ancora caldo; era del tutto inverosimile il racconto del fratello
dell’imputato, che aveva sostenuto di avere utilizzato l’autovettura durante la
notte. Piuttosto, era stato Zipoli ad utilizzarla e, al ritorno, a parcheggiarla nei
pressi della sua abitazione, in un luogo che non aveva avuto alcuna difficoltà ad
indicare ai Carabinieri di Corato che chiedevano di visionare il mezzo;

che le giustificazioni addotte dall’imputato in ordine alla presenza

nell’automezzo di tre bottiglie di plastica erano state arricchite nel tempo, tanto
che in sede dibattimentale l’imputato ne aveva fornita una in precedenza non
riferita; la capienza delle tre bottiglie era pienamente compatibile con l’incendio
e anche con l’esplosione; anche i reperti di idrocarburi rinvenuti sul luogo
dell’incendio erano compatibili con la benzina rinvenuta nelle bottiglie.

che la presenza di quattro pneumatici carbonizzati, verosimilmente

utilizzati per innescare la detonazione, era indiziante nei confronti dell’imputato,
che deteneva copertoni usati sul posto prima di destinarlo a supermercato e che,
senza alcuna giustificazione, ne aveva custoditi quattro in uno stanzino
dell’esercizio commerciale;
– che sussisteva il movente dell’azione delittuosa: era stato solo l’imputato
ad insistere per la stipula della polizza assicurativa, rispetto alla quale il
proprietario del supermercato aveva manifestato indifferenza. Ciò risultava dalla
testimonianza del responsabile commerciale di INAS Italia. Era l’imputato, e non
il padre, ad occuparsi dei pagamenti ed era stato lo stesso imputato a conferire
al geom. Monti l’incarico di una perizia estimativa dei locali e dei beni che vi si
trovavano (nel febbraio 2010); l’intestazione della polizza al padre era,
comunque, meramente formale, al di là dei cattivi rapporti con il genitore. Non
era quindi un caso che Zitoli avesse pagato l’ultima rata qualche giorno prima

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eppure aveva dichiarato di averle perse, a dimostrazione della sua malafede;

dell’incendio, nonostante fosse consapevole di dover lasciare l’immobile pochi
giorni dopo.

La Corte rimarcava che i filmati delle telecamere di sicurezza di un vicino
esercizio sarebbero stati utili, ma osservava che la loro mancanza non era
decisiva alla luce degli ulteriori elementi indiziari.
Le ipotesi alternative formulate dalla difesa non erano convincenti, poiché
nessuno dei tre soggetti che l’imputato aveva indicato come potenziali autori

2. Ricorre per cassazione il difensore di Zitoli Vito Guerino deducendo
mancanza ed illogicità della motivazione con riferimento all’affermazione di
responsabilità dell’imputato.
La motivazione della sentenza era illogica per non aver tenuto conto di
quanto riferito dal testimone a discarico Arbore Antonio, che aveva riferito di
avere incontrato l’imputato nello stabile di Corato verso le ore 0030 – 00’45 del
2/11/2011. Ciò comportava che l’imputato, nell’ora successiva, avrebbe dovuto
abbandonare la propria abitazione e ritornare a Bisceglie (la distanza tra i due
paesi è di venti chilometri) per appiccare l’incendio.
Inoltre, i Giudici di merito avevano dato credito ai testimoni che avevano
affermato di aver visto l’imputato presso il supermercato alle ore 23’00, mentre
la moglie dell’imputato aveva riferito che il marito era ritornato a casa alla stessa
ora. In ogni caso, i Giudici avevano accreditato la versione di un ritorno a casa
dell’imputato prima che l’incendio fosse appiccato.

I Giudici avevano valorizzato la circostanza che il motore dell’autovettura
dell’imputato era stato trovato caldo alle 4’10 di notte e avevano ritenuto
inattendibile e concordata con l’imputato la testimonianza di suo fratello di avere
usato l’autovettura (che si poteva accendere anche senza chiave) quella notte.
I Giudici non avevano elementi di prova per ritenere la versione falsa, né
avevano disposto perizia per accertare in quanto tempo l’autovettura si sarebbe
raffreddata.

Secondo il ricorrente non aveva rilevanza il pagamento tardivo della polizza
assicurativa, intervenuto pochi giorni prima dell’incendio: il beneficiario era il
padre dell’imputato, con i quali i rapporti erano pessimi, tanto che padre e figlio
si erano denunciati reciprocamente; inoltre la polizza era stata imposta dal
locatore e copriva i danni al fabbricato, rischio che non interessava il conduttore
dell’immobile. Eppure, secondo i Giudici di merito, la polizza era stata pagata

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dell’incendio avrebbe avuto un vantaggio economico dallo stesso.

solo per lucrare sull’incendio.

Il ricorrente non contesta la circostanza che il supermercato, nei giorni
precedenti l’incendio, fosse stato svuotato della merce, ma sottolinea che lo
spostamento della merce derivava dalla prossima esecuzione dello sfratto
esecutivo per morosità del locale.
Era, quindi, illogico il ragionamento dei Giudici di merito secondo cui lo
svuotamento serviva a ricavare ingiusti profitti dall’assicurazione, tenuto contro

Ancora, era illogico ritenere che l’incendio fosse stato provocato collocando
copertoni riempiti di stracci e cartoni imbevuti di benzina.
Effettivamente l’imputato teneva quattro copertoni nello sgabuzzino del
supermercato, ma tali copertoni non avevano a che fare con l’origine
dell’incendio, che era stato provocato dall’esplosione di un ordigno innescato a
distanza, e non dall’imputato che avrebbe incendiato gli stracci e, uscendo,
avrebbe chiuso lucchetti e saracinesche.

Il ricorrente lamenta la mancata acquisizione del filmato registrato dalle
telecamere di sorveglianza di un bar vicino, che avrebbero permesso di verificare
l’orario nel quale egli si era allontanato dal supermercato ed altri accessi
nell’esercizio commerciale.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Il ricorrente ha fatto pervenire memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile: benché il ricorrente denunci la manifesta
illogicità della motivazione, in realtà ripropone considerazioni in fatto,
sollecitando questa Corte a sovrapporre la propria valutazione di merito a quella
espressa dalla Corte territoriale.

In effetti, la sentenza impugnata affronta e valuta tutti gli elementi
evidenziati in ricorso: il teste Arbore viene ritenuto inattendibile e, per di più, la
sua versione è in contrasto con la moglie dell’imputato, avendo egli sostenuto di
avere incontrato Zitoli verso le ore 00’30 – 00’45, mentre la moglie aveva riferito
che il coniuge non era uscito dalla propria abitazione dopo le 23’00; la Corte, per
di più, sottolinea che – in ogni caso – la presenza a quell’ora di Zitoli nei pressi

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che, in precedenza, l’imputato aveva fatto stimare il valore della merce.

dell’abitazione non ne avrebbe impedito il rientro a Bisceglie in orario successivo;
la motivazione in punto della falsità della versione del fratello sull’uso notturno
dell’autovettura dell’imputato è ampia e convincente: fra l’altro, la Corte
sottolinea che Zitoli sapeva benissimo dove l’autovettura fosse parcheggiata (con
il motore ancora caldo alle 4’10), a dimostrazione che era stato lui a
parcheggiarla; la questione del pagamento della polizza assicurativa pochi giorni
prima dell’incendio (e nonostante lo sfratto imminente) è stata approfondita dalla
Corte territoriale: il ricorrente non fa che riproporre considerazioni in fatto

analogamente, il ricorrente ripropone la tesi della necessità di svuotare la merce
presente nell’esercizio commerciale in vista dello sfratto per morosità, ignorando
la motivazione della sentenza impugnata, che sottolinea che lo spostamento ed
occultamento della merce la sottraevano alla procedura esecutiva in corso per il
recupero dei canoni di locazione non pagati e che ricostruisce in dettaglio la
questione della disponibilità del magazzino e dell’inesistente trattativa per
l’apertura di un nuovo supermercato; infine, il ricorrente sostiene che l’incendio
non è stato originato dai quattro pneumatici che – senza alcun motivo – egli
custodiva nel supermercato, ignorando la perizia svolta in dibattimento e, ancor
più, le considerazioni concernenti la presenza delle lattine contenenti benzina
rinvenute nella sua autovettura.

Occorre ribadire che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso
giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la
motivazione della pronunzia: a) sia “effettiva” e non meramente apparente,
ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a
base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto
risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da
evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente
contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue
diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d)
non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in
termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso
per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata
sotto il profilo logico (Cass., Sez. VI, 15 marzo 2006, n. 10951).
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica

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smentite dalla sentenza sulla base delle testimonianze dei soggetti interessati;

l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel
loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti
tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare
obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di
consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico
composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli
atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio
della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o

ragionamento svolto dal giudicante e di determinare al suo interno radicali
incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o
contraddittoria la motivazione (Cass., Sez. VI, 15 marzo 2006, n. 10951).
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti
del processo”. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a
fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una
correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere
necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e
sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino
autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca
razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal
giudice per giungere alla decisione.

La motivazione della sentenza impugnata è effettiva, non manifestamente
illogica né contraddittoria con atti del processo.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale

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dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero

ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle

Così deciso il 10 aprile 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Ammende.

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