Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30095 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30095 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NADER KADIR KAMARAN N. IL 08/04/1984
avverso la sentenza n. 5/2013 CORTE ASSISE APPELLO di TRIESTE,
del 20/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
()
che ha concluso per
/Le
(I/1 UtA-4
i

i

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

7p

Data Udienza: 26/03/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con sentenza in data 20 settembre 2013, il GUP del Tribunale di Trieste,
a seguito di rito abbreviato, ha dichiarato Nader Kadir Kamaran colpevole dei
delitti di cui agli artt. 110 codice penale e 12, comma 3, lettera a) e d), comma
3 bis, decreto legislativo n. 286 del 1998 e lo ha condannato alla pena di anni
due mesi otto di reclusione ed euro 120.000 di multa.
2. La Corte d’assise d’appello di Trieste con sentenza del 20 settembre
2013 ha confermato integralmente la sentenza di primo grado.

– l’imputato faceva parte di un gruppo di cittadini curdi sbarcati sulla costa
calabrese il 6 ottobre 2010;
– tra gli organizzatori del viaggio vi era il coimputato Cefi;
– dopo lo sbarco, nel corso di alcune conversazioni telefoniche intercettate
dalla polizia giudiziaria, i congiunti di alcuni clandestini avevano telefonato a
Cefi per ottenere la restituzione della somma di denaro pagata, non essendo
andato a buon fine il viaggio, ed erano stati invitati a parlare con Kamiran;
– lo stesso Cefi interloquiva con Kamaran, con l’obiettivo di ottenere dai
congiunti dei trasportati il pagamento concordato;
– in una conversazione telefonica Kamaran aveva chiesto a Cefi se i
clandestini avessero pagato oppure no proponendosi come intermediario per la
ricezione delle somme;
– Kamaran era stato identificato nell’odierno imputato.
In base al tenore delle conversazioni telefoniche, ed alle espressioni
offensive usate dall’imputato nel corso di tali conversazioni quando si rivolgeva
ai suoi compagni di viaggio, i giudici di merito ritenevano integrato il reato
contestato, disattendendo la tesi difensiva proposta dall’imputato secondo cui
egli era un semplice clandestino, salito sull’imbarcazione che aveva fatto
naufragio sulla costa calabrese.
3. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto personalmente ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
Con un unico motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Egli
era stato assolto dal reato associativo inizialmente contestato e negli atti di
indagine vi era un solo episodio che lo riguardava. La conversazione telefonica
richiamata nella sentenza aveva riguardato altro soggetto con il suo stesso
nome. Kamaran era un semplice clandestino e la sua famiglia aveva pagato per
il viaggio. Vi erano conversazioni dalle quali emergeva che aveva terminato il
denaro e chiedeva aiuto a Cefi. Nella sua condotta poteva individuarsi solo una
partecipazione attiva al viaggio per un suo scopo personale. Il ricorrente aveva
1

Dalla ricostruzione operata dai giudici di merito, emergeva che:

interesse a che i parenti dei suoi compagni pagassero il viaggio, altrimenti egli
stesso non poteva proseguire verso il Nord. Non era rilevante che avesse
saputo che Cefi era un boss del traffico dei clandestini; questi lo aveva scelto
come referente del gruppo dei curdi consegnandogli un telefono cellulare.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile. Non
sussiste nessuna violazione di legge avendo i giudici di merito con motivazione

l’imputato responsabile del reato contestatogli, avendo aiutato gli organizzatori a
pianificare il viaggio conclusosi con lo sbarco di clandestini sulla costa calabrese.
Nessun contrasto con questa decisione è la circostanza che il ricorrente sia stato
assolto dalla più grave contestazione associativa, essendosi accertato che il suo
ruolo si era esaurito in questa vicenda.
2. E’ evidente quindi che le censure attengono alla motivazione adottata
dalla Corte distrettuale ed in quanto tali sono inammissibili, laddove contestino
l’esistenza di un apparato giustificativo della decisione, che invece esista, e non
sono consentite laddove pretendano di valutare, o rivalutare, gli elementi
probatori al fine di trarne conclusioni in contrasto con quelle del giudice del
merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le
compete. Esula, infatti, dal poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in
via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del
27/01/2011, Scibè). Nel controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi
a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso
comune.
3. La ricostruzione del ruolo del ricorrente fatta propria dalla Corte di
secondo grado, in piena sintonia con quella del primo giudice, non presenta
illogicità manifeste avendo il giudice di merito valorizzato le prove acquisite e
interpretato le conversazioni intercettate da cui ha desunto il personale interesse
del Kamaran a far conseguire al Cefi il pagamento delle somme dovute per il
viaggio. Del resto, lo stesso ricorrente aveva ammesso di essere stato il tramite
tra Cefi, l’organizzatore del viaggio, e le famiglie degli altri clandestini per fargli
conseguire il pagamento del viaggio e di essere stato durante il viaggio in
contatto telefonico con questi per aggiornarlo del viaggio e del trasferimento
2

corretta e logicamente ineccepibile dato conto delle ragioni per ritenere

degli altri clandestini. Le censure proposte, in definitiva, richiamano circostanze
di fatto già esaminate e tendono inammissibilmente ad una più favorevole
valutazione per il ricorrente dei dati fattuali su cui è stato fondato il
convincimento espresso in sede di merito.
4. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento in favore della
Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1000,00,
tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che “la parte

inammissibilità”. (Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di

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