Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30095 del 25/03/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30095 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CERVADORO MIRELLA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RAPISARDA REMO LUCA N. IL 17/06/1984
avverso la sentenza n. 86/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
03/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MIRELLA
CERVADORO;

Data Udienza: 25/03/2014

RG. 24974/2013 Rapisarda
Considerato che:
Il ricorrente chiede l’annullamento della sentenza in epigrafe, deducendo la nullità della sentenza per erronea
applicazione della legge penale, carenza ed illogicità della motivazione in ordine al giudizio di responsabilità, alla
qualificazione giuridica del reato, e al difetto dell’elemento psicologico del reato di ricettazione (art.606 lett.b) e), c.p.p.).
Nel ricorso vengono riproposte le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, e la
mancanza di specificità dei motivi va poi apprezzata non solo per la loro indeterminatezza, ma anche per la mancanza di

non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente, ai sensi
dell’art.591, co.1 lett.c) c.p.p., nell’inammissibilità (Cass.Sez.IV n.5191/2000 Rv.216473).
Premesso che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 12433//2009 Rv. 246324)
l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza
della rappresentazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità e non del mero sospetto della provenienza della cosa
da delitto e della relativa accettazione del rischio; che, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova
dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della
provenienza della cosa ricevuta, la quale e’ sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile
con un acquisto in mala fede. (Cass. Sez. 2, 27.2.97, Savic, 207313), e che – in tal caso – la ricorrenza dell’elemento
indicativo del dolo non viene affermata sulla base della stigmatizzazione negativa della legittima scelta dell’imputato di
tacere, ma sulla base del fatto oggettivo che lo stesso non ha ritenuto di dare alcuna spiegazione in ordine alle circostanze
e alle modalità nelle quali e con le quali ebbe ricevere la cosa provento di delitto (Cass.Sez.II, n.35176/07; Sez.II,
n.15757/03; Sez.II, n. 1176/03), rileva il Collegio che le motivazioni svolte dal giudice d’appello non risultano viziate da
illogicità manifeste e sono infine esaustive, in riferimento a tutti i motivi d’appello, avendo la Corte evidenziato le ragioni per
le quali il reato non poteva essere derubricato nell’ipotesi di cui all’art.712 c.p.
Il ricorso va dichiarato quindi inammissibile. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso (v.Corte Cost. sent.n.186/2000), si determina equitativamente
in Euro 1000.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
Euro 1000 i avore della Cassa delle ammende.
, 25.3.2014

correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa

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