Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30091 del 25/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30091 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Fiori° Mario, nato a Varese il 29/08/1965,

avverso la sentenza del 19/03/2013 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Antonella Patrizia Mazzei;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, Francesco Mauro Iacoviello, il quale ha concluso chiedendo
l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
rilevato che il difensore dell’imputato non è comparso.

RITENUTO IN FATTO
1. All’esito del doppio grado del giudizio di merito, con sentenza della Corte
di appello di Milano del 19 marzo 2013, in parziale riforma -limitatamente al
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche- della sentenza del Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Varese, in data 20 luglio 2012, Florio
Mario è stato riconosciuto responsabile del delitto di tentato omicidio in danno di
Trimigno Michele, contro il quale aveva diretto per due volte la propria

Data Udienza: 25/03/2015

autovettura per investirlo, senza riuscire nell’intento per la pronta reazione della
vittima che, in entrambi i casi, era riuscita fortunosamente ad evitare l’impatto
col veicolo; in Gavirate, il 4 gennaio 2012.
Per tale delitto Florio è stato condannato, con le attenuanti generiche
riconosciute in appello e la diminuente prevista per il rito abbreviato, alla pena di
anni tre e mesi quattro di reclusione.
I giudici di merito ricostruiscono il fatto come segue: Fiori°, dopo aver

gennaio 2012, lo aveva colpito con una testata provocandogli fuoriuscita di
sangue dal naso, chiamò i carabinieri, i quali, intervenuti, si misero alla ricerca di
Trimigno, lo trovarono in una via vicina e lo identificarono; nel frattempo Florio
manifestò la volontà di non sporgere querela; successivamente, mentre
Trimigno, tenendo il proprio cane al guinzaglio, si stava allontanando dai militari
ed era ancora visibile dagli stessi, sopraggiunse Fiori°, a bordo della sua
autovettura Fiat Punto, il quale, incurante del semaforo rosso che consentiva il
passaggio al pedone Trimigno, diresse la sua autovettura a velocità sostenuta
contro il rivale che, lasciato il guinzaglio del cane, riuscì a schivare l’impatto;
Florio, quindi, frenò per evitare di andare ad urtare contro un muro, ma
immediatamente dopo sterzò e ricondusse il veicolo contro Trimigno, il quale,
per la seconda volta, riuscì, con prontezza di riflessi, ad evitare di essere
investito; i vicini carabinieri, spettatori dell’azione, intervennero aprendo lo
sportello del veicolo e bloccando Florio, mentre questi inveiva e urlava di volere
uccidere Trimigno; quest’ultimo, a sua volta, cercò di colpire l’autovettura dei
militari sulla quale era stato portato Florio; ne nacque una colluttazione tra gli
operanti e Trimigno, denunciato per resistenza a pubblico ufficiale, mentre Florio
fu deferito per tentato omicidio.
Secondo i giudici del doppio grado del giudizio di merito, il fatto descritto
integra, sul piano oggettivo e soggettivo, il delitto di tentato omicidio per
l’idoneità del reiterato investimento automobilistico a provocare lesioni
gravissime o mortali, e per la volontà, proclamata anche verbalmente
dall’imputato, di uccidere l’antagonista, accecato dal desiderio di vendetta per
l’affronto poco prima subito da parte della vittima.
La Corte di appello, in particolare, ha escluso l’attenuante della provocazione
per il tempo intercorso tra l’aggressione di Trimigno nei confronti di Florio e il
reiterato tentativo di investimento automobilistico del primo da parte
dell’imputato, successivo all’intervento dei Carabinieri, e per la ravvisata
sproporzione tra il fatto ingiusto della persona offesa e la violenta reazione
dell’imputato.
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subito un’aggressione da parte di Trimigno, il quale, nel primo pomeriggio del 4

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Florio
tramite il difensore che deduce tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di
motivazione per avere la Corte di merito ritenuto integrato il tentativo di
omicidio sulla base di argomentazioni monche, illogiche, contraddittorie e anche
travisanti il contenuto delle prove, in ragione dei seguenti elementi: a) dichiarato

delle dichiarazioni dell’imputato, della persona offesa e dei carabinieri,
convergenza in realtà non sussistente, non avendo Florio mai ammesso, in sede
di interrogatorio per la convalida del suo arresto, di aver colpito una prima volta
Trimigno, perciò caduto a terra, e avendo i verbalizzanti riferito che la vittima
era riuscita ad evitare l’impatto balzando in aria e, quindi, non era stata urtata
dal veicolo; b) asserita elevata velocità dell’autovettura lanciata dall’imputato
contro la persona offesa, circostanza smentita dall’assenza di significative lesioni
patite dalla vittima, la quale si recò in ospedale solo dopo undici giorni dal fatto,
e dalla mancanza di tracce di frenata del veicolo, donde l’illogicità della sentenza
laddove, per superare tale aporia, sostiene che la velocità doveva essere
apprezzata non in astratto ma in relazione alla fragilità del corpo umano contro
cui l’autovettura fu puntata, attribuendo pertanto rilievo anche ad una velocità
modesta; c) sostanziale assenza di lesioni patite da Trimigno e illogica
riconduzione, in sentenza, delle lievi alterazioni refertate undici giorni dopo al
tentato investimento, anziché alla colluttazione ingaggiata dallo stesso Trimigno
contro i militari, in occasione dell’arresto di Florio, contro il quale, nella
concitazione per il pericolo scampato, si era scagliato; d) illogica ricognizione
dell’elemento psicologico del delitto di tentato omicidio in termini di dolo diretto
quanto meno alternativo, considerato che l’azione si svolse alla presenza dei
carabinieri, dallo stesso Florio chiamati, ai quali l’imputato aveva già manifestato
la volontà di non sporgere querela contro Trimigno.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione per la mancata applicazione della riduzione di pena per le
riconosciute attenuanti generiche nella massima misura consentita, nonostante
la disapplicazione della contestata recidiva già nella sentenza di primo grado, il
riconosciuto buon inserimento sociale dell’imputato (dipendente dell’Agenzia
delle entrate di Varese) e la sua buona condotta.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione per mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione. Il
lasso di tempo intercorso tra l’aggressione di Trimigno contro Florio e la reazione
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urto della vittima da parte dell’investitore sulla base della ritenuta convergenza

dell’imputato nei confronti del suo aggressore non sarebbe ostativo al
riconoscimento dell’invocata attenuante, compatibile con un’alterazione emotiva
per fatto ingiusto altrui protrattasi nel tempo e con il pur ravvisato, in sentenza,
spirito di vendetta che aveva animato il Florio.
Per i suddetti motivi il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza
impugnata.

1. Il ricorso è fondato laddove lamenta il vizio di motivazione in punto di
provocazione, non riconosciuta dai giudici di merito; mentre non merita
accoglimento nel resto.
1.1. Il primo motivo è infondato perché solo confutatorio della ricostruzione
del fatto operata nelle conformi sentenze di merito, sulla base di presunti
travisamenti delle prove neppure documentati con la necessaria precisione.
Giova, in proposito, richiamare la giurisprudenza della Corte, secondo la
quale la deducibilità con il ricorso per cassazione del vizio di travisamento della
prova è ammessa, oltre che nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere
alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non
esaminati dal primo giudice, anche quando entrambi i giudici del merito siano
incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie in forma di tale
macroscopica o manifesta evidenza da imporre il riscontro della non
corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al
compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765
del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007
Musumezi Rv. 237207;Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623);
è, in ogni caso, necessaria la specifica indicazione degli atti del processo che si
assumono travisati, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
attuabile nei modi più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto
nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, la precisa indicazione della
collocazione dell’atto nel fascicolo processuale di merito), in modo da non
costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale dell’incarto processuale,
dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al
combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. c), e 591 cod. proc. pen.
(Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994; Sez. 6, n. 22257 del
26/04/2006, Maggio, Rv. 234721; Sez. 4, n. 3360 del 16/12/2009, dep. 2010,
Mutti, Rv. 246499).

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Nel caso in esame non sussiste, alla stregua della stessa articolazione del
ricorso, alcuna macroscopica distonia tra il contenuto degli atti del processo e,
segnatamente, dei verbali dichiarativi esaminati da entrambi i giudici di merito, e
la loro conforme rappresentazione in ambedue le sentenze a sostegno del
reiterato tentativo di investimento della persona offesa da parte dell’imputato,
alla guida di autovettura puntata e diretta contro il rivale a guisa di vera e
propria arma di offesa; il ricorrente, inoltre, non ha assolto l’onere di puntuale

travisato dai giudici di merito nel sostenere sia l’idoneità degli atti a provocare la
lesione o la soppressione della vita della vittima, sia la direzione inequivoca di
essi a tal fine, accompagnata dalle urla dell’esagitato investitore di voler
ammazzare il rivale.
Riguardo all’elemento psicologico del reato, ravvisato nel dolo alternativo
diretto, per avere l’imputato agito perseguendo anche la morte della vittima,
esso è stato adeguatamente motivato, in sentenza, sulla base dell’idoneità del
mezzo usato; della velocità dell’auto puntata contro la persona offesa, scampata
al duplice tentativo di investimento per la prontezza dei suoi riflessi; e della
volontà di uccidere l’avversario manifestata dallo stesso imputato nella flagranza
del fatto. E, coerentemente, l’assenza di lesioni significative subite dalla vittima,
recatasi al pronto soccorso solo dopo undici giorni dal fatto, così come la
mancanza di tracce di frenata del veicolo e le modalità del contatto materiale tra
l’auto investitrice e la persona presa di mira, sono state ritenute circostanze
recessive e non pregnanti al fine di escludere il chiaro intento perseguito
dall’agente di colpire l’avversario con mezzo e attività idonei, indipendentemente
dall’esito fortunatamente non letale e neppure lesivo della sua condotta.
Alla luce delle osservazioni che precedono va, dunque, respinta la
denunciata illegittimità della sentenza in tema di ricostruzione e qualificazione
del fatto e ritenuta responsabilità dell’imputato.
1.2. Inammissibile perché non consentito nel giudizio di legittimità, anche se
genericamente presentato come vizio di violazione di legge e di motivazione, è il
secondo motivo che attiene all’entità del trattamento sanzionatorio, di cui si
lamenta la mancata riduzione nella misura massima di un terzo consentita dalle
circostanze attenuanti generiche riconosciute dal giudice di appello.
Esso postula, infatti, un diverso apprezzamento di elementi di fatto riservato
ai giudici di merito, adeguatamente compiuto dalla Corte territoriale in termini
anche favorevoli all’imputato, essendo stata la pena base di anni sette di
reclusione ridotta, per le riconosciute attenuanti generiche, ad anni cinque, con

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indicazione degli atti del processo il cui contenuto sarebbe stato palesemente

diminuzione della sanzione di ventiquattro mesi, prossima al massimo di un terzo
pari a ventisei mesi.
1.3. E’, invece, fondato il denunciato vizio della motivazione con riguardo
alla negata attenuante della provocazione.
Entrambe le sentenze ravvisano, infatti, l’antecedente del reiterato tentativo
di investimento automobilistico in un diverbio tra Florio e Trimigno, avvenuto il 4
gennaio 2012, poco prima della 15, in via XXV aprile di Gavirate, presso il bar

“Erica”, nel corso del quale Trimigno aveva colpito al volto con una testata Florio,
provocandogli una emorragia dal naso; subito dopo Florio aveva chiamato il
pronto intervento; arrivati immediatamente i carabinieri intorno alle ore 15,
Florio aveva loro descritto il suo aggressore, specificando che portava al
guinzaglio un cane pit-bull; a circa trecento metri dal detto bar, in piazza Libertà,
i verbalizzanti avevano subito identificato Trimigno e, dopo averne raccolto le
dichiarazioni, stavano risalendo sull’autovettura di servizio mentre il Trimigno
aveva iniziato l’attraversamento della via IV novembre, limitrofa a piazza Libertà,
allorché era sopraggiunto Florio, a bordo della sua autovettura, il quale, violando
il semaforo rosso, si era diretto contro Trimigno per investirlo, non riuscendovi
per la pronta reazione della persona offesa che era balzata di lato; subito dopo,
previa inversione della direzione di marcia, l’imputato aveva nuovamente diretto
la sua autovettura contro Trimigno, senza riuscire neppure questa volta ad
investirlo per il repentino spostamento dell’antagonista.
Da tale ricostruzione del fatto, avallata da entrambi i giudici di merito,
emerge sia il fatto ingiusto appena prima commesso da Trimigno contro Florio,
sia lo stato d’ira in cui versava quest’ultimo, non inibito nello sfogo della sua
rabbia neppure dall’immediato intervento dei carabinieri; non emerge, invece,
proprio per la stretta contiguità spazio-temporale dei contrapposti
comportamenti, lo iato cronologico tra l’aggressione subita dall’imputato e la sua
reazione contro l’aggressore, idoneo ad escludere, secondo entrambi i giudici di
merito, il nesso di causalità tra il fatto ingiusto altrui e l’azione violenta posta in
essere; né vale a dilatare tale lasso temporale l’intervento dei carabinieri che,
come pure emerge da entrambe le sentenze di merito, fu immediato rispetto
all’iniziale aggressione di Trinnigno contro Florio al quale il primo provocò, con
una testata in pieno volto, una emorragia nasale.
La Corte d’appello ha colto la debolezza dell’argomento contrario alla
provocazione, costituito dalla sola esclusione del nesso di causalità psicologica
per presunto distacco temporale tra fatto ingiusto altrui e stato d’ira dell’agente,
e ha aggiunto come ulteriore argomento contrario al riconoscimento
dell’attenuante la sproporzione tra la condotta aggressiva della persona offesa e
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la reazione violenta dell’imputato, senza tuttavia dare adeguata ragione del
carattere assoluto e macroscopico di tale sproporzione idoneo ad escludere lo
stato d’ira o il nesso causale, posto che la circostanza attenuante della
provocazione non richiede la proporzionalità tra azione e reazione, come
affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 604 del
14/11/2013, dep. 2014, D’Ambrogi, Rv. 258678; Sez. 1, n. 30469 del
15/07/2010, Lucianò, Rv. 248375; Sez. 1, n. 1305 del 15/11/1993, dep. 1994,

In sintesi, alla luce della dinamica del fatto così come ricostruita dai giudici
di merito, l’esclusione della circostanza attenuante della provocazione non risulta
adeguatamente motivata nella sentenza impugnata, laddove essa esclude il
nesso di causalità sulla base dell’intervento delle forze dell’ordine e del ritenuto
iato temporale tra le reciproche condotte, in contrasto con l’accertata repentina
successione degli eventi, e si limita alla mera enunciazione della sproporzione,
neppure qualificata come macroscopica, tra l’azione ingiusta della vittima e la
reazione dell’imputato (c.f.r. il breve passaggio dedicato, nella sentenza
d’appello, all’attenuante in esame, a pag. 3, terzultimo periodo).
Si impone, dunque, un nuovo giudizio in punto di verifica della ricorrenza,
nel fatto accertato, della circostanza attenuante della provocazione nei suoi
elementi costitutivi, così precisati dall’art. 62, primo comma, n. 2, cod. pen. e
dalla pertinente elaborazione giurisprudenziale: a) “stato d’ira” dell’agente,
costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non
essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) “fatto ingiusto
altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa
come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali
nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico; c)
rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la
reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia
riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta (Sez. 1, n.
47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454; Sez. 5, n. 12558 del 13/02/2004,
Fazio, Rv. 228020; Sez. 1, n. 5318 del 08/04/1998, Vranesi, Rv. 210574).

2. Segue l’annullamento della sentenza impugnata nei limiti indicati, con il
rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano; nel
resto il ricorso deve essere respinto.

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Marras, Rv. 197245).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza attenuante
della provocazione e rinvia per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della
Corte di appello di Milano; rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 25 marzo 2015.

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