Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30090 del 12/02/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30090 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
OWIE SUNDAY IFALUY N. IL 03/03/1985
avverso la sentenza n. 5582/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del
23/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/02/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
1 U-11-0

vi

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 12/02/2015

RILEVATO IN FATTO
Con sentenza in data 23.1.2014 la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza
del GUP del Tribunale di Torino in data 21.6.2013 appellata da OWIE SUNDAY IFALUYI,
riduceva al predetto la pena a complessivi anni 4 e mesi 6 di reclusione per il delitto di tentato
omicidio in danno di Ogbeiwi Henry, per averlo colpito con un coltello in varie parti del corpo, e
per il reato di cui all’art.4 legge 110/1975; reato commesso in Torino il 24.6.2012.
Dalla ricostruzione del fatto da parte dei giudici di merito, risulta che l’imputato, la sera del
fatto, aveva inseguito con un coltello la parte offesa e l’aveva colpita ripetutamente con l’arma

L’aninnus necandi veniva desunto, oltre che dal tipo di arma utilizzata e dalla reiterazione dei
colpi, soprattutto dalla grave ferita inferta in zona addominale, che aveva provocato una
lacerazione epatica, e da una ferita in sede sottoscapolare sinistra, che non era risultata grave
ma avrebbe potuto ledere il polmone se la lama fosse penetrata nella zona toracica.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone
l’annullamento per manifesta illogicità in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del
reato.
il Perito, in sede di esame, si era contraddetto perché, dopo aver affermato che la ferita al
fegato avrebbe potuto provocare la morte, se non fosse stato effettuato un tempestivo
intervento chirurgico, aveva ammesso che la lesione non era stata provocata da un colpo
particolarmente intenso.
Quindi, anche il suddetto colpo non era indicativo di una volontà omicida, tanto più che la
ferita all’addome ben poteva essere stata provocata da una reazione della vittima che,
nell’intento di difendersi, si era lanciata sull’aggressore.
Non poteva essere dato al colpo alla spalla il significato che gli aveva attribuito la Corte di
merito, poiché si era trattato di poco più di una scalfitura che non aveva interessato nemmeno
i muscoli sottocutanei.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che impugnava.

Il ricorso è infondato.
Non è in discussione che l’imputato la sera del fatto, per questioni legate al commercio di
sostanze stupefacenti, ha inseguito la parte lesa e l’ha ripetutamente colpita con un coltello.
Nel ricorso per cassazione la difesa dell’imputato ha contestato la motivazione della sentenza
impugnata solo nella parte in cui aveva qualificato il fatto come tentato omicidio, non
accogliendo la richiesta di derubricare il delitto contestato in quello di lesioni volontarie
aggravate.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di omicidio tentato, la prova del dolo ove manchino esplicite ammissioni da parte dell’imputato – ha natura essenzialmente indiretta,
dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che
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per la loro non equivoca potenzialità offensiva sono ì più idonei ad esprimere il fine perseguito
dall’agente. Ciò che ha valore determinante per l’accertamento della sussistenza dell'”animus
necandi” è l’idoneità dell’azione la quale va apprezzata in concreto, senza essere condizionata
dagli effetti realmente raggiunti, perché altrimenti l’azione, per non aver conseguito l’evento,
sarebbe sempre inidonea nel delitto tentato: il giudizio di idoneità è una prognosi, formulata
“ex post”, con riferimento alla situazione così come presentatasi al colpevole al momento
dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare (V, Sez. 1 sent.

La Corte di merito ha desunto la sussistenza dell’animus necandi dal tipo di arma utilizzata per
colpire Ogbeiwi Henry, dalla direzione dei colpi in parti del corpo contenenti organi vitali (in
particolare, una ferita in zona addominale e e un’altra in zona scapolare sinistra), dall’idoneità
di detti colpi a provocare la morte della parte lesa e dalla stessa reiterazione dei colpi.
Nel ricorso si è messo in evidenza, per contestare la sussistenza del dolo omicidiario, che dalla
perizia medico legale risultava che il colpo all’addome non era stato particolarmente violento e
che il colpo alla spalla aveva provocato solo una ferita superficiale.
Alle suddette obiezioni, mosse anche con i motivi d’appello avverso la sentenza di primo grado,
aveva già adeguatamente risposto la Corte territoriale, osservando, con riguardo alla coltellata
all’addome, che la stessa aveva provocato una grave lacerazione epatica e che la penetrazione
di una lama in detta zona non richiede una particolare energia, trattandosi di tessuti molli; con
riguardo al colpo inferto nella zona scapolare sinistra, si doveva ritenere che lo stesso fosse
stato inferto con forza, quanto meno pari a quello diretto nella zona addominale, idoneo quindi
a raggiungere organi vitali come il polmone, non raggiunto perché la lama si è arrestata
sull’osso scapolare.
Le considerazioni della Corte d’appello non presentano alcun vizio, sotto il profilo logico
giuridico, e pertanto il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 12 febbraio 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

n. 3185 del 10.2.2000, Rv. 215511, e Sez. 1 sent. n. 30466 del 7.7.2011, Rv. 251014).

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