Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30089 del 12/02/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 30089 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE SIMONE CELESTINO N. IL 11/04/1964
avverso la sentenza n. 5155/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
08/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/02/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/02/2015


MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 8.1.2014 la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del
Tribunale di Avellino in data 23.10.2009 appellata da DE SIMONE CELESTINO, con la quale il
predetto era stato condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi 10 di reclusione,
con la sospensione condizionale della pena, in ordine al delitto di cui all’art. 423-bis/secondo
comma cod. pen. perché, in qualità di addetto a fuochi pirotecnici, aveva cagionato per colpa
generica e violazioni di legge e di regolamenti un incendio che interessava una superfice di
mq.8.084 di bosco inserito in area protetta del Parco dei Monti Picentini; in Montoro Superiore

Nella sentenza di primo grado si era affermato che i carabinieri avevano rinvenuto, nella linea
di fuoco dalla quale si era propagato l’incendio, pezzi di materiale cartaceo utilizzato per il
confezionamento di fuochi artificiali, di tipo artigianale e non autorizzati, e che a circa trenta
metri dalla linea di fuoco erano stati riscontrati sul terreno segni e bruciature tipici
dell’installazione di mortai necessari per lanciare in aria i colpi detonanti.
L’imputato aveva sostenuto, anche tramite testimoni, che non erano stati i suoi fuochi
d’artificio, del tipo autorizzato, a provocare l’incendio, ma quelli irregolari di partecipanti alla
festa i quali, dopo la processione, si erano fermati per un picnic e, come d’uso, avevano
esploso dei fuochi artificiali.
Il primo giudice aveva ritenuto che a provocare l’incendio fosse stato l’imputato, poiché
l’incendio era avvenuto subito dopo il lancio dei fuochi d’artificio da parte dell’imputato e
nell’area dalla quale lo stesso aveva effettuato i suddetti lanci, area, peraltro, non idonea per
dei picnic, come risultava dalla documentazione fotografica e dalla testimonianza di Manzo
Salvatore.
La Corte d’appello confermava la responsabilità penale dell’imputato, osservando che era
pacifico che lo stesso avesse esploso dei fuochi d’artificio; dalla testimonianza del maresciallo
Cucciniello, che era immediatamente intervenuto sul posto ed aveva eseguito un sopralluogo,
risultava che l’imputato aveva effettuato i lanci da una distanza inferiore a quella prescritta e
non si era munito di una squadra di bonifica.
La Corte di merito escludeva che a provocare l’incendio potessero essere state altre persone,
poiché la zona dalla quale erano stati effettuati i lanci non si prestava in alcun modo
all’effettuazione di picnic, come avevano cercato di far credere i testi della difesa.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone
l’annullamento per erronea applicazione della legge penale e per vizio di motivazione.
Preliminarmente il ricorrente si è lamentato per il fatto che la Corte d’appello non avesse dato
alcuna rilevanza alla sentenza del Tribunale di Avellino in data 14.11.2012 che aveva assolto
Senatore Carlo, un teste della difesa, dall’accusa di aver detto il falso, quando aveva sostenuto
nel processo a carico dell’odierno imputato che i fuochi pirotecnici usati dal cognato De Simone
Celestino erano di provenienza cinese, e non di fattura artigianale.
1

il 10.4.2007.

Ha criticato, poi, la carenza di motivazione della sentenza impugnata, la quale non aveva
risposto a specifici motivi d’appello con i quali si era messo in evidenza che non era affatto
provato che i rimasugli cartacei rinvenuti nei pressi della linea di fuoco fossero appartenuti a
fuochi d’artificio sparati dall’imputato e che non era neppure provatoquale fosse stato il punto
di posizionamento dei mortai utilizzati dall’imputato.
Infine, non era stata data alcuna risposta alla dedotta violazione dell’art.192 cod. proc. pen.,
violazione denunciata per il fatto che non erano stati raccolti a carico dell’imputato indizi gravi,
precisi e concordanti, e non si erano prese in esame le dichiarazioni dei testi indicati della

Rileva preliminarmente questa Corte che, essendo trascorsi oltre sette anni e sei mesi (termine
massimo di prescrizione per il reato di cui all’art.423-bis, secondo comma cod. pen.) dalla data
di commissione del reato (10.4.2007), lo stesso deve essere dichiarato estinto per
prescrizione, non ravvisandosi alcuna causa di inammissibilità del ricorso per cassazione
proposto in favore dell’imputato.
Si osserva, inoltre, che dagli atti sottoposti a questa Corte non emerge la prova che l’imputato
debba essere assolto per insussistenza del fatto contestato o per non averlo commesso.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio poiché il reato contestato
è estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma in data 12 febbraio 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

difesa.

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