Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30054 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30054 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PARMENTOLA AMODIO N. IL 08/08/1970
avverso l’ordinanza n. 84/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
05/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
PRESTIPINO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. et -d 414,4
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Uditi difensor Avv.; 4/14 4(to

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.9D A4: <, M.A4.06 I. ‘44(29- Cr 1411. 4tf 2. 91 A-44, 0441 Lig r h.4.4/ 2,11L.A. i utt, k4. (44 4.9.14 ;."4"..e.-te A 40), C & C 2..o Data Udienza: 11/06/2014 I. Ritenuto in fatto 1.Con l'ordinanza impugnata, il Tribunale della libertà di Napoli ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal gip dello stesso tribunale il 13.1.2014 nei confronti della società CK Associati di Parmentola Antonino e nei confronti dello stesso Parmentola come amministratore della società, fino alla concorrenza di euro 221.386,52, somma ritenuta pari al profitto del reato di truffa aggravata oggetto, unitamente al reato di cui all'art. 353 cod. pen., del procedimento penale nr. 20610/rgnr. Nel procedimento in questione la CK era stata coinvolta nell'Iambito delle indagini sull'appalto c.d. "Buone Prassi", relativo ad interventi nel settore della formazione finanziati dalla Regione Campania, che figura come ente danneggiato dai reati. IL gip aveva disposto che in mancanza di beni della società il sequestro venisse eseguito per equivalente nei confronti dell'amministratore. 2.Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici territoriali, nella vicenda "buone Prassi", relativa ad un intervento finalizzato alla realizzazione delle buone prassi e dei modelli esemplari per la formazione, l'appalto era stato aggiudicato nel Giugno del 2006, a seguito dell'espletamento di apposita procedura di gara, ad una R71 guidata dalla società Ernest & Young Financial. Per l'intervento, deciso con delibera della Giunta nr. 457 del 19.4.2006, erano stati stanziati, originariamente tre milioni di euro, destinati solo alla vincitrice della gara; sennonché, con successivo provvedimento del dirigente amministrativo, era stato in sostanza disposto un ampliamento del finanziamento, per un importo complessivo di C 8.775.638,40, in modo che ne potessero beneficiare anche le imprese classificatesi 2 e 3, tra le quali l'ATI De Lorenzo, di cui faceva parte la soc. CK. 3. Quanto alla determinazione del profitto, il Tribunale si richiama ll'indirizzo di legittimità segnato da Cass. 20976/2012, che distingue tra "reato contratto e reato in contratto; nel primo caso, si ha l'immedesimazione originaria del reato con il negozio giuridico, nel secondo, il contratto è valido, e ai fini dell'identificazione dell'ingiusto profitto occorre fare riferimento non all'intero prezzo dell'appalto, ma all'utile netto dell'attività di impresa. Secondo il Tribunale, nel caso di specie ci si troverebbe di fronte a "reati contratti", Con la conseguenza che l'importo sequestrabile coinciderebbe con l'intero ammontare degli appalti. 4.Ricorre il Parmentola, per mezzo del proprio difensore, per i seguenti motivi: 1.Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, mancanza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla valutazione del fumus commissi delicti. La difesa, rileva che II Tribunale avrebbe ritenuto il fumus del reato di truffa prescindendo da ogni ineludibile valutazione in ordine alla configurabilità degli artifici e raggiri. In particolare, i giudici territoriali non avrebbero considerato che la società del Parmentola non avrebbe partecipato in alcun modo alla formazione della volontà negoziale,e aveva regolarmene eseguito le prestazioni effettivamente contabilizzate. 2. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 322 ter cod. pen, mancanza e contraddittorietà della motivazione rispetto alla questione di diritto concernente la irretroattività della norma per la parte relativa alla confiscabilità del profitto del reato. La difesa richiama, in proposito, Cass. sez un. 38691/2009. 3. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 322 ter cod. pen. in ordine al profitto da sottoporre a sequestro e alla proporzionalità della misura cautelare. Il Tribunale avrebbe trascurato al riguardo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di cui all'art. 322 ter, c.p., in presenza di un contratto di appalto ottenuto con la corruzione di pubblici funzionari, la nozione del profitto confiscabile al corruttore non va identificata con l'intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la P.A., dovendosi in proposito distinguere il profitto direttamente derivato dall'illecito penale dal corrispettivo conseguito per l'effettiva e corretta erogazione delle prestazioni svolte in favore della stessa amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione dell'illiceità della causa remota (Sez. 6, n. 17897 del 26/03/2009, dep. 29/04/2009, Rv. 243319; Sez. 6, n. 37556 del 27/09/2007, dep. 11/10/2007, Rv. 238033). Tale criterio non potrebbe essere disatteso neanche in relazione alla figura del "reaticontratto". 3.1. Il Tribunale, infine, non avrebbe tenuto conto della necessità di non colpire con il sequestro beni eccedenti il valore del profitto, alla stregua del criterio di proporzionalità elaborato d'ala giurisprudenza di legittimità al fine di evitare una esasperata compressione del diritto di proprietà dell'interessato. 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Rispetto alla materialità dei fatti e alla generica connotazione in termini di illiceità penale della vicende dell'appalto "Buone Prassi" il fumus commissi delicti non è seriamente contestabile. L'anomalia della procedura di gara è infatti efficacemente focalizzata dai giudici territoriali, con valutazioni più che adeguate al ridotto livello indiziario che deve giustificare misure di cautela reale e allo standard argomentativo "minimo" desumibile dalla limitazione dell'impugnazione di legittimità contro i provvedimenti di sequestro al vizio di violazione di legge. In particolare, non può che convenirsi con le valutazioni del tribunale circa la natura fraudolenta dell'ampliamento dell'originario finanziamento del progetto, deliberato "sottobanco" da un funzionario infedele con un atto amministrativo illegittimo, in quanto divergente dalle determinazioni sovrane e vincolanti della Giunta. 1.1. Va soltanto ulteriormente precisato che è pacifica la possibilità del concorso formale fra il reato di turbata libertà degli incanti e quello di truffa, attesa la loro diversa obiettività giuridica (essendo rivolto l'uno alla tutela del regolare svolgimento dei pubblici incanti e delle licitazioni private, l'altro alla difesa della integrità patrimoniale del soggetto passivo), e differenziandosi inoltre gli stessi sotto il profilo degli elementi strutturali che li compongono Sez. 2, Sentenza n. 46884 del 04/11/2004 Ud. (dep. 02/12/2004) Rv. 231087 Presidente: Rizzo AS. Estensore: Sirena PA. Relatore: Sirena PA. Imputato: Brambati ed altri. Nella specie, è indubbio, alla stregua della prospettazione accusatoria e dei fatti accertati, il danno patrimoniale subito dall'amministrazione appaltante nel caso della vicenda "Buone Prassi", per i consistenti, nuovi oneri economici derivati alla Regione Campania dall'abusivo e fraudolento ampliamento del progetto. Verificata la configurabilità anche del reato di cui all'art. 640 bis cod. pen, nessun problema si pone poi rispetto all'applicabilità dell'art. 640 quater cod. pen. 1.2. Sotto il profilo della direzione soggettiva dell'accusa, appare poi sufficiente, in realtà, in termini di fumus, come ha in sostanza ritenuto il Tribunale, la posizione apicale rivestita dal ricorrente all'interno della società beneficiaria degli illeciti finanziamenti, essendo ben difficile, in assenza di non dedotte situazione di impedimento e/o di deleghe di poteri ecc.., che l'accesso a cospicui finanziamenti pubblici e la riscossione della relative somme, attraverso l'inevitabile articolazione di vari passaggi amministrativi e l'interlocuzione con la parte pubblica, potessero realizzarsi senza alcun intervento, o comunque con l'assoluta ignoranza, dei titolari della massime istanze gestionali della soc. CK. Senza dire che anche ammettendo la posizione di "terzo" (rispetto al reato), del Parmentola, le valutazioni del caso, ai fini dell'assoggettabilità del ricorrente al sequestro per equivalente, dovrebbero fare comunque riferimento, nella specie, al criterio dell'"estraneità" al reato del terzo assoggettato al sequestro (cfr. art. 323 ter comma 1 cod. pen.), che colloca il titolo della "legittimazione passiva" alla misura cautelare un gradino al di sotto del "concorso" nel reato, con l'ovvia semplificazione dell'onere probatorio a carico dell'accusa. 2. Il secondo motivo è infondato. I problemi interpretativi posti dal collegamento tra l'art. 640 quater e l'art. 322 ter cod. pen. erano stati già risolti dalla più condivisibile giurisprudenza di questa Corte nel senso che nella parte relativa alla disciplina della confisca per equivalente la prima norma richiamasse l'intero art. 322 ter cod. pen., e che, di conseguenza, la confisca per equivalente per i reati di cui agli artt. 640 bis e 640 ter cod. pen. non soffrisse la previsione restrittiva dell'ultimo inciso del primo comma dell'art. 322 ter cod. pen., che la limitava apparentemente (peraltro con formulazione alquanto infelice), al prezzo del reato (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 41936 del 25/10/2005 Imputato: Muci). L'indirizzo era stato successivamente ripreso da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26792 del 03/03/2011, Marabotto e altri con la precisazione, anzi, che la "o" che separa, nel primo comma dell'art. 323 ter cod. pen, i termini di profitto e prezzo, debba intendersi come congiunzione, essendo entrambi i predetti valori acquisiti in ragione dell'illecito commesso. In questo senso, non sarebbe nemmeno decisivo il riferimento dell'art. 640 quater all'intera disposizione dell'art. 322 ter, perché la soluzione interpretativa dell'ammissibilità del sequestro per equivalente del profitto dei reati Considerato in diritto 3. Anche i motivi sul quantum sono infondati. I giudici territoriali hanno fatto retta applicazione, al fine della valutazione della corrispondenza del profitto del reato alla globalità dei valori economici in gioco, alla distinzione tra "reato-contratto" e "reato in contratto" (vedi, oltre alla giurisprudenza citata dal Tribunale, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17451 del 04/04/2012 Imputato: Mele e altri, secondo cui il profitto del reato previsto dall'art. 640-bis cod. pen., ai fini dell'applicazione della confisca per equivalente, coincide con l'intero ammontare del finanziamento qualora il rapporto contrattuale non si sarebbe perfezionato ed il progetto non sarebbe stato approvato senza le caratteristiche falsamente attestate dal percettore, mentre corrisponde alla maggiore quota dei fondi non dovuti nel caso in cui siano rappresentati dal beneficiario operazioni o costi riportati in fatture o relazioni ideologicamente false). Non c'è dubbio poi, avuto riguardo alla peculiarità delle due vicende processuali, l'originaria e assoluta inesistenza di qualunque diritto della CK a percepire somme relative al progetto sulla formazione finanziato con i fondi della Regione Campania. In questo ordine di considerazioni, poi, contrariamente a quanto sostiene la difesa, non può trovare spazio alcuno la considerazione di oneri economici e spese varie affrontate dalla società CK o l'effettiva realizzazione degli interventi, posto che la società non avrebbe dovuto fin dall'origine essere ammessa a partecipare agli interventi e ai finanziamenti. 3.1. Del tutto generiche e ipotetiche sono infine le deduzioni del ricorrente sulla violazione del criterio di proporzionalità del sequestro. La difesa non fornisce alcuna concreta indicazione al riguardo, ma si limita in sostanza ad ipotizzare un inesistente obbligo istruttorio d'ufficio del giudice del riesame, che dovrebbe, cioè, preoccuparsi di controllare di volta in volta il rispetto di tale principio. In realtà, il Tribunale dei riesame effettua le proprie valutazioni sull base degli atti, e non può compiere alcuna autonoma attività istruttoria, salva la doverosa v ifica di quanto ulteriormente dedotto e allegato dalle parti processuali. Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto rigettato con la co-(i ; nna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta corso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così d cis in Roma, nella camera di consiglio, I l'11.6.2014. considerati dall'art. 640 quater sarebbe stata compatibile anche con il primo comma della norma di riferimento dell'art. 322 ter. Si può aggiungere che nella chiusura del comma uno dell'art. 322 ter la chiarezza e l'esclusività del riferimento al prezzo come oggetto della confisca per equivalente, erano non di poco intorbidate, non solo sotto il profilo grammaticale, ma anche sotto il profilo logico, dall'espressione "tale" immediatamente precedente. Rispetto al coordinamento tra le due disposizioni dell'art. 322 ter e dell'art. 640 quater cod. pen.la L. 190/2012 non ha quindi carattere innovativo, e non si pongono i problemi di diritto inter temporale segnalati dalla difesa.

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